Resp. medica: i principi in tema di accertamento e prova della condotta colposa e del nesso causale

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 4 dicembre 2018, n. 31245 (rel. A. Tatangelo)

Sia nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l'oggetto di due accertamenti concettualmente distinti; la sussistenza della prima non dimostra, di per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa;
l'art. 1218 c.c. solleva il creditore della obbligazione che si afferma non adempiuta dall'onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento;
nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell'attore, paziente danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", la causa del danno; se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata.

Giudizio svolto in contumacia di una parte: la sentenza deve essere notificata alla parte personalmente

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 5 dicembre 2018, n. 31516 (Rel. Scrima)

Nell'ipotesi in cui il giudizio si sia svolto nella contumacia di una parte, ritualmente o meno dichiarata (e perfino ancorché erroneamente dichiarata), la sentenza che lo conclude deve essere notificata alla parte personalmente, ai sensi dell'art. 292, ultimo comma, cod. proc. civ., con l'effetto di rendere applicabile il termine breve per impugnare di cui all'art. 325 cod. proc. civ. (Cass. 14/03/2013, n. 6571; Cass. 14/02/2012, n. 2113; Cass. 24/02/2011, n. 4485; Cass. 31/08/2009, n. 18915; Cass. 25/01/2007, n. 1647; Cass. 15/03/2006, n. 5682).

Controversie aventi ad oggetto opposizione a verbale di accertamento: la competenza del Giudice di pace è per materia

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 5 dicembre 2018, n. 31509 (Rel. D'Arrigo)

In tema di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, la competenza del giudice di pace è per materia in ordine alle controversie aventi ad oggetto opposizione a verbale di accertamento, ex art. 7 del d.lgs. n. 150 del 2011, nonché prioritariamente per materia, con limite di valore nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b) dell'art. 6, comma 5, del citato decreto, per quelle aventi ad oggetto opposizione ad ordinanza-ingiunzione; gli stessi criteri di competenza vanno altresì applicati con riferimento all'impugnativa del preavviso di fermo, in quanto azione di accertamento negativo (Cass., Sez. Un., sentenza n. 10261 del 27/04/2018).

Annullamento con rinvio: limiti del giudizio rescissorio e giudicato (implicito) interno

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 29 novembre 2018, n. 30852 (rel. A. Moscarini)

La decisione di annullamento con rinvio vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla "regola" giuridica enunciata ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti già compresi nell'ambito di tale enunciazione senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia di annullamento, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio di intangibilità.

Prova dell’avvenuta notifica telematica ai sensi della Legge n. 53/1994

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 4 dicembre 2018, n. 31350 (Rel. Ghinoy)

Il comma 1 ter dell'art. 9 della I. n. 53/1994 prevede che la prova documentale della notifica telematica comprenda l'attestazione, effettuata dal difensore, della conformità della copia cartacea prodotta all'atto originale; con la conseguenza che ove tale attestazione di conformità manchi, non è raggiunta la prova dell' avvenuta notifica telematica. Del resto, nella notifica "tradizionale" la Corte ha più volte stabilito che non è idonea a fornire prova del compimento del procedimento notificatorio la produzione di documenti privi delle caratteristiche formali prescritte (Cass., n. 25285 del 28/11/2014; Cass. n. 19387 del 08/11/2012; Cass. n. 4242 del 07/04/1992).

Non può proporsi azione revocatoria nei confronti del fallimento

Cass. Civ., SS.UU., sentenza 23 novembre 2018, n. 30416 (rel. F. A. Genovese)

A) La sentenza che accoglie la domanda revocatoria, sia essa ordinaria o sia fallimentare, in forza di un diritto potestativo comune, al di là delle differenze esistenti tra le medesime, ma in considerazione dell'elemento soggettivo di comune accertamento da parte del giudice, quantomeno nella forma della scientia decoctionis, ha natura costitutiva, in quanto modifica "ex post" una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 cod. civ.) ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell'atto.
B) Non è ammissibile un'azione revocatoria, non solo fallimentare ma neppure ordinaria, nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo delle predette azioni; il patrimonio del fallito è, infatti, insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poiché l'effetto giuridico favorevole all'attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l'azione sia stata esperita dopo l'apertura della procedura stessa.

Resp. medica: legittima la condanna della sola Azienda Sanitaria.
Se l’Azienda chiama in garanzia il medico ai fini della rivalsa, deve escludersi l’automatica estensione della domanda originaria.

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 27 novembre 2018, n. 30601 (rel. S. Olivieri)

