Il principio di non contestazione e il regime delle preclusioni

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 12 marzo 2019, n. 7093 (Rel. Olivieri)

La valutazione della condotta processuale del convenuto, agli effetti della non contestazione dei fatti allegati dalla controparte (art. 416, comma 3, come sostituito dalla L. n. 533 del 1973 sul rito del lavoro; art. 167 c.p.c., comma 1, novellato dalla L. n. 353 del 1990; art. 115, comma 1, come modificato dalla L. n. 69 del 2009), deve essere correlata al regime delle preclusioni, che la disciplina normativa del giudizio ordinario di cognizione ricollega all'esaurimento delle fase processuale entro la quale è consentito ancora alle parti di "aggiustare il tiro", sia allegando nuovi fatti -diversi da quelli indicati negli atti introduttivi- , sia revocando espressamente la non contestazione dei fatti già allegati, sia ancora "deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte". Il principio di non contestazione opera, pertanto, quale criterio residuale cui ricorre il Giudice nella ricostruzione della fattispecie concreta nel caso in cui non sia in grado di pervenire all'accertamento positivo dei fatti storici in base alle risultanze probatorie a disposizione, soltanto dopo la definizione della fase di trattazione, in quanto solo allora può ritenersi formata la preclusione dell'esercizio del potere di allegazione e deduzione delle parti. La condotta del convenuto non contestativa dei fatti allegati dall'attore è retrattabile nei termini previsti per il compimento delle attività processuali consentite dall'art. 183 c.p.c., risultando preclusa ogni ulteriore modifica determinata dall'esercizio della facoltà allegatoria e deduttiva, all'esito della fase di trattazione, venendo a cristallizzarsi l'oggetto del giudizio con la definizione del thema decidendum e del thema probandum.

Condanna alle spese per la chiamata in garanzia: a carico dell’attore se la domanda è infondata

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 4 marzo 2019, n. 6292 (rel. G. Federico)

Il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alla pretesa dell'attore stesso e questa siano risultate infondate, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l'iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria( Cass. 7431/2012).
In tema di spese processuali, dunque, solo la palese infondatezza della domanda di garanzia proposta dal convenuto nei confronti del terzo chiamato comporta l'applicabilità del principio di soccombenza nel rapporto processuale instauratosi tra loro, anche quando l'attore sia, a sua volta, soccombente nei confronti del convenuto chiamante, atteso che quest'ultimo sarebbe stato soccombente nei confronti del terzo anche in caso di esito diverso della causa principale (Cass. 10070/2017).

Le richieste istruttorie rigettate devono essere reiterate al momento della precisazione delle conclusioni, altrimenti si considerano rinunciate

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 7 marzo 2019, n. 6590 (Rel. Olivieri)

La parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poiché, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello, non potendosi ritenere assolto tale onere attraverso il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione il "thema" sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle (sole) richieste - istruttorie e di merito - definitivamente proposte (cfr. Cass. Sez. III, sentenza n. 25157 del 14/10/2008; id. Sez. III, sentenza n. 16290 del 04/08/2016; id. Sez. III, ordinanza n. 19352 del 03/08/2017).

Investimento pedone – Prova rigorosa a carico del conducente per escludere la presunzione di responsabilità

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 28 febbraio 2019, n. 5819 (rel. P. Gianniti)

Al fine di poter superare la presunzione legale di responsabilità a carico dell'investitore, attribuendo alla condotta del pedone l'esclusiva responsabilità del mortale sinistro, è necessario individuare quale avrebbe dovuto essere la corretta condotta di guida del conducente del veicolo investitore alla luce dei principi che governano la materia.
Infatti, in materia di responsabilità civile da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, in caso di investimento di pedone, la responsabilità del conducente è esclusa soltanto nel caso in cui risulti provato che non vi era, da parte di quest'ultimo, alcuna possibilità di prevenire l'evento, situazione questa ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile ed anormale, sicchè l'automobilista si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti. (cfr. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 4551 del 22/02/2017).
E, in caso di investimento del pedone, la prova liberatoria, che al conducente spetta fornire, è particolarmente rigorosa, tanto che la responsabilità di quest'ultimo non viene meno neppure nel caso in cui il pedone abbia repentinamente attraversato la strada, sempre che tale condotta anomala del pedone fosse, per le circostanze di tempo e di luogo, ragionevolmente prevedibile (Sez. 3, Sentenza n. 524 del 12/01/2011).

Il termine breve di impugnazione decorre, anche per il notificante, dalla data in cui la notifica viene eseguita nei confronti del destinatario

Cass. Civ., Sez. un., sentenza 4 marzo 2019, n. 6278 (Rel. Lombardo)

In tema di notificazione della sentenza ai sensi dell'art. 326 cod. proc. civ., il termine breve di impugnazione di cui al precedente art. 325, decorre, anche per il notificante, dalla data in cui la notifica viene eseguita nei confronti del destinatario, in quanto gli effetti del procedimento notificatorio, quale la decorrenza del termine predetto, vanno unitariamente ricollegati al suo perfezionamento e, proprio perché interni al rapporto processuale, sono necessariamente comuni ai soggetti che ne sono parti.

