Inoperatività della garanzia: l’eccezione su polizza è mera difesa e non eccezione in senso proprio

Tribunale di Catania, sez. V civ., sentenza 27 maggio 2019, n. 2220 (g. G. Artino Innaria)

In tema di assicurazione della responsabilità civile, l'eccezione di inoperatività della polizza assicurativa non costituisce un'eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa volta a contestare il fondamento della domanda, assumendo l'estraneità dell'evento ai rischi contemplati nel contratto. Essa, pertanto, è deducibile per la prima volta in appello.
Ne viene che la contestazione dell'operatività della garanzia assicurativa non integra una eccezione in senso proprio, attinente ad un fatto impeditivo-estintivo del diritto dell'assicurato, di cui deve dare prova l'assicuratore, bensì costituisce una mera difesa, che investe i fatti costitutivi della domanda dell'assicurato, cui, pertanto, incombe l'onere di dimostrare l'esistenza della polizza e la sua operatività, anche con riguardo all'avvenuto adempimento degli obblighi di pagamento dei premi.
Nel caso di specie, non avendo l'assicurato assolto tale onere probatorio, la domanda di manleva è stata rigettata.

Quando l’accertamento strumentale non è indispensabile

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 18 aprile 2019, n. 10819 (Rel. Di Florio)

La norma di cui all'art. 139 co. 2 Dlgs 209/2005, come modificato dall'art. 32 co 3-ter e 3 quater DL 1/2012 , convertito con L. 27/2012, deve essere interpretata nel senso di imporre un accertamento rigoroso in rapporto alla singola patologia, tenendo presente che vi possono essere situazioni nelle quali, data la natura della malattia e la modestia della lesione, l'accertamento strumentale risulta, in concreto, l'unico in grado di fornire la prova rigorosa che la legge richiede; ma di non ignorare che sono possibili casi in cui si possa giungere ad una diagnosi attendibile anche senza ricorrere a detti accertamenti, tenuto conto del ruolo insostituibile della visita medico legale e dell'esperienza clinica dello specialista, mediante le quali dovranno essere rassegnate al giudice conclusioni scientificamente documentate e giuridicamente ineccepibili, che è ciò che, soltanto, la legge attualmente richiede.

La liquidazione finalisticamente unitaria del danno non patrimoniale

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 29 marzo 2019, n. 8755 (Rel. Scrima)

La liquidazione finalisticamente unitaria del danno non patrimoniale (non diversamente da quella prevista per il danno patrimoniale) ha il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito tanto sotto l'aspetto della sofferenza interiore (cui potrebbe assimilarsi, in una suggestiva simmetria legislativa, il danno emergente in guisa di vulnus "interno" arrecato al patrimonio del creditore), quanto sotto quello dell'alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (danno idealmente omogeneo al cd. "lucro cessante" quale proiezione "esterna" del patrimonio del soggetto).

Polizza claims made senza postuma: inoperativa se la denuncia del sinistro perviene dopo la scadenza della polizza

Tribunale di Brescia, sez. II, sentenza 2 maggio 2019 (g. L. Ambrosoli)

E' oggi pacifica - in giurisprudenza e per espresso riconoscimento normativo in alcuni settori - la validità dello schema contrattuale delle clausole che c.d. claims made del tipo di quelle oggetto di causa c.d. pure, le quali, in deroga al modello codicistico delineato dall'art. 1917 c.c, circoscrivono la copertura assicurativa ai sinistri le cui richieste di indennizzo sono giunte nel periodo di vigenza della polizza; tali clausole, infatti, poiché sono volte non a limitare la responsabilità dell'assicurazione ma a specificare il rischio garantito, riguardando il contenuto e la garanzia assicurativa, si qualificano come delimitative dell'oggetto del contratto e, pertanto, non sono soggette alla disciplina delle clausole limitative della responsabilità (Cass. Sez. Un. 6.05.2016 n. 9140).
Superato il vaglio di validità in via astratta, va considerato che, in ogni caso, deve essere condotta la verifica sulla fattispecie in concreto, in ordine agli eventuali profili di nullità della clausola in base al contenuto specifico, avuto riguardo alle varie fasi contrattuali, dalle trattative prenegoziali sino all'attuazione del rapporto (Cass. Sez. Un. 24.09.2018 n. 22437).
Tuttavia tali profili problematici devono emergere in causa ovvero l'interessato deve evidenziare criticità diverse dalla nullità della clausola in termini astratti.
Nel caso di specie, il convenuto ha genericamente censurato di nullità la clausola claims, seguendo un'interpretazione della fattispecie ad oggi superata.

