Presunzione di pari responsabilità ai sensi dell’art. 2054, secondo comma, c.c.

Cass. Civ., sez. III, sentenza 20 marzo 2020, n. 7479 (rel. Moscarini)

L'art. 2054 2° co. c.c. è applicabile anche nel caso in cui vi sia stato, da parte dell'organo giudicante, un accertamento positivo sulla responsabilità di uno dei conducenti coinvolti nel sinistro e non vi sia alcuna certezza circa l'eventuale corresponsabilità del danneggiato.
In ogni caso, infatti, anche laddove la responsabilità prevalente o esclusiva di uno dei due veicoli coinvolti fosse stata acclarata senza alcun ragionevole dubbio, anche in tal caso il giudice non sarebbe esonerato dall'onere di accertare che il veicolo danneggiato si fosse attenuto al rispetto delle norme del codice della strada ed a quelle di comune prudenza.

Decreto Cura Italia: patente di guida – assicurazione RCA – risarcimento sinistri – revisione auto

D.L. 17 marzo 2020, n. 18
Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per le famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19.

Il. c.d. Decreto Cura Italia dispone che:

- la validità ad ogni effetto dei documenti di riconoscimento e di identità rilasciati da amministrazioni pubbliche, scaduti o in scadenza successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, è prorogata al 31 agosto 2020. La validità ai fini dell'espatrio resta limitata alla data di scadenza indicata nel documento (art. 104);

- è autorizzata fino al 31 ottobre 2020 la circolazione dei veicoli da sottoporre entro il 31 luglio 2020 alle attività di visita e prova ovvero alle attività di revisione (art. 92, comma 4);

- fino al 31 luglio 2020, il termine di cui all'articolo 170-bis, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, entro cui l'impresa di assicurazione è tenuta a mantenere operante la garanzia prestata con il contratto assicurativo fino all'effetto della nuova polizza, è prorogato di ulteriori quindici giorni (art. 125, comma 2);

- fino al 31 luglio 2020, i termini di cui all'art. 148, commi 1 e 2 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per la formulazione dell'offerta o della motivata contestazione, nei casi di necessario intervento di un perito o del medico legale ai fini della valutazione del danno alle cose o alle persone, sono prorogati di ulteriori 60 giorni (art. 125, comma 3).

Effetti della sentenza penale di patteggiamento nel giudizio civile

Cass. Cvi, sez. III, ordinanza 11 marzo 2020, n. 7014 (rel. Di Florio)

La sentenza penale di patteggiamento nel giudizio civile di risarcimento e restituzione non ha efficacia di vincolo, non ha efficacia di giudicato, e non inverte l'onere della prova.
La sentenza penale di patteggiamento per il giudice civile non è un atto, ma un fatto; e come qualsiasi altro fatto del mondo reale può costituire un indizio, utilizzabile solo insieme ad altri indizi e se ricorrono i tre requisiti di cui all'art. 2729 c.c.

Danni da mora nelle obbligazioni di valore – Acconti – Credito da mora debendi

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 24 gennaio 2020, n. 1637 (rel. Rossetti)

La liquidazione del danno da mora nelle obbligazioni di valore deve, per così dire, "simulare" il vantaggio che il creditore avrebbe potuto ricavare dall'investimento della somma a lui dovuta, se gli fosse stata tempestivamente pagata.
E' dunque evidente che, nel caso di pagamenti in acconto, il creditore:
(a) nel periodo compreso tra il danno e il pagamento dell'acconto, a causa della mora ha perduto la possibilità di investire e far fruttare l'intero capitale dovutogli: e dunque il danno da mora deve, per questo periodo, replicare il lucro che gli avrebbe garantito l'investimento dell'intero capitale;
(b) dopo il pagamento del (primo) acconto, e per effetto di quest'ultimo, il creditore non può più dolersi di avere perduto i frutti finanziari teoricamente derivanti dall'investimento dell'intero capitale dovutogli; dopo il pagamento dell'acconto, infatti, il lucro cessante del creditore si riduce alla perduta possibilità di investire e far fruttare il capitale che residua, dopo il pagamento dell'acconto.

