Responsabilità da sinistro stradale e valore probatorio del modulo di constatazione amichevole d’incidente

Cass. Civ., Sez. III, senteza 27 marzo 2019, n. 8451 (Rel. Guizzi Stefano Giaime)

"In materia di responsabilità da sinistro stradale, ogni valutazione sulla portata confessoria del modulo di constatazione amichevole d'incidente deve ritenersi preclusa dall'esistenza di un'accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto in tale documento e le conseguenze del sinistro come accertate in giudizio" (Cass. Sez. III, sentenza 25 giugno 2013, n. 15881, in senso analogo anche Cass. Sez. III, sentenza 17 settembre 2013, n. 21161; Cass. Sez. III, ordinanza 20 febbraio 2018, n. 4010, non massimata). In particolare, è stata fatta salva - nella giurisprudenza di questa Corte - la possibilità per l'adito giudicante di accertare "che la dichiarazione resa [...] nel modulo di contestazione amichevole di incidente" sia "incompatibile con la dinamica del sinistro", e ciò proprio in base ad elementi come quelli valorizzati, nella specie, dalla sentenza impugnata, ovvero, "alla luce dell'entità dei danni riportati" dal veicolo dell'attore, "della situazione dei luoghi", nonché "della mancanza di un qualsivoglia danno a carico del conducente" antagonista. Difatti, la verifica di tale "incompatibilità logica" - secondo questa Corte - "si pone come una sorta di momento antecedente rispetto all'esistenza ed alla valutazione della dichiarazione confessoria" contenuta nel "CID", fermo, peraltro, restando (essa precisa) che essa resterebbe "oggetto, comunque, di libera valutazione nei confronti dell'assicuratore, ai sensi dell'art. 2733, terzo comma, cod. civ., e dell'art. 23 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, nonché della sentenza 5 maggio 2006, n. 10311, delle Sezioni Unite di questa Corte" (così, in motivazione, Cass. Sez. III, sent. n. 15881/2013). D'altra parte, si è anche affermato che "tra le prove idonee a vincere la suddetta presunzione rientra ovviamente anche la incompatibilità materiale tra i danni riportati tra i due veicoli coinvolti nel sinistro" (così, Cass. Sez. VI-3, ordinanza 17 aprile 2018, n. 13951, non massimata), ovvero proprio taluno degli elementi valorizzati dalla sentenza sottoposto al vaglio di questa Corte.

Art. 2050 c.c.: le attività da cui scaturisce il danno devono essere pericolose per loro stessa natura od anche per i mezzi impiegati

Cass. Civ., Sez. III, sentenza 27 marzo 2019, n. 8449 (Rel. Guizzi Stefano Giaime)

Dalle "attività pericolose, che per loro stessa natura od anche per i mezzi impiegati rendono probabile e non semplicemente possibile il verificarsi di un evento dannoso e che importano responsabilità ex 2050 cod. civ., devono essere tenute distinte quelle normalmente innocue, che possono diventare pericolose per la condotta di chi le esercita e che comportano responsabilità secondo la regola generale dell'art. 2043 cod. civ.", soggiungendosi che "il giudizio di pericolosità deve essere espresso non già sulla base dell'evento dannoso, effettivamente verificatosi, sebbene secondo una prognosi postuma, che il giudice deve compiere sia facendo uso delle nozioni della comune esperienza, sia in relazione alle circostanze di fatto che si presentavano al momento dell'esercizio dell'attività e che erano conosciute o conoscibili dall'agente in considerazione del tipo di attività esercitata" (così, in motivazione, Cass. Sez. III, sentenza 15 ottobre 2004, n. 20334). Del pari, ricorrente - nella giurisprudenza di questa Corte - è l'affermazione secondo cui "la valutazione in concreto se un'attività, non espressamente qualificata pericolosa da una disposizione di legge, possa essere considerata tale per la sua natura o la spiccata potenzialità offensiva dei mezzi adoperati, implica un accertamento di fatto" che è "rimesso in via esclusiva al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità ove correttamente e logicamente motivata" (così, da ultimo, Cass. Sez. III, sentenza 20 maggio 2015; in senso analogo già Cass. Sez. III, sentenza n. 20334/2004; nonché Cass. Sez. III, sentenza 17 gennaio 2007, n. 1195).