L’irritualità della notificazione di un atto a mezzo PEC non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 14 febbraio 2019, n. 4505 (Rel. Vincenti)

L'irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica - nella specie, in "estensione.doc", anziché "formato.pdf' - ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass., SU, n. 7665/2016). Ciò che, per l'appunto, come evidenziato, è avvenuto nel caso di specie, là dove, inoltre, risulta del tutto equipollente la dizione "notificazione ex 1. n. 53/1994" rispetto a quella, prevista dall'art. 3, comma 4, della citata legge n. 53, di "notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994"; in definitiva, la parte ricorrente non adduce uno specifico pregiudizio al diritto di difesa, né l'eventuale difformità tra il testo recapitato telematicamente, sia pure con estensione.doc in luogo del formato.pdf, e quello cartaceo depositato in cancelleria, in contrasto con il principio per cui la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l'interesse all'astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione (tra le tante, Cass. n. 26831/2014); il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Procura alle liti rilasciata dopo la notifica dell’atto

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 7 marzo 2019, n. 6724 (Rel. Doronzo)

Il principio secondo cui gli effetti degli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva (salvi i diritti dei terzi) non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere rilasciata con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dall'art. 125 c.p.c., il quale dispone che la procura al difensore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché però anteriormente alla costituzione della parte rappresentata, e sempre che per l'atto di cui trattasi non sia richiesta dalla legge la procura speciale, come nel caso del ricorso per cassazione, restando conseguentemente esclusa, in tale ipotesi, la possibilità di sanatoria e ratifica (conf. Cass. 9/4/2009 n. 8708; Cass. 11/06/2012, n. 9464; Cass. Sez. Un., 13/06/2014, n. 13431).

Insidia – Macchia d’olio – Caso fortuito – Danni da cose in custodia – art. 2051 c.c.

Giudice di Pace di Messina, sentenza 4 marzo 2019, n. 397 (g. A. Sidoti)

Deve rigettarsi la domanda di risarcimento dei danni occorsi a causa di una insidia stradale laddove parte attrice, sebbene abbia fornito la prova della presenza di una sostanza oleosa sulla sede autostradale percorsa (per il tramite del rapporto di Polizia Stradale) e del probabile nesso causale tra la stessa e i danni subiti, non abbia tuttavia provato che tra l'insorgere dell'insidia (olio sulla carreggiata) ed il sinistro fosse inutilmente trascorso quel lasso di tempo ragionevolmente necessario per rimuovere o segnalare il pericolo, dovendosi l'evento dannoso ritenere in tale ipotesi riconducibile al caso fortuito non addebitabile all'ente custode/gestore della strada.
La responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., opera in relazione ai beni demaniali, con riguardo alla causa concreta del danno, rimanendo l'amministrazione liberata dalla responsabilità suddetta ove dimostri che l'evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione (nella specie, una macchia d'olio, presente sulla pavimentazione stradale, che aveva provocato un sinistro stradale) la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode (Cass. Civ., ord. 27/03/2017, n. 7805; Cass. Civ., n. 9631/2018; Cass. Civ. n. 6101/2013).

Provvedimento sulle spese nella fase cautelare: inammissibile il ricorso per Cassazione

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 1 marzo 2019, n. 6180 (Rel. Criscuolo)

In tema di procedimenti cautelari, l'ordinanza con la quale il Tribunale, rigettando il reclamo, condanni il reclamante alle spese, non è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., dovendo il soccombente, che non intenda iniziare il giudizio di merito, opporsi al precetto intimato, o all'esecuzione iniziata, sulla base dell'ordinanza, fermo restando che nel conseguente giudizio di opposizione, che è giudizio a cognizione piena, la condanna alle spese può essere ridiscussa senza limiti, come se l'ordinanza sul reclamo, che è provvedimento a cognizione sommaria, fosse, sul punto, titolo esecutivo stragiudiziale (conf. Cass. n. 11370/2011). E' pur vero che il secondo precedente richiamato attiene ad un'ipotesi di reclamo avverso provvedimento in materia cautelare richiesto ante causam, ma non si ritiene che tale elemento possa avere efficacia discriminante ai fini dell'ammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost., essendosi, infatti, ribadita l'inammissibilità del ricorso dinanzi a questa Corte dei provvedimenti sulle spese ove il reclamo ex art. 669- terdecies c.p.c., sia stato proposto avverso il provvedimento reso all'esito della fase cautelare nel caso di procedimenti di nunciazione (cfr. Cass. n. 16259/2017; Cass. n. 4904/2015).

Ricorso per Cassazione promosso da società estinta

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 4 marzo 2019, n. 6293 (Rel. Guido)

In tema di ricorso per cassazione la regola dell'ultrattivita' del mandato alla lite, pur consentendo la notifica del ricorso della controparte presso il difensore in appello della società estinta, non vale per la proposizione del ricorso per cassazione, che esige la procura speciale e deve quindi essere effettuata dai soci; d'altro canto il ricorso per cassazione proposto dall'ex rappresentante della società cancellata dal registro delle imprese e' inammissibile, non potendo invocarsi l'ultrattività del mandato eventualmente conferito al difensore dei precedenti gradi del giudizio, sia perché l'operatività di tale principio presuppone che si agisca in nome di un soggetto esistente e capace di stare in giudizio, sia perché la proposizione di quel ricorso richiede apposita procura speciale ( Cass. n. 2444/2017).