Danni da perdita della capacità lavorativa e di guadagno: oneri di allegazione e prova

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3541 (rel. Rossetti)

Il danno da riduzione della capacità di guadagno non è "in re ipsa" in relazione al grado di invalidità permanente residuato ad un infortunio, in quanto quest'ultimo è solo un indizio, di per sé non decisivo, dal quale il giudice di merito può ricavare in via indiretta l'effettiva esistenza di una compromissione della capacità di lavoro e di guadagno.
Un indizio, però, non necessariamente "grave" ai sensi dell'art. 2729 c.c., e la cui decisività va apprezzata con riferimento alle specificità del caso concreto: ed in particolare al lavoro svolto dalla vittima.
Non vi è, infatti, alcuna corrispondenza biunivoca tra entità del danno alla salute ed entità del danno patrimoniale da incapacità lavorativa che da quella lesione possa essere derivato. Lesioni anche minime, infatti, possono pregiudicare per sempre lo svolgimento dell'attività lavorativa (si pensi all'abbassamento del visus di 1/10 per un pilota di aerei di linea); così come, all'opposto, lesioni anche molto gravi possono risultare di fatto prive d'incidenza sull'attività di lavoro (si pensi alla perdita d'un arto inferiore per un notaio).
Pertanto è onere di colui il quale domanda il risarcimento del danno da incapacità lavorativa allegare e provare quale lavoro svolgesse al momento dell'infortunio; quale fosse il suo reddito; quale l'incidenza che i postumi hanno avuto sulla concreta gestualità lavorativa e sull'esecuzione del mansionario affidatogli.

Il triplo della pensione sociale (oggi, più correttamente, "assegno sociale" ex art. 3, comma 6, 1. 8.8.1995 n. 335) previsto dall'art. 137 cod. ass. non costituisce affatto una soglia minima di risarcimento, ma un criterio residuale di liquidazione del danno applicabile quando la persona infortunata non abbia un reddito, oppure abbia un reddito così esiguo, incostante o provvisorio, da lasciar presumere che in futuro quel reddito sarebbe certamente aumentato.
Si è stabilito, in particolare, che la liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa, patito in conseguenza di un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro, deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima, e non il triplo della pensione sociale. Il ricorso a tale ultimo criterio, ai sensi dell'art. 137 cod. ass., può essere consentito solo quando il giudice di merito accerti, con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che la vittima al momento dell'infortunio godeva sì un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato (Sez. 3 -, Ordinanza n. 25370 del 12/10/2018; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 8896 del 04/05/2016).

Sui principi in tema di danno non patrimoniale

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 11 marzo 2020, n. 7024 (rel. Travaglino)

Richiamando la più recente ed ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass. 17/01/2018, n. 901; 27/03/2018, n. 7513; 28/09/2018, n. 23469) in tema di risarcimento del danno alla persona, vanno, in particolare, ribaditi, i seguenti principi.
A) Sul piano del diritto positivo l'ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.).
B) La natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l'insegnamento della Corte Costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte Cost. n. 233 del 2003; Cass. S.U. 11/11/2008 nn. 26972-26975) deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:
a. di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;
b. di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall'evento dannoso, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.
C) Nel procedere all'accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, alla luce dell'insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e del recente intervento del legislatore sugli articoli 138 e 139 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), modificati dall'art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124 - la cui nuova rubrica ("danno non patrimoniale", sostitutiva della precedente, "danno biologico"), ed il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale - deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale e, cioè, tanto l'aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione), quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
D) Nella valutazione del danno alla salute, in particolare - ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto (Cass. nn. 8827-8828 del 2003; Cass. S.U. n. 6572 del 2006; Corte Cost. n. 233 del 2003) - il giudice dovrà, pertanto, valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale - che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso - quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell'ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce "altro da sé").
E) In presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomali, eccezionali ed affatto peculiari: le conseguenze da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
F) Nel caso di lesione della salute, costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico - inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali - e del danno c.d. esistenziale, appartenendo tali c.d. "categorie" o "voci" di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l'art. 32 Cost.).
G) Non costituisce duplicazione risarcitoria, di converso, la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss. (ove si legge che la norma di cui all'art. 139 cod. ass. "non è chiusa anche al risarcimento del danno morale"), e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell'art. 138 lett. e), cod. ass., introdotta - con valenza evidentemente interpretativa - dalla legge di stabilità 2016.