Gli eredi del trasportato non possono agire iure proprio ex art. 141 C.d.A.

Cass. Civ., sez. III, sentenza 27 maggio 2019, n. 14388 (rel. E. Iannello)

Gli eredi del terzo trasportato non sono legittimati ad esercitare, in relazione a danni subiti iure proprio, l'azione diretta ex art. 141 d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), essendo questa riservata al terzo trasportato.
E' da escludere anzitutto che la lettera della legge consenta l'estensione del suo campo di applicazione a danneggiati diversi dal terzo trasportato: oltre al significato proprio del termine, appare non superabile il ripetuto riferimento al «veicolo a bordo del quale (il danneggiato) si trovava al momento del sinistro».
Ma è anche da escludere che la norma sia suscettibile di applicazione analogica. Infatti, la portata certamente innovativa della norma — ancorché apprezzabile, non con riferimento al fondamento della responsabilità, ma sul piano degli oneri di allegazione e prova gravanti sul soggetto (il terzo trasportato) cui è attribuito il potere di azione diretta ai fini del risarcimento del danno — conferisce alla stessa carattere eccezionale, che osta ad una sua applicazione analogica a casi non espressamente previsti.

Danno parentale: la liquidazione deve avvenire su base equitativa, avvalendosi di parametri oggettivi

Cass. Civ., Sez. III, sentenza 27 maggio 2019, n. 14392 (Rel. Valle)

Ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire "iure proprio" contro il responsabile. La liquidazione di tale tipologia di danno deve avvenire in via equitativa, in forza di una sua valutazione complessiva, potendosi ricorrere a presunzioni sulla base di elementi oggettivi, forniti dal danneggiato, quali le abitudini di vita, la consistenza del nucleo familiare e la compromissione delle esigenze familiari.»

La liquidazione equitativa del danno parentale derivante da rilevante grado di invalidità biologica riportato dal congiunto

Cass. Civ., Sez. III, sentenza 27 maggio 2019, n. 14391 (Rel. Valle)

Non comporta violazione dei parametri di valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ. la liquidazione del danno non patrimoniale (nella specie da perdita parentale) operata con riferimento a tabelle diverse da quelle elaborate dal Tribunale di Milano, qualora al danneggiato sia riconosciuto un importo corrispondente a quello risultante da queste ultime, restando irrilevante la mancanza di una loro diretta e formale applicazione. Nel caso in scrutinio la Corte territoriale ha applicato la valutazione equitativa per la liquidazione del danno parentale, concretizzatosi nel mutamento delle abitudini di vita e nella parziale connpromissione del rapporto coniugale, assumendo quali parametri di riferimento: l'età del marito (vittima primaria) danneggiato, pari a quarantadue anni, la percentuale di invalidità biologica, pari al sessantacinque per cento riportata dal de cuius pervenendo così ad una liquidazione di euro quarantamila, dalla quale ha quindi effettuato una decurtazione a seguito del ritenuto concorso di colpa, pari al venticinque per cento, del de cuius nella causazione dell'incidente. Nel caso di specie, la liquidazione del danno parentale a seguito del rilevante grado di invalidità biologica riportato dal congiunto è avvenuta ricorrendo al criterio equitativo, criterio ancorato a parametri quali, il grado di invalidità, l'età della vittima primaria (parametri utilizzati dalla Corte territoriale), e tale modalità di calcolo deve ritenersi pienamente consentita.

Il riparto dell’onere probatorio nelle azioni di responsabilità per danni patiti dall’investitore

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 24 maggio 2019, n. 14335 (Rel. Amatore)

Nelle azioni di responsabilità per danni subiti dall'investitore - nelle quali occorre accertare se l'intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, dal d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 e dalla normativa secondaria - il riparto dell'onere della prova si atteggia nel senso che, dapprima, l'investitore ha l'onere di allegare l'inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell'intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l'inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l'intermediario, a sua volta, avrà l'onere di provare l'avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di aver agito "con la specifica diligenza richiesta" (Cass. 17 febbraio 2009, n. 3793, al riguardo confermata da Cass. 29 ottobre 2010, n. 22147). È proprio applicando il principio sull'onere della prova nella materia contrattuale enunciato dalle Sezioni unite (Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533) che l'investitore dovrà allegare l'inadempimento di quelle obbligazioni disciplinate dal t.u.f. e dalla normativa regolamentare, e dovrà fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra questo e l'inadempimento.

