Art. 2050 c.c.: le attività da cui scaturisce il danno devono essere pericolose per loro stessa natura od anche per i mezzi impiegati

Cass. Civ., Sez. III, sentenza 27 marzo 2019, n. 8449 (Rel. Guizzi Stefano Giaime)

Dalle "attività pericolose, che per loro stessa natura od anche per i mezzi impiegati rendono probabile e non semplicemente possibile il verificarsi di un evento dannoso e che importano responsabilità ex 2050 cod. civ., devono essere tenute distinte quelle normalmente innocue, che possono diventare pericolose per la condotta di chi le esercita e che comportano responsabilità secondo la regola generale dell'art. 2043 cod. civ.", soggiungendosi che "il giudizio di pericolosità deve essere espresso non già sulla base dell'evento dannoso, effettivamente verificatosi, sebbene secondo una prognosi postuma, che il giudice deve compiere sia facendo uso delle nozioni della comune esperienza, sia in relazione alle circostanze di fatto che si presentavano al momento dell'esercizio dell'attività e che erano conosciute o conoscibili dall'agente in considerazione del tipo di attività esercitata" (così, in motivazione, Cass. Sez. III, sentenza 15 ottobre 2004, n. 20334). Del pari, ricorrente - nella giurisprudenza di questa Corte - è l'affermazione secondo cui "la valutazione in concreto se un'attività, non espressamente qualificata pericolosa da una disposizione di legge, possa essere considerata tale per la sua natura o la spiccata potenzialità offensiva dei mezzi adoperati, implica un accertamento di fatto" che è "rimesso in via esclusiva al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità ove correttamente e logicamente motivata" (così, da ultimo, Cass. Sez. III, sentenza 20 maggio 2015; in senso analogo già Cass. Sez. III, sentenza n. 20334/2004; nonché Cass. Sez. III, sentenza 17 gennaio 2007, n. 1195).

Il risarcimento del danno ai prossimi congiunti di vittima primaria di illecito costituente reato

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 27 marzo 2019, n. 8442 (Rel. Guizzi Stefano Giaime)

"In tema di risarcimento del danno ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali", spetta a costoro "anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso", fermo restando che, trattandosi di "una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte non è accertabile con metodi scientifici e, dall'altra, come per tutti i moti dell'animo, solo quando assume connotazioni eclatanti può essere provato in modo diretto, non escludendosi, però, che, il più delle volte, esso possa essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità" (Cass. Sez. III, sentenza 3 aprile 2008, n. 8546).

La circostanza che le spese per spostamenti e permanenza, in diverse città, ove i ricorrenti si erano recati per ragioni di cura della propria figlia, fossero "documentabili", senza essere state però specificamente documentate nel loro ammontare, non costituisce ragione per negarne il rimborso, salvo che non si escluda la ricorrenza di quelle trasferte (affermazione della quale nella sentenza non vi è, però, traccia), e ciò alla stregua del principio secondo cui, in presenza di sinistri "che abbiano costretto il leso ed i suoi familiari a numerosi e ripetuti ricoveri, purché questi ultimi siano documentati, il giudice può liquidare il danno consistito nelle erogazioni per viaggi di cura e spese mediche anche in assenza della prova dei relativi esborsi, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ." (Cass. Sez. III, sentenza 19 gennaio 2010, n. 712; nello stesso senso già Cass. Sez. III, sentenza 10 dicembre 1999, n. 13358). Si tratta, per vero, di principio enunciato, in passato, con esclusivo riferimento "a lesioni personali di devastante entità", ma che, a giudizio di questo collegio, deve essere esteso a tutte quelle che abbiano determinato postumi che superino la soglia - legislativamente stabilita - della "micropermanenza", ancorandola, così, ad un dato normativo certo, piuttosto che a quello di una (non meglio precisata) natura "devastante" delle conseguenze lesive del sinistro.

La responsabilità dell’ente proprietario della strada in caso di danni discendenti dal difetto di manutenzione dei fondi privati limitrofi

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 12 marzo 2019, n. 7096 (Rel. Olivieri)

L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, benché non abbia la custodia dei fondi privati che la fiancheggiano e, quindi, non sia tenuto alla loro manutenzione, ha l'obbligo di vigilare affinché dagli stessi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada, nonché - ove, invece, esse si verifichino - quello di attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere, sicché è in colpa, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1176, secondo comma, cod. civ. e 2043 cod. civ., qualora, pur potendosi avvedere con l'ordinaria diligenza della situazione di pericolo, non l'abbia innanzitutto segnalata ai proprietari del fondo, né abbia adottato altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione (cfr. Cass. Sez. III, sentenza n. 22330 del 22/10/2014; id. Sez. III, ordinanza n. 6141 del 14/03/2018).

