Fondo patrimoniale

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 19 giugno 2018, n. 16176

In tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato nella relazione esistente tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che l'esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia (conf. Cass. 31 maggio 2006, n. 12998; 8 luglio 2003, n. 11230). Il giudice di merito ha accertato che la società appellata era consapevole dell'estraneità del debito ai bisogni della famiglia perché a conoscenza della funzione di garanzia, che aveva il debito cambiario, di obbligazioni di una società in precarie condizioni economiche. Tale giudizio di fatto, che implica l'esclusione di un'inerenza diretta ed immediata del debito cambiario ai bisogni della famiglia, trovando causa piuttosto nell'assunzione di garanzia in relazione ai debiti della società in precarie condizioni economiche (e di cui la stessa creditrice sarebbe stata consapevole), non è stato impugnato specificatamente mediante la denuncia di vizio motivazionale. In presenza del presupposto di fatto accertato dalla corte territoriale, la censura in termini di violazione di legge si traduce in istanza di revisione del giudizio di fatto, implicante uno scrutinio precluso nella presente sede di legittimità.

La banca ha l’onere di allegare non solo il decorso del termine prescrizionale ma anche la natura solutoria delle rimesse

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 24 maggio 2018, n. 12977

L'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell'anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens. Grava sulla banca, a fronte di un rapporto di conto corrente con apertura di credito, l'onere di allegare, ai fini dell'ammissibilità dell'eccezione di prescrizione - e poi di provare, ai fini della fondatezza dell'eccezione, - non solo il mero decorso del tempo, ma anche l'ulteriore circostanza dell'avvenuto superamento, ad opera del cliente, del limite dell'affidamento. Tale attività di allegazione, per quanto "attenuata" nella relativa deduzione (e, cioè, senza la necessità di un'allegazione analitica delle rimesse ritenute solutorie), deve, però, comunque recare un grado di specificità tale da consentire alla controparte un adeguato esercizio di difesa sul punto, e, in mancanza, la relativa eccezione deve essere respinta, in quanto genericamente formulata (prima che infondata).

La valida stipulazione di un contratto bancario non esige la sottoscrizione da parte della banca

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 4 giugno 2018, n. 14243

In tema di contratti bancari soggetti alla disciplina di cui all'art. 117 d.lgs. n. 385/1993, la valida stipula del contratto non esige la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di atti o comportamenti alla stessa riconducibili, sicché la conclusione del negozio non deve necessariamente farsi risalire al momento in cui la scrittura privata che lo documenta, recante la sottoscrizione del solo cliente, sia prodotta in giudizio da parte della banca stessa.

La responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito l’incasso di un assegno bancario non trasferibile, a persona diversa dal beneficiario, ha natura contrattuale

Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 21 maggio 2018, n. 12477

La responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 legge assegni (r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno – natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso.

Responsabilità dell’intermediario finanziario: la liquidazione equitativa del danno non surroga la prova dell’an debeatur

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 14 maggio 2018, n. 11698

L'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l'onere di provare non solo l'an debeatur del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi in re ipsa, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso (conf. Cass., n. 127/16; Cass., n. 4534/17).

L’inadeguatezza dell’investimento fa presumere il nesso causale tra l’inadempimento e il danno

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 11 maggio 2018, n. 11544

In materia di intermediazione finanziaria, gli obblighi d'informazione che gravano sull'intermediario, dal cui inadempimento consegue in via presuntiva l'accertamento del nesso di causalità del danno subito dall'investitore, impongono la comunicazione di tutte le notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e l'indicazione, in modo puntuale, di tutte le specifiche ragioni idonee a rendere un'operazione inadeguata rispetto al profilo di rischio dell'investitore, ivi comprese quelle attinenti al rischio di "default" dell'emittente con conseguente mancato rimborso del capitale investito, in quanto tali informazioni costituiscono reali fattori per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o meno (conf. Cass., n. 12544/17).

Ai fini della valutazione di adeguatezza di tali informazioni, nonché delle omissioni in esse ravvisabili, non rileva che il cliente abbia dichiarato, in sede di stipula del contratto quadro di investimento, di possedere un'esperienza "alta" con riferimento ai prodotti finanziari da acquistare ed un'elevata propensione al rischio, né che egli si sia eventualmente rifiutato di dare indicazioni sulla propria situazione patrimoniale (conf. Cass., n. 18702/16).

Polizze vita: qualora manchi la garanzia di restituzione del capitale il contratto non ha natura assicurativa, ma di investimento

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 30 aprile 2018, n. 10333

In materia di polizze vita, ove non sia contrattualmente prevista la garanzia di restituzione del capitale, il prodotto oggetto dell’intermediazione deve essere considerato un vero e proprio investimento finanziario da parte di coloro che figurano come assicurati. Ne discende l’applicabilità del T.U.F. e del Regolamento Consob.

La “clausola floor” è legittima e deve essere distinta dal contratto derivato “Interest Rate Floor”

Trib. Lanciano, sentenza 4 aprile 2018, n. 142

La previsione di un tasso minimo garantito a favore dell’istituto di credito (“clausola floor”) non costituisce “opzione floor”, che è strumento finanziario derivato che consente a chi lo acquista, a fronte di un premio da versare, di porre un limite alla variabilità in discesa di un determinato indice o di un prezzo, ricevendo la differenza che alla scadenza/alle scadenze contrattuali si manifesta tra l’indice/prezzo di riferimento ed il limite fissato.

La dichiarazione “autoreferenziale” dell’investitore qualificato (persona giuridica) esonera l’intermediario da ulteriori verifiche

Cass. Civ., Sez. 4 aprile 2018, n. 8343; Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 16 aprile 2018, n. 9383

Ai fini dell'appartenenza del soggetto alla categoria delle persone giuridiche aventi la veste di operatore qualificato, è sufficiente l'espressa dichiarazione scritta richiesta dal Regolamento Consob, la quale esonera l'intermediario dall'obbligo di ulteriori verifiche, in mancanza di elementi contrari emergenti dalla documentazione già in suo possesso, e permette al giudice ex art. 116 c.p.c. di ritenere sussistente detta qualità (conf. Cass. 26 maggio 2009, n. 12138). La dichiarazione dell'investitore, dunque, deve ritenersi sufficiente sia per esonerare l'intermediario dal compiere accertamenti ulteriori al riguardo, sia per ritenere provata in giudizio la qualità, anche come unica e sufficiente fonte di prova. La dichiarazione autoreferenziale della investitrice, la quale attesti, nella fase genetica del contratto, di essere un operatore qualificato ai fini della normativa di settore, integra una presunzione semplice di tale qualità.

Ammissibile la nuova produzione documentale in grado di appello nel processo tributario

Cass. Civ., Sez. V, ordinanza 7 marzo 2018, n. 5429

In tema di contenzioso tributario, il documento irritualmente prodotto in primo grado può essere nuovamente prodotto in secondo grado nel rispetto delle modalità di produzione previste dall'art. 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ed in forma analoga nell'art. 87 disp. att. cod. proc. civ.; tuttavia, ove il documento sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e questo sia depositato all'atto della costituzione unitamente al fascicolo di secondo grado, si deve ritenere raggiunta - ancorché le modalità della produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge - la finalità di mettere il documento a disposizione della controparte, in modo da consentirle l'esercizio del diritto di difesa, onde l'inosservanza delle modalità di produzione documentale deve ritenersi sanata.