Claims Made: conferme sulla liceità
Una recente pronuncia del Tribunale di Catania del 15 ottobre 2013, n. 3677, in materia di responsabilità medica, analizza la clausola claims made, confermandone la liceità.
Di seguito, un estratto della citata sentenza, a firma del giudice S. Barberi della V sezione civile.
“Va rigettata la domanda di garanzia proposta dall’Azienda Ospedaliera convenuta nei confronti della propria compagnia di assicurazione. Infatti, come correttamente eccepito da quest’ultima, la garanzia assicurativa indicata dall’Azienda Ospedaliera non opera nella fattispecie concreta; in particolare, l’art. 21, lett. a), ultimo comma delle condizioni generali di assicurazioni stabilisce espressamente che “l’assicurazione vale per le richieste di risarcimento conseguenti a comportamenti colposi posti in essere non oltre un anno prima della data di stipula della presente polizza purchè la richiesta di risarcimento sia pervenuta all’Assicurato per la prima volta durante la validità della polizza”.
Tale disposizione contrattuale è con evidenza del tipo c.d. claims made.
Dunque, l’assicurato è coperto non già con riferimento ai fatti occorsi nel periodo di vigenza del contratto, ma con riferimento alle richieste di risarcimento pervenutegli nel periodo di vigenza del contratto, indipendentemente dalla data di verificazione del fatto dannoso e/o della condotta colpevole. Nella specie, emerge che la polizza de qua ha cessato la propria efficacia in data 7 maggio 2002, mentre la prima richiesta di risarcimento è coincisa con la notifica dell’atto di citazione del presente giudizio (31 ottobre 2006).
La clausola in esame è certamente consentita dalla legge e non può – in sè e salve specifiche circostanze del caso concreto – essere qualificata come vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c. (crf. in tal senso Cass. Civ., sez. III, 15 marzo 2005, n. 5624).
Quanto alla liceità della clausola, come fondatamente osservato da Cass. Sez. III, 15 marzo 2005, n. 5624, testè citata, l’art. 1932 c.c. prevede l’inderogabilità del terzo e del quarto comma dell’art. 1917 c.c. e non anche del primo comma di quella norma, che prevede come ipotesi tipica del contratto di assicurazione quella nella quale sono coperti da assicurazione i fatti occorsi nel periodo di vigenza del contratto.
Quanto al fatto che la clausola claims made non può essere ritenuta vessatoria, va detto che, per un verso, essa non pone limitazioni di responsabilità (art. 1341, comma 2, c.c.) in favore dell’assicuratore, ma definisce l’oggetto della copertura assicurativa.
Ed è indirizzo costante della Corte Suprema che “una clausola contrattuale può essere ricompresa tra quelle che stabiliscono limitazioni di responsabilità a favore di colui che l’ha predisposta a condizione che essa restringa l’ambito obiettivo di responsabilità così come fissato, con più estensione, da precetti normativi (o da altre clausole generali): non possono, pertanto, qualificarsi vessatorie quelle clausole che abbiano, per contenuto, una mera determinazione della effettiva estensione delle reciproche prestazioni dedotte in obbligazione” (Cass. Sez. III, 16 giugno 1997, n. 5390) e che “nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all’oggetto del contratto le clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito” (Cass. Sez. I, 12 dicembre 2008, n. 29198). E tale è certamente la clausola del contratto stipulato fra le odierne controparti con la quale esse hanno convenuto che “l’assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’Assicurato nel corso del periodo di vigenza dell’assicurazione”.
Nello stesso senso delle due sentenze della Corte Suprema testè citate, si vedano, fra le tantissime tutte conformi, anche Cass. Sez. III, 2 marzo 2007, n. 4968, Cass. Sez. III, 11 gennaio 2007, n. 395, Cass. Sez. III, 29 maggio 2006, n. 12804, Cass. Sez. III, 9 marzo 2005, n. 5158, Cass. Sez. III, 15 marzo 2005, n. 5624 (in motivazione), Cass. Sez. II, 7 febbraio 2003, n. 1833, Cass. Sez. III, 4 febbraio 2002, n. 1430, Cass. Sez. III, 8 gennaio 1999, n. 102, Cass. Sez. III, 10 marzo 1998, n. 2636, Cass. Sez. III, 20 febbraio 1998, n. 1790, Cass. Sez. III, 7 novembre 1997, n. 10947.
Mentre, per altro verso, la clausola in questione non necessariamente risulta favorevole per l’assicuratore, potendo esserlo, a seconda dei casi concreti, per l’una o l’altra parte del contratto.
Con riferimento alle due più diffuse tipologie di contratti di assicurazione della responsabilità civile, le parti possono convenire di fare oggetto di copertura assicurativa i danni causati dall’assicurato nel periodo di vigenza del contratto (c.d. loss occurence) oppure quelli dei quali viene chiesto all’assicurato il risarcimento durante il periodo di vigenza del contratto (c.d. claims made).
Ognuno dei due tipi di contratto presenta vantaggi e svantaggi per l’una e l’altra parte.
Infatti, stipulando un contratto claims made l’assicurato, durante il periodo di vigenza del contratto, sarà coperto non solo per i danni che causerà in quell’arco di tempo, ma anche per tutti quelli – in ipotesi anche molti di più – causati nei molti anni precedenti, dei quali gli venga richiesto il risarcimento durante il periodo di vigenza del contratto.