La estensione automatica della domanda implica che la chiamata in causa venga effettuata dal convenuto al fine di sottrarsi alla pretesa risarcitoria con "indicazione del terzo quale esclusivo responsabile" del danno : in tal senso l'automatico coinvolgimento del terzo nell'accertamento dello stesso rapporto obbligatorio che è già oggetto del giudizio, si giustifica pienamente, poiché essendo "unico" il rapporto da accertare (tale essendo il rapporto tra il danneggiato-attore e l'autore della condotta da cui è derivato il danno), si tratta solo di stabilire chi tra i due soggetti che negano di essere entrambi l'effettivo destinatario della pretesa risarcitoria sia il vero responsabile in via alternativa (il convenuto o il terzo), ovviamente fatta salva in ogni caso la facoltà dell'attore di rinunciare successivamente alla domanda -automaticamente estesa- nei confronti del terzo, laddove manifesti inequivocamente la volontà di insistere soltanto nella azione svolta contro la parte originariamente convenuta in giudizio.
Qualora, invece, il convenuto chiami in causa il terzo in base ad un "titolo diverso" da quello dedotto con il rapporto principale (tale essendo il caso di chiamata in garanzia propria o impropria, fondata su un rapporto giuridico -tra convenuto e terzo chiamato- "distinto" da quello principale -tra attore e convenuto- già oggetto del giudizio) per rendere opponibile al chiamato l'accertamento del rapporto principale (in quanto i fatti accertati vengono a porsi in relazione di logica presupposizione necessaria con le azioni derivanti dal "distinto- rapporto giuridico che lega il convenuto al terzo chiamato) oppure per essere soltanto manlevato dalle conseguenze negative dell'accoglimento della domanda attorea, e non contesti, invece, la propria titolarità passiva del rapporto principale, allora la estensione automatica della domanda non trova alcuna cogente giustificazione, atteso che l'eventuale accertamento della responsabilità del convenuto, non determina quale implicazione necessaria la esclusione di responsabilità del terzo chiamato, che invece rimane oggetto di accertamento autonomo, analogamente a quanto si verifica nelle ipotesi di litisconsorzio facoltativo -originario o successivo- laddove è rimessa alla scelta discrezionale dell'attore-danneggiato proporre "ab origine" la domanda giudiziale nei confronti di uno soltanto o più dei coobbligati solidali, ovvero di proporre -nella osservanza delle fasi e delle decadenze processuali- una nuova domanda anche contro il terzo chiamato in quanto ritenuto corresponsabile del danno per il medesimo titolo già dedotto in giudizio ovvero -eventualmente- anche a diverso titolo.

Ricorso per Cassazione: se vengono prospettate questioni non desumibili dalla sentenza impugnata, occorre indicare, a pena di inammissibilità, l’atto in cui le stesse erano state dedotte

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 3 dicembre 2018, n. 31194 (Rel. Pazzi)

Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.

Il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, della prevista dichiarazione non è opponibile al fallimento

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 30 novembre 2018, n. 31102 (Rel. Di Marzio)

«In assenza di opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell'art. 647 cod. proc. civ. Tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall'art. 124 o dall'art. 153 disp. att. cod. proc. civ. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all'interno del processo d'ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell'ipotesi in cui il decreto ex art. 647 cod. proc. civ. venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito, deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell'art. 52 legge fall. (Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650; Cass. 31 gennaio 2014, n. 2112; in precedenza tra le tante Cass. 23 dicembre 2011, n. 28553; Cass. 13 marzo 2009, n. 6198; solo nel corso del 2017 il principio è stato ribadito, senza pretesa di completezza, dalle ordinanze n. 23775, n. 25191, n. 20886, n. 18733, n. 17865, n. 16322, n. 16177, n. 16176, n. 15953, n. 13542, n. 14692, n. 14691, n. 14690, n. 13755, n. 13542, n. 12936, n. 12935, n. 10821, n. 10208, n. 6595, n. 6524, n. 684). Il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, della prevista dichiarazione non è dunque opponibile al fallimento e pertanto non giustifica la collocazione del credito in grado ipotecario.

Circolazione stradale: il sorpasso di velocipedi e motocicli deve avvenire ove sia possibile lasciare una distanza laterale di sicurezza

Cass. Civ., sez. III, sentenza 30 novembre 2018, n. 31009 (Rel. Gianniti)

Il conducente di un qualsiasi veicolo, nel sorpassare velocipedi e motocicli, aventi di per sé un equilibrio particolarmente instabile, deve lasciare una distanza laterale di sicurezza, che tenga conto delle oscillazioni e deviazioni che le accidentalità della strada o altre cause possano rendere più o meno ampie nel veicolo sorpassato. Tale obbligo di cautela risulta particolarmente intenso nei casi in cui il velocipide o il motociclo che precede nella marcia manifesti anomalie nella guida, da cui possa ragionevolmente prevedersi che la manovra di sorpasso comporti ragione di intralcio della circolazione e motivo di pericolo per gli utenti della strada, così che in tali evenienze il conducente é tenuto a rinunciare al sorpasso, attendendo che le condizioni di marcia e quelle ambientali consentano di procedere alla manovra senza mettere in pericolo la incolumità di alcuno. A tale conclusione conduce anche l'interpretazione dell'art. 106 comma 1 c.d.s., che, in tema di sorpasso, richiede "spazio libero sufficiente". Detta espressione, invero, deve essere intesa riferita non soltanto alla distanza che separa il conducente da eventuali ostacoli, che si trovino o sopraggiungano nell'opposta corsia di marcia, ma anche alla distanza laterale dalla sinistra del veicolo da sorpassare, che deve essere adeguata. Pertanto - ogniqualvolta detto spazio manchi o sia insufficiente per qualsiasi motivo - il conducente del mezzo, che si accinge al sorpasso, deve desistere dalla manovra finché non sia possibile effettuare la stessa senza pericolo. Il sorpasso, si ribadisce, postula condizioni di assoluta sicurezza: pertanto, il conducente non può esimersi dall'obbligo di rinunciarvi quando, per la mancanza di un congruo spazio libero, in una valutazione di comune prudenza, possa apparire che la relativa manovra sia malagevole e pericolosa.