Nell’accertamento del nesso causale, il “più probabile che non” deve essere identificato in una causa ben definita e non ignota

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 23 maggio 2019, n. 14108 (Rel. Graziosi)

Sul piano strettamente giuridico, non si può non rilevare che il fatto che possano sussistere una pluralità di serie causali non esonera il giudice dall'individuare quale sia la serie "vincente" - ovvero quella "più probabile che non" - nello sprigionare gli effetti causativi. Non gli è dato astenersi dall'accertamento di quale è la causa, pur se l'accertamento si attesta su un livello probabilistico, e invece, nel caso in esame, la corte territoriale ha ritenuto "più probabile che non" una causa non identificata - in sostanza, perché eventualmente possibile -, e sulla base di tale puro asserto ha "superato" la causa dell'inciampo nel faldone addotta dall'attrice. L'iter seguito dalla corte è in effetti singolare: può sussistere una causa ignota, ergo la causa ignota è quella "più probabile che non". In questo modo, non solo viene alterato il canone del "più probabile che non" - da canone logico/ricostruttivo a canone apodittico/assertivo -, ma altresì viene privata di pregnanza la norma di cui all'articolo 2051 c.c. che la stessa Corte d'appello aveva poco prima richiamato invocando la giurisprudenza sulla responsabilità da custodia formata da questa Corte Suprema. Il ragionamento del giudice d'appello, in ultima analisi, crea in effetti una sorta di presunzione nel senso che la cosa in custodia non cagiona alcunché di lesivo, in quanto ogni lesione discende da una causa ignota che, paradossalmente, tanto è ignota quanto è più probabile di ogni altra.

Responsabilità professionale del medico: nesso causale e colpa

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 23 maggio 2019, n. 13950 (Rel. Fiecconi)

In tema di responsabilità professionale del medico chirurgo, un' accurata ricognizione del complesso rapporto intercorrente tra la fattispecie del nesso causale e quella della colpa, con specifico riferimento ai rispettivi, peculiari profili probatori, consente la enunciazione dei seguenti principi: 1) il nesso di causalità è elemento strutturale dell'illecito che deve provare l'attore deducente, e pertanto corre - su di un piano strettamente oggettivo e secondo una ricostruzione logica di tipo sillogistico - tra un comportamento (dell'autore del fatto) astrattamente considerato (e non ancora utilmente qualificabile in termini di "damnum iniuria datum) e l'evento; 2) nell'individuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento, si prescinde, in prima istanza, da ogni valutazione di prevedibilità, tanto soggettiva quanto "oggettivata", da parte dell'autore del fatto, essendo il concetto logico di "previsione" insito nella categoria giuridica della colpa (elemento qualificativo dell'aspetto soggettivo del torto, la cui analisi si colloca in una dimensione temporale successiva in seno alla ricostruzione della complessa fattispecie dell'illecito); 3) il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto) che abbia generato, o anche solo contribuito a generare, tale obbiettiva relazione col fatto deve considerarsi "causa" dell'evento stesso; 4) il nesso di causalità giuridica è, per converso, relazione eziologica per cui i fatti sopravvenuti, di per sé soli idonei a determinare l'evento, interrompono il nesso con il fatto di tutti gli antecedenti causali precedenti; 5) la valutazione del nesso di causalità giuridica, tanto sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, quanto sotto l'aspetto della individuazione del "novus actus interveniens", va compiuta secondo criteri a) di probabilità scientifica, ove questi risultino esaustivi; b) di logica, se appare non praticabile (o insufficientemente praticabile) il ricorso a leggi scientifiche di copertura; con l'ulteriore precisazione che, nell'illecito omissivo, l'analisi morfologica della fattispecie segue un percorso affatto speculare - quanto al profilo probabilistico - rispetto a quello commissivo, dovendosi, in altri termini, accertare il collegamento evento/comportamento omissivo in termini di probabilità inversa, onde inferire che l'incidenza deI comportamento omesso si pone in relazione non/probabilistica con l'evento (che, dunque, si sarebbe probabilmente avverato anche se il comportamento fosse stato posto in essere), a prescindere, ancora, dall'esame di ogni profilo di colpa intesa nel senso di mancata previsione dell'evento e di inosservanza di precauzioni doverose da parte dell'agente (conf. cass., Sez. III, sentenza n. 7997 del 18/04/2005; Cass., Sez. III, sentenza n. 3704 de I 15/02/2018; Cass., Sez. III, ordinanza n. 23197 del 27/09/2018).