Limiti al risarcimento del danno biologico

Cass. Civ., sez. III, 28 febbraio 2019, n. 5820 (Rel. Gianniti)

Il legislatore ha voluto ancorare la liquidazione del danno biologico, sia temporaneo che permanente, in presenza di postumi micro-permanenti o senza postumi, ad un rigoroso riscontro obiettivo in rapporto alla singola patologia. Invero, vi sono malattie che si estrinsecano con delle alterazioni strumentali, che non sono rilevabili clinicamente o neppure all'esame obiettivo: si consideri un trauma cranico con microlesione encefalica che dia luogo ad un focolaio epilettogeno; detta patologia produce sintomatologia di tipo temporale, che solo il paziente è in grado di riferire, ed è dimostrabile soltanto strumentalmente (mediante un'alterazione dell'EEG). Al contrario, i disturbi psico reattivi e le lesioni sensoriali non sono generalmente suscettibili di essere dimostrati mediante un accertamento strumentale, ma possono essere accertate ricorrendo ad un esame clinico.
Il danno biologico, per potere essere risarcito, deve essere obiettivamente sussistente in corpore, e detta sua sussistenza deve potersi predicare sulla base (non di intuizioni o suggestioni, ma) di una corretta criteriologia medico legale.

La personalizzazione del danno non patrimoniale

Cass. Civ., Sez. III, sentenza 30 gennaio 2019, n. 2788 (Rel. Porreca)

La "personalizzazione" della liquidazione non concerne, come affermato dalla corte di appello, le oscillazioni tabellari che definiscono il "range" astrattamente individuato per monetizzare le "ordinarie" conseguenze del punto d'invalidità accertato (congegnato in modo da lasciare così al giudicante un margine per il concreto apprezzamento equitativo delle appena menzionate ricadute pregiudizievoli). La "personalizzazione" in parola riguarda le eccezionali conseguenze dannose che, rispetto a quelle (da ritenere) incluse nello "standard" statistico sintetizzato dal punto d'invalidità, permettano e anzi, quando del caso, impongano un incremento rispetto a quel "range".

Prevedibilità della situazione di pericolo: deve escludersi la responsabilità dell’ente proprietario per danni da difetto di manutenzione della sede stradale

Trib. Ragusa, 21 febbraio 2019, n. 53

L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito risponde ai sensi dell’art. 2051 c.c., per difetto di manutenzione, dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo. Nel compiere tale ultima valutazione, si dovrà tener conto che quanto più questo è suscettibile di essere previsto e superato attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all’ente e l’evento dannoso” (Cass. 23919/2013; nello stesso senso, Cass. 22419/2017, 11228/2017, 10129/2015 e 287/2015).

Danni ad un pedone da scontro con ciclista in area pedonale: il Comune non ha responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 13 febbraio 2019, n. 4160 (Rel. Iannello)

La responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c. è configurabile, nel concorso degli altri presupposti, in presenza di un nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento dannoso. Perché un tale nesso possa affermarsi è necessario che la cosa si inserisca, con qualificata capacità eziologica, nella sequenza che porta all'evento e non rappresenti mera circostanza esterna o neutra o elemento passivo di una serie causale che si esaurisce all'interno e nel collegamento di altri e diversi fattori. Nel caso di scontro tra pedone e ciclista all'interno di area pedonale non può a quest'ultima attribuirsi un siffatto ruolo causale per il solo fatto che l'incidente si sia verificato al suo interno; in tal caso, infatti, essa costituisce mero teatro o luogo dell'incidente, mentre la serie causale determinativa dell'evento origina dal comportamento dei soggetti coinvolti nello scontro e in esso interamente si esaurisce. Resta in tale ipotesi configurabile una eventuale responsabilità dell'ente per colpa, secondo la generale clausola aquiliana, ove il danneggiato alleghi e dimostri la sussistenza di una colpevole inerzia dell'amministrazione per non aver preso alcuna iniziativa diretta a regolare e controllare il comportamento degli utenti, malgrado specifiche segnalazioni sull'anomalo e pericoloso utilizzo dell'area.