Randagismo: responsabile l’ente designato dalla legge regionale.
In Calabria il dovere di prevenzione spetta al Servizio veterinario delle USL

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 6 marzo 2020, n. 6392 (rel. Cigna)

La responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi spetta esclusivamente all'ente, o agli enti, cui le singole leggi regionali, attuative della legge quadro nazionale n. 281 del 1991, attribuiscono il dovere di prevenire il pericolo specifico per l'incolumità della popolazione, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi. (Nel caso di specie la S.C. ha evidenziato che l'art. 12, comma 2, della 1. Reg. Calabria n. 41 del 1990, come sostituito dall'art. 7 della 1. Reg. Calabria n. 4 del 2000, attribuisce tale dovere di prevenzione al Servizio veterinario istituito presso le unità sanitarie locali, ora aziende sanitarie locali) (cfr. Cass. 19404/2019)

Danno morale per la perdita del congiunto: senza specifica prova deve essere liquidato con i valori minimi

Trib. di Reggio Calabria, sez. I civ., n. 27 settembre 2019, n. 1305 (g. Luppino)

Nonostante nel nostro ordinamento giuridico non sia ammessa la figura del danno in re ipsa, pur tuttavia il semplice rapporto di coniugio o di filiazione deve far presumere ex art. 2727 c.c. l’esistenza del rapporto affettivo, salvo la prova contraria da fornirsi a cura della parte convenuta.
Certamente, però, in mancanza di specifiche allegazioni in merito a particolari pregiudizi subiti ed allo sconvolgimento delle proprie abitudini di vita, il danno, tenuto anche conto dell’età della vittima al momento del decesso e della eventuale allegazione in merito al rapporto di convivenza, dovrà liquidarsi secondo le tabelle milanesi nella misura minima.

Proposizione di due domande identiche: nessuna nullità della seconda citazione e litispendenza solo se entrambe iscritte a ruolo

Trib. di Reggio Calabria, sez. I civ., n. 27 settembre 2019, n. 1305 (g. Luppino)

La proposizione contemporanea di più domande aventi il medesimo petitum e la medesima causa petendi non comporta alcun vizio di nullità del secondo atto di citazione (essendo le ipotesi di nullità tassativamente previste dalla legge), ma semmai ha potuto astrattamente comportare una temporanea litispendenza di più cause, che qualora proseguita (ma così non è non risultando che il primo atto di citazione sia mai stato iscritto a ruolo) avrebbe avuto come unico effetto quello della riunione dei due giudizi, in quanto pendenti dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, non trovando invece applicazione l’art. 39 c.p.c. che attiene alla diversa ipotesi della pendenza di due cause identiche presso uffici giudiziari diversi.

Chiamata in causa del terzo: nulla se effettuata senza autorizzazione del Giudice

Trib. di Reggio Calabria, sez. I civ., n. 27 settembre 2019, n. 1305 (g. Luppino)

L’attore che abbia provveduto alla chiamata in causa di un terzo senza autorizzazione del Giudice deve considerarsi decaduto dalla facoltà di chiamare il terzo e la relativa chiamata è da considerarsi nulla ed insanabile, in quanto anche l’eventuale costituzione del terzo non può superare la decadenza verificatasi per violazione di termini perentori.