Il risarcimento del danno ai prossimi congiunti di vittima primaria di illecito costituente reato

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 27 marzo 2019, n. 8442 (Rel. Guizzi Stefano Giaime)

"In tema di risarcimento del danno ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali", spetta a costoro "anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso", fermo restando che, trattandosi di "una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte non è accertabile con metodi scientifici e, dall'altra, come per tutti i moti dell'animo, solo quando assume connotazioni eclatanti può essere provato in modo diretto, non escludendosi, però, che, il più delle volte, esso possa essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità" (Cass. Sez. III, sentenza 3 aprile 2008, n. 8546).

La circostanza che le spese per spostamenti e permanenza, in diverse città, ove i ricorrenti si erano recati per ragioni di cura della propria figlia, fossero "documentabili", senza essere state però specificamente documentate nel loro ammontare, non costituisce ragione per negarne il rimborso, salvo che non si escluda la ricorrenza di quelle trasferte (affermazione della quale nella sentenza non vi è, però, traccia), e ciò alla stregua del principio secondo cui, in presenza di sinistri "che abbiano costretto il leso ed i suoi familiari a numerosi e ripetuti ricoveri, purché questi ultimi siano documentati, il giudice può liquidare il danno consistito nelle erogazioni per viaggi di cura e spese mediche anche in assenza della prova dei relativi esborsi, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ." (Cass. Sez. III, sentenza 19 gennaio 2010, n. 712; nello stesso senso già Cass. Sez. III, sentenza 10 dicembre 1999, n. 13358). Si tratta, per vero, di principio enunciato, in passato, con esclusivo riferimento "a lesioni personali di devastante entità", ma che, a giudizio di questo collegio, deve essere esteso a tutte quelle che abbiano determinato postumi che superino la soglia - legislativamente stabilita - della "micropermanenza", ancorandola, così, ad un dato normativo certo, piuttosto che a quello di una (non meglio precisata) natura "devastante" delle conseguenze lesive del sinistro.

L’attestazione di conformità nel ricorso per Cassazione

Cass. Civ., Sez. un., sentenza 25 marzo 2019, n. 8312 (Rel. Tria)

1) Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l'applicazione della sanzione dell'improcedibilità ove l'unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005. Invece, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, il ricorrente ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio nell'ipotesi in cui l'unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga soltanto intimato (oppure tali rimangano alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso) oppure comunque il/i controricorrente/i disconosca/no la conformità all'originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata;
2) i medesimi principi si applicano all'ipotesi di tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata - e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute - senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa;
3) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata redatta in formato elettronico e firmata digitalmente (e necessariamente inserita nel fascicolo informatico) senza attestazione di conformità del difensore ex art. 16-bis, comma 9-bis, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l'applicazione della sanzione dell'improcedibilità ove l'unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale della decisione stessa. Mentre se alcune o tutte le controparti rimangono intimate o comunque depositino controricorso ma disconoscano la conformità all'originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il ricorrente, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica della decisione impugnata sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio;
4) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e iter, della legge n. 53 del 1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l'applicazione della sanzione dell'improcedibilità ove l'unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale della decisione stessa. Mentre se alcune o tutte le controparti rimangono intimate o comunque depositino controricorso ma disconoscano la conformità all'originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il ricorrente, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica della decisione impugnata sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio;
5) la comunicazione a mezzo PEC a cura della cancelleria del testo integrale della decisione (e non del solo avviso del relativo deposito), consente di verificare d'ufficio la tempestività dell'impugnazione, mentre per quanto riguarda l'autenticità del provvedimento si possono applicare i suindicati principi, sempre che ci si trovi in "ambiente digitale".

