La consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio

Cass. Civ., Sez. III, sentenza 30 novembre 2018, n. 31008 (Rel. Gorgoni)

La consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, con la conseguenza che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. Al limite costituito dal divieto di compiere indagini esplorative è consentito derogare unicamente quando l'accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l'ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo in questo caso consentito al C.T.U. anche di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse" (Cass. 31/05/2017, n.13707; Cass. 14/02/ 2006, n. 3191; Cass. 11/01/2017, n. 512).

La compensatio lucri cum damno in caso di indennizzo per malattia contratta a causa di servizio

Cass. Civ., Sez. III, sentenza 30 novembre 2018, n. 31007 (Rel. Olivieri)

1) La regola generale non è il "cumulo" dei benefici e del risarcimento del danno, ma -avuto riguardo alla funzione compensativa del danno assolta dalle rispettive obbligazioni- è quella desumibile dall'art. 1223 c.c. di evitare duplicazioni delle poste dirette a reintegrare la compromissione dei diritti violati (la cumulabilità di poste aventi analoga funzione compensativa, introduce una deroga alla regola generale e deve essere, pertanto, espressamente prevista: cfr. art. 2, comma 1,della legge 25 febbraio 1992 n. 210);
2-) la mancata previsione di meccanismi di recupero dell'indennizzo, non assume rilevanza nella fattispecie in quanto, essendo unico il soggetto (Amministrazione statale) obbligato al risarcimento del danno ed al pagamento della elargizione speciale e degli assegni periodici, trova applicazione la regola per cui quando, "pur in presenza di titoli differenti, vi sia unicità del soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni ed al contempo obbligato a corrispondere al danneggiato una provvidenza indennitaria, vale la regola del diffalco, dall'ammontare del risarcimento del danno, della posta indennitaria avente finalità compensativa" (cfr. in termini, con riferimento a fattispecie analoga: Corte cass. Sez. 3, Ordinanza n. 24180 del 04/10/2018);
3-) il parametro di calcolo dell'ammontare delle indennità, riferito al tipo di lesione ed al grado percentuale di invalidità permanente da riconoscere ai postumi derivati al militare (successivamente deceduto) dal fatto illecito, non è indicativo della voce di danno che si intende compensare, atteso che la erogazione dei benefici ai familiari superstiti non corrisponde ad esigenze riconducibili al fenomeno successorio (dunque alla trasmissione "jure herditatis" di un credito che era entrato a far parte del patrimonio del "de cuius"), quanto piuttosto ad esigenze proprie dei destinatari i quali, a causa dell'illecito e della morte del proprio congiunto, hanno sofferto -quali conseguenze immediate e dirette- danni nella propria sfera giuridica di natura patrimoniale e non patrimoniale, che le provvidenze assistenziali intendono - parzialmente- compensare. Il quomodo del calcolo dell'indennizzo è rimesso alla scelta discrezionale del Legislatore che, nella specie, ha inteso ancorare la modulazione del "quantum" al grado percentuale di invalidità permanente che sarebbe stato riconosciuto al militare ove non fosse deceduto (in altri casi il Legislatore ha optato, invece, per la erogazione di un "assegno una tantum" in misura fissa o parametrata proporzionalmente al tipo di lesione od al grado di invalidità permanente), e non incide sulla natura o sulla voce di danno risarcibile, trattandosi di emolumenti "omnicomprensivi" in quanto rivolti a compensare indifferentemente tutte le conseguenze pregiudizievoli, patrimoniale e non patrimoniali, subite direttamente dai familiari della vittima, e dunque a soddisfare il medesimo credito risarcitorio derivato dall'illecito e vantato "jure proprio" dai superstiti.
Ne discende la compensabilità delle dette voci indennitarie-risarcitorie.

Contratti bancari: la mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca non determina la nullità per difetto della forma scritta prevista dall’art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 385 del 1993

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 29 novembre 2018, n. 30885 (Rel. Genovese)

In tema di contratti bancari, la mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca non determina la nullità per difetto della forma scritta prevista dall'art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 385 del 1993, trattandosi non già di un requisito del contratto ma della prescrizione di un comportamento che la banca (al pari dell'intermediario finanziario, ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998) deve osservare nell'interesse del risparmiatore o correntista, altrimenti conseguendone la sanzione della nullità.

Il patto di “deduzione” nel contratto di leasing traslativo è nullo per contrarietà all’ordine pubblico economico

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 28 novembre 2018, n. 30820 (Rel. Iofrida)

In tema di leasing traslativo, risoltosi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, il patto c.d. di deduzione - per mezzo del quale deve essere riconosciuto al concedente l'importo complessivo dovuto dall'utilizzatore, a titolo di ratei scaduti e a scadere nonché quale prezzo del riscatto del bene, maggiorato degli interessi moratori convenzionali, anche se decurtato del prezzo di riallocazione del bene oggetto del contratto - è nullo per contrarietà all'ordine pubblico economico ed, in particolare, alla previsione di cui all'art. 1526 c.c., applicabile in via analogica a tutti i casi di risoluzione anticipata del contratto, anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell'utilizzatore.