E però, se non rinnoverà il contratto negli anni successivi o non stipulerà una c.d. sunset clause ( che estende l’efficiacia del contratto claims made anche a risarcimenti richiesti dopo la sua scadenza), non sarà coperto con riferimento i danni causati nel periodo di vigenza del contratto, ma il cui risarcimento gli venga richiesto dopo.
Per contro, stipulando un contratto loss occurence, l’assicurato sarà certo di ottenere copertura per tutti i fatti causati nel periodo di vigenza del contratto, in qualunque tempo il danneggiato gliene chieda il risarcimento, ma non sarà coperto per eventuali fatti dannosi occorsi prima della stipula del contratto, dei quali non gli sia ancora stato chiesto il risarcimento.
Si comprende con tutta evidenza, come non possa dirsi che l’uno o l’altro contratto sia sempre favorevole all’assicurato o all’assicuratore, mutando questo giudizio in relazione alle esigenze concrete di ciascun assicurato.
I profili di assicurato ipotizzabili sono infiniti.
Se ne illustrano qui solo alcuni, a titolo meramente esemplificativo e in maniera strettamente funzionale alla decisione del caso odierno.
Si immagini che un medico o un avvocato o un ingegnere abbiano esercitato per anni la loro professione senza assicurarsi che un giorno, per l’aumentare della sensibilità della cultura diffusa rispetto alla responsabilità dei professionisti, o per l’aumentare delle cause di risarcimento dell’intero paese, o per il sopravvenire di una giurisprudenza più rigorosa in questo o quel settore della loro attività, o per essersi resi conto di avere seguito in passato prassi comportamentali astrattamente suscettibili di essere giudicate colpevoli e produttive di danno, si rendano conto di essere esposti al rischio di venire chiamati a rispondere di colpe professionali passate e vogliano tutelarsi.
È evidente cha un contratto loss occurence non servirebbe in alcun modo allo scopo, perchè non coprirebbe i fatti occorsi prima della sua stipula.
E d’altra parte è assai frequente che, nel settore delle responsabilità professionali, le condotte colpevoli del professionista si scoprano molto tempo dopo. Si pensi al palazzo che crolla anni dopo la sua costruzione o al cliente dell’avvocato che, cambiando legale, venga reso edotto degli errori del suo precedente patrono, o al paziente del medico che muoia (come nel caso del presente giudizio) anni dopo l’intervento del medico.
In casi come questi il contratto claims made è l’unico strumento che avrà il professionista che si assicuri dopo un certo tempo di esercizio della professione per tutelarsi dalle conseguenze di sue condotte passate.
In questi casi il contratto claims made non è certamente più favorevole per l’assicuratore che per l’assicurato.
Peraltro, poi, stipulando il contratto secondo valori e massimali attuali, l’assicurato sarà coperto per somme ben maggiori di quelle che avrebbe potuto pattuire anni prima e che oggi potrebbero risultare insufficienti per effetto della rivalutazione e degli interessi cc.dd. compensativi frattanto maturati in favore del danneggiato.
D’altra parte tale contratto onererà l’assicurato a rinnovarlo anche negli anni futuri (o a stipulare onerose sunset clauses) per evitare di perdere copertura per gli eventuali danni causati nel periodo di vigenza del contratto dei quali gli venga chiesto il risarcimento successivamente.
Il contratto claims made ha anche il vantaggio di agevolare l’individuazione certa dei sinistri coperti o no da assicurazione.
In molti casi, infatti, non è agevole individuare la data in cui il danno si è verificato (senza dire delle dispute dottrinali sul rilievo da darsi allo scarto temporale – quando vi è e spesso vi è – fra condotta del danneggiante e insorgenza del danno).
Mentre è sempre molto più agevole individuare il momento nel quale il risarcimento viene richiesto.
Si immagini, per contro, l’ipotesi di un professionista che per un breve periodo di tempo affronti dei rischi specifici, a lui noti preventivamente, per i quali intenda avere tutela assicurativa. In questo caso gli converrà certamente un contratto loss occurance stipulato prima di affrontare i rischi in questione, che potrà rinnovare quando cesserà l’attività potenzialmente produttiva di danni.
In questo caso il contratto claims made, con l’esigenza di lunghi rinnovi, sarebbe inutilmente oneroso per l’assicurato.
In ogni caso, in entrambi i tipi di contratto, l’assicuratore risponde senza limiti di responsabilità o per tutti i danni causati dall’assicurato nel periodo di vigenza del contratto o per tutti i danni il cui risarcimento venga chiesto nel periodo di vigenza del contratto. Come già detto sopra, la differenza non è in non sussistenti limiti di responabilità dell’assicuratore, ma nella individuazione dei fatti coperti da assicurazione.
In definitiva, quindi:
a) ognuna delle parti del contratto di assicurazione può trarre vantaggi o patire svantaggi sia dal tipo contrattuale c.d. loss occurance, che dal tipo contrattuale c.d. claims made;
b) le clausole contrattuali del tipo claims made non introducono (per sè sole e salve specifiche circostanze del caso concreto) limitazioni di responsabilità dell’assicuratore e, dunque, non rientrano nella fattispecie di cui all’art. 1341 c.c.);
c) la scelta – contrattualmente libera e legalmente possibile – dell’uno o dell’altro tipo di contratto deriverà dalle esigenze dell’assicurato e dalla libera volontà negoziale delle parti.”
Avv. Claudia Moretti