Processo tributario: in caso di notificazione a mezzo servizio postale, il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente decorre giorno della ricezione del plico da parte del destinatario

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 21 marzo 2019, n. 8095 (Rel. Esposito)

Nel processo tributario, il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente (o dell'appellante), che si avvalga per la notificazione del servizio postale universale, decorre non dalla data della spedizione diretta del ricorso a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, ma dal giorno della ricezione del plico da parte del destinatario (o dall'evento che la legge considera equipollente alla ricezione)» (conf. Cass., Sez. Un., n. 13453 del 2017).

Le Sezioni Unite sulla necessità di riproporre le domande e le eccezioni non esaminate in primo grado entro il primo atto difensivo e non oltre la prima udienza

Cass. Civ., Sez. un., sentenza 21 marzo 2019, n. 7940 (Rel. Falaschi)

Nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla l. n. 353 del 1990 e successive modifiche, le parti del processo di impugnazione - che costituisce pur sempre una revisio prioris istantiae – nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale; art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado.

Il ricorso per Cassazione non è improcedibile ove la relata di notifica della sentenza impugnata sia nella disponibilità del giudice, ancorché non depositata dal ricorrente

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 19 marzo 2019, n. 7688 (Rel. Cirillo)

Nel giudizio di cassazione deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ai sensi dell'art. 369, secondo comma, n. 2), cod. proc. civ., al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest'ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l'istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (Cass., Sez. un., sentenza 2 maggio 2017, n. 10648).

Nelle polizze unit linked miste deve sussistere il rischio demografico

Cass. Civ., Sez. III, sentenza 5 marzo 2019, n. 6319 (Rel. Di Florio)

Nelle polizze unit linked, caratterizzate dalla componente causale mista ( finanziaria ed assicurativa sulla vita ), anche ove sia prevalente la causa "finanziaria", la parte qualificata come "assicurativa" deve comunque rispondere ai principi dettati dal codice civile, dal codice delle assicurazioni e dalla normativa secondaria ad essi collegata con particolare riferimento alla ricorrenza del "rischio demografico" rispetto al quale il giudice di merito deve valutare l'entità della copertura assicurativa che, avuto riguardo alla natura mista della causa contrattuale, dovrà essere vagliata con specifico riferimento all'ammontare del premio versato dal contraente, all'orizzonte temporale ed alla tipologia dell'investimento. Il giudice di merito dovrà valutare, con adeguata e logica motivazione se, in relazione a tali indici, la misura prevista sia in grado di integrare concretamente il "rischio demografico".

Spese processuali: la soccombenza può essere determinata anche da ragioni di carattere processuale

Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 13 marzo 2019, n. 7209 (Rel. Crucitti)

Agli effetti del regolamento delle spese processuali, la soccombenza può essere determinata non soltanto da ragioni di merito, ma anche da ragioni di ordine processuale, non richiedendo l'art. 91 c.p.c., per la statuizione sulle spese, una decisione che attenga al merito, bensì una pronuncia che chiuda il processo davanti al giudice adito, tale dovendosi considerare anche la pronuncia con cui il giudice d'appello rimette le parti davanti al primo giudice per ragioni di giurisdizione ai sensi dell'art. 353 c.p.c. (v. Cass. Sez. Un. n. 583 del 10/08/1999, ribadita, di recente, da Cass. n. 22257 del 13/09/2018).

La responsabilità dell’ente proprietario della strada in caso di danni discendenti dal difetto di manutenzione dei fondi privati limitrofi

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 12 marzo 2019, n. 7096 (Rel. Olivieri)

L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, benché non abbia la custodia dei fondi privati che la fiancheggiano e, quindi, non sia tenuto alla loro manutenzione, ha l'obbligo di vigilare affinché dagli stessi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada, nonché - ove, invece, esse si verifichino - quello di attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere, sicché è in colpa, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1176, secondo comma, cod. civ. e 2043 cod. civ., qualora, pur potendosi avvedere con l'ordinaria diligenza della situazione di pericolo, non l'abbia innanzitutto segnalata ai proprietari del fondo, né abbia adottato altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione (cfr. Cass. Sez. III, sentenza n. 22330 del 22/10/2014; id. Sez. III, ordinanza n. 6141 del 14/03/2018).