L’inammissibilità dell’appello può essere rilevata dal giudice di legittimità, nel silenzio del giudice di merito

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 27 novembre 2018, n. 30635 (Rel. Oricchio)

La Suprema Corte può rilevare d'ufficio una causa di inammissibilità dell'appello che il giudice di merito non abbia riscontrato non potendosi riconoscere, al gravame inammissibilmente spiegato, alcuna efficacia conservativa del processo di impugnazione (ex multis: Cass. civ., Sez. Prima, 7 luglio 2017, n. 16863, nonché Cass. n. 25209/2014).

La compensazione delle spese per “gravi ed eccezionali ragioni” deve essere motivata

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 26 novembre 2018, n. 30585 (Rel. Orilia)

Le spese devono essere regolate secondo il criterio della soccombenza ai sensi dell'art. 91 cpc oppure, ove il il giudice ritenga di doverle compensare, è tenuto, ai sensi dell'art. 92 comma 2 cpc vigente ratione temporis, a indicare esplicitamente in motivazione quali siano le "gravi ed eccezionali ragioni" che giustifichino tale seconda soluzione oppure perché quelle ravvisate in concreto, siano gravi ed eccezionali, tenendo in considerazione il principio, più volta affermato in sede di legittimità, secondo cui le "gravi ed eccezionali ragioni", indicate esplicitamente nella motivazione per giustificare la compensazione totale o parziale, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., nella formulazione, applicabile "ratione temporis", introdotta dalla I. n. 69 del 2009, non possono essere illogiche o erronee, altrimenti configurandosi il vizio di violazione di legge, denunciabile in sede di legittimità (tra le varie, Cass., Sez. VI - 5, ordinanza 9 marzo 2017, n. 6059; Cass., Sez. VI - 5, ordinanza 31 maggio 2016, n. 11222).

La legittimità del frazionamento della pretesa creditoria

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 23 novembre 2018, n. 30493 (Rel. Orilia)

Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c (Cass. Sez. Un., sentenza 16 febbraio 2017, n. 4090). Nel caso in esame si è fuori dalla portata della citata pronuncia perché le domande di restituzione avanzate dalla società contro l'avvocato non solo non fanno capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, ma non sono neppure, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo perché, come rilevato dal Tribunale, "i titoli in forza dei quali le somme erano versate dall'appellante all'appellato sono diversi e sono rappresentati dalle plurime e diverse sentenze del giudice di pace e che solo con la riforma delle predette sentenze del giudice di pace [...] è sorto il diritto della società appellante [...] alla restituzione delle somme".

In caso di apposizione in calce alla sentenza di due date, il termine per impugnare decorre dal deposito ufficiale in cancelleria

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 23 novembre 2018, n. 30491 (Rel. Picaroni)

Nel caso in cui risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso l'apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il giudice tenuto a verificare la tempestività dell'impugnazione proposta deve accertare - attraverso un'istruttoria documentale o, in mancanza, il ricorso, se del caso, alla presunzione semplice ovvero, in ultima analisi, alla regola di giudizio di cui all'art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all'impugnante provare la tempestività della propria impugnazione - il momento di decorrenza del termine d'impugnazione, perciò il momento in cui la sentenza è divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportante l'inserimento di essa nell'elenco cronologico delle sentenze e l'attribuzione del relativo numero identificativo.

Il rilevatore di velocità, se non segnalato, non può rilevare la velocità degli autoveicoli provenienti dal senso di marcia opposto

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 22 novembre 2018, n. 30325 (Rel. Scalisi)

Pur riconoscendo la possibilità che un rilevatore della velocità, posto in un senso di marcia, possa rilevare la velocità degli autoveicoli provenienti dal senso di marcia opposto, tuttavia, la rilevazione della velocità degli autoveicoli provenienti nel senso di marcia opposto a quello ove esiste il rilevatore non è legittima perché lo strumento di rilevazione non è stato (e non avrebbe potuto essere) segnalato adeguatamente, dato che la segnaletica di avviso non potrebbe indicare l'esistenza di uno strumento di rilevazione della velocità in un altro senso di marcia.

Verifiche fiscali: il contribuente ha diritto al contraddittorio endoprocedimentale

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 21 novembre 2018, n. 30155 (Rel. Solaini)

In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l'invalidità dell'atto purché il contribuente abbia assolto all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi "armonizzati", mentre, per quelli "non armonizzati", non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito" (Cass. sez. un. 24823/15, ord. n. 11283/16, 8628/16, ord. n. 5502/16).