01 Marzo 2018

Responsabilità medica – Consenso informato – Oneri probatori

Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 31 gennaio 2018, n. 2369 (pres. Travaglino– rel . Pasquale)
In tema di consenso informato, con riferimento al riparto degli oneri probatori gravanti sulle parti, occorre ribadire che: il consenso del paziente all’atto medico non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto una adeguata informazione, anch’essa esplicita; presuntiva può essere la prova che un consenso informato sia stato prestato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sul medico; in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute.

Il paziente che chiede il risarcimento del danno alla salute che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legis artis, ma tuttavia compiuto senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, deve necessariamente allegare, sulla base anche di elementi soltanto presuntivi – la cui efficienza dimostrativa seguirà una sorta di ideale scala ascendente, a seconda della gravità delle condizioni di salute e della necessarietà dell’operazione – che egli avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato, allegando ancora che, tra il permanere della situazione patologica in atti e le conseguenze dell’intervento medico, avrebbe scelto la prima situazione, ovvero che, debitamente informato, avrebbe vissuto il periodo successivo all’intervento con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e le relative sofferenze) – predisposizione la cui mancanza andrebbe realisticamente e verosimilmente imputata proprio (e solo) all’assenza di informazione.
Nel caso di specie, manca la prova del fatto che la paziente, cui venne praticato un intervento di legatura delle tube in occasione del suo secondo parto cesareo, avrebbe rifiutato la prestazione se fosse stata adeguatamente informata dell’intervento di sterilizzazione tubarica.
In tal modo non sussiste il nesso causale tra la condotta del medico e la lesione della salute, in quanto il paziente avrebbe in ogni caso consapevolmente subito quella incolpevole lesione, all’esito di un intervento eseguito secondo le leges artis da parte del sanitario.