Cera sul manto stradale: come deve essere accertato il caso fortuito per escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c.?

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 23 gennaio 2019, n. 1725 (Rel. Graziosi)

Il caso fortuito esonerante il custode dalla responsabilità di cui all'articolo 2051 c.c. non sussiste qualora il custode abbia avuto possibilità di prevedere che la cosa che ha in custodia, così come inserita nel concreto dinamismo causale, avrebbe potuto cagionare il danno. Nel caso di specie, è stata cassata la sentenza di merito in quanto la stessa non aveva esaminato se era tradizionale - id est prevedibile - che in una processione i fedeli portassero fiaccole votive, e che pertanto cadesse cera sul manto stradale, non valutando altresì se, nell'ipotesi in cui il precedente quesito avesse raggiunto una risposta positiva, fosse intervenuto un qualche ulteriore evento imprevedibile/imprevisto che avesse impedito al Comune di adempiere l'obbligo di custodia quantomeno, se non nell'apposizione di transenne fino alla effettuazione della pulizia, nella installazione immediata di cartelli segnalanti il pericolo costituito da un manto stradale ovviamente assai scivoloso.

Danno patrimoniale futuro – Danno da cenestesi lavorativa
Danni riflessi ai prossimi congiunti – Danno morale parentale

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 18 gennaio 2019, n. 1282 (rel. F. Fiecconi)

Il danno patrimoniale futuro conseguente alla lesione della salute è risarcibile solo ove appaia probabile, alla stregua di una valutazione prognostica, che la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'infortunio, mentre il danno da lesione della "cenestesi lavorativa", che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa, si risolve in una compromissione biologica dell'essenza dell'individuo e va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute, potendo il giudice, che abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità, anche ricorrere ad un appesantimento del valore monetario di ciascun punto.
(cfr. Cass. Civ., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 12572 del 22/05/2018, che ha confermato la sentenza di merito che, a fronte di un'invalidità permanente del venticinque per cento riportata da una minore, aveva incrementato l'importo liquidato a titolo di danno biologico, in considerazione del pregiudizio da "cenestesi lavorativa" che la stessa avrebbe presumibilmente sofferto in futuro, rigettando invece la domanda di risarcimento del danno patrimoniale futuro, in mancanza di elementi idonei a dimostrare l'incidenza della menomazione sul reddito che la stessa avrebbe presumibilmente conseguito).

Nell'ambito della discrezionalità che gli è propria, il Giudice del merito può escludere il danno parentale, ritenendo che , in mancanza di più specifiche allegazioni, la sofferenza nel vedere il proprio giovane familiare improvvisamente gravemente colpito e sofferente a causa dell'altrui grave negligenza, siano tutti fattori in grado di scatenare disagi, oneri e sofferenze condivise con quelle del proprio caro, non incidenti, nel rapporto familiare, oltre il livello di esigibilità connesso ai doveri di solidarietà familiare.
Sul punto occorre considerare che «Il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall'altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva, che deve essere cercata anche d'ufficio, se la parte abbia dedotto e provato i fatti noti dai quali il giudice, sulla base di un ragionamento logico-deduttivo, può trarre le conseguenze per risalire al fatto ignorato. » (Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 17058 del 11/07/2017).
Pertanto, ove manchi il supporto di una seppur minima allegazione, la mera titolarità di un rapporto familiare, in mancanza di ulteriori elementi di prova, non può essere considerata sufficiente a giustificare la pretesa risarcitoria, occorrendo di volta in volta verificare in che cosa il legame affettivo sia consistito e in che misura la lesione subita della vittima primaria abbia inciso sulla relazione fino a comprometterne lo svolgimento.

Il riparto di giurisdizione in caso di infortunio patito dal dipendente pubblico

Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 21 dicembre 2018, n. 33211 (Rel. Doronzo)

La soluzione della questione del riparto della giurisdizione, rispetto ad una domanda di risarcimento danni per la lesione della propria integrità psico-fisica proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell'Amministrazione, è strettamente subordinata all'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilità in concreto proposta: se è fatta valere la responsabilità contrattuale dell'ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nel caso di controversia avente per oggetto una questione relativa al periodo del rapporto antecedente al 30 giugno 1998; mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario.