05 Febbraio 2018

Danni da morte del congiunto – Perdita del rapporto parentale – Necessaria allegazione e prova specifica dei pregiudizi – Presunzione e valutazione equitativa del danno

Corte di Cassazione, sezione III civile, ordinanza 17 gennaio 2018, n. 907 (pres. Spirito – rel. Ambrosi)
Il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, quale danno-conseguenza non coincide con la lesione dell’interesse, ovvero non è in re ipsa, e come tale deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento; tuttavia, trattandosi di pregiudizio che si proietta nel futuro è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base di elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire. La sua liquidazione avviene in base a una valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti e di ogni ulteriore circostanza allegata.

In applicazione del noto principio secondo cui il danno non patrimoniale da perdita o compromissione del rapporto parentale costituisce danno conseguenza i cui elementi costitutivi vanno necessariamente allegati e provati, la Suprema Corte cassa la sentenza di secondo di grado che riconosce il risarcimento del danno parentale al coniuge, alla madre ed ai fratelli (otto) in considerazione del solo dato della parentela prossima, in spregio a qualunque onere probatorio poto a carico dei danneggiati.
In particolare, la Corte territoriale liquida il danno affermando i danneggiati, sol perché rispettivamente genitore, fratelli e coniuge della vittima, non fossero onerati di fornire la prova di relazioni di convivenza o di vicendevole affetto e frequentazione.
Siffatta affermazione non è in linea con i principi sopra richiamati, tenuto conto che la possibilità di provare per presunzioni non esonera chi lamenta un danno e ne chiede il risarcimento dal darne concreta allegazione e prova.
La Corte territoriale, in sostanza, ha erroneamente ritenuto che il danno fosse in re ipsa, affermando in modo assertivo che lo stesso dovesse spettare ai parenti stretti secondo il criterio presuntivo, e provvedendo, in particolare, a liquidare in maniera indiscriminata la medesima somma in favore di ciascuno degli otto fratelli (erroneamente elevati a nove), così violando i principi in materia di presunzioni e valutazione equitativa del danno.