Il risarcimento del danno da malattia professionale

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 13 dicembre 2018, n. 32376 (Rel. Spena)

In tema di responsabilità aquiliana per malattie riconducibili al fatto doloso o colposo di un terzo, devono affermarsi i principi della «conoscibilità del danno» e della «rapportabilità causale», specificando che tali principi non aprono la strada alla rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del danneggiato. La conoscibilità deve essere saldamente ancorata a due parametri oggettivi, uno interno e l'altro esterno al soggetto leso ovvero, rispettivamente, la ordinaria diligenza ed il livello di conoscenze scientifiche dell'epoca. In relazione al soggetto leso l'ordinaria diligenza si esaurisce nel portarsi presso una struttura sanitaria per gli accertamenti sui fenomeni patologici avvertiti mentre l'elemento esterno va apprezzato in relazione alla comune conoscenza scientifica che era ragionevole richiedere in una data epoca in merito alla patologia manifestatasi ai soggetti cui la persona lesa si è rivolta o avrebbe dovuto rivolgersi . In coerenza con tali principi questa Corte (Cass. civ. sez. lav. 31/05/2010 nr. 13284 ) ha affermato anche in relazione alla responsabilità ex contractu del datore di lavoro, che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente a malattia causata al dipendente nell'espletamento del lavoro dal comportamento colposo del datore di lavoro decorre dal momento in cui l'origine professionale della malattia può ritenersi oggettivamente conoscibile dal danneggiato, indipendentemente dalla valutazioni soggettive dello stesso.

Il danno non patrimoniale “da uccisione” e i suoi limiti risarcitori

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 13 dicembre 2018, n. 32372 (Rel. Rossetti)

In tema di "danno da uccisione", le espressioni "danno terminale", "danno tanatologico", "danno catastrofale" non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma possono avere al massimo un valore descrittivo, e neanche preciso;
- il danno da invalidità temporanea patito da chi sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale è un danno biologico, da accertare con gli ordinari criteri della medicina legale, e da liquidare avendo riguardo alle specificità del caso concreto;
- la formido mortis patita da chi, cosciente e consapevole, sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale, è un danno non patrimoniale, da accertare con gli ordinari mezzi di prova, e da liquidare in via equitativa avendo riguardo alle specificità del caso concreto.

Infortunio sul lavoro: meccanismo assicurativo pubblico (INAIL) e obbligo del datore di lavoro di risarcire il danno

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 7 dicembre 2018, n. 31795 (Rel. Ghinoy)

Occorre distinguere i presupposti per l'azionabilità della tutela prevista dall'assicurazione infortuni e malattie professionali gestita dall'INAIL e quelli necessari per l'accertamento di una responsabilità contrattuale del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c..
Il meccanismo assicurativo pubblico prescinde dall'accertamento della colpa e si fonda sulla mera occasione di lavoro, cioè su di una condizione di collegabilità, anche indiretta, dell'evento all'attività lavorativa, sicché l'indennizzo può essere riconosciuto finanche per eventi verificatisi nel percorso fatto dal dipendente per recarsi al lavoro. Invece, in un giudizio risarcitorio proposto nei confronti del datore di lavoro, è indispensabile fornire al giudice ed alla controparte tutti gli elementi fattuali necessari affinché sia apprezzabile, anche solo in ipotesi, un colpevole inadempimento, non potendo il lavoratore limitarsi a dedurre di avere riportato un danno in occasione o durante la prestazione lavorativa (così Cass. n. 27364 del 23/12/2014, Cass. n. 12241 del 12/6/2015).
Dovendosi dare seguito a tale condivisibile orientamento, la soluzione adottata dalla Corte territoriale sotto tale aspetto non risulta corretta e conforme a diritto, in quanto ha desunto la sussistenza di un inadempimento rilevante dall'esistenza del danno da caduta, prescindendo dall'accertamento delle modalità con le quali essa si era verificata.

La compensatio lucri cum damno in caso di indennizzo per malattia contratta a causa di servizio

Cass. Civ., Sez. III, sentenza 30 novembre 2018, n. 31007 (Rel. Olivieri)

1) La regola generale non è il "cumulo" dei benefici e del risarcimento del danno, ma -avuto riguardo alla funzione compensativa del danno assolta dalle rispettive obbligazioni- è quella desumibile dall'art. 1223 c.c. di evitare duplicazioni delle poste dirette a reintegrare la compromissione dei diritti violati (la cumulabilità di poste aventi analoga funzione compensativa, introduce una deroga alla regola generale e deve essere, pertanto, espressamente prevista: cfr. art. 2, comma 1,della legge 25 febbraio 1992 n. 210);
2-) la mancata previsione di meccanismi di recupero dell'indennizzo, non assume rilevanza nella fattispecie in quanto, essendo unico il soggetto (Amministrazione statale) obbligato al risarcimento del danno ed al pagamento della elargizione speciale e degli assegni periodici, trova applicazione la regola per cui quando, "pur in presenza di titoli differenti, vi sia unicità del soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni ed al contempo obbligato a corrispondere al danneggiato una provvidenza indennitaria, vale la regola del diffalco, dall'ammontare del risarcimento del danno, della posta indennitaria avente finalità compensativa" (cfr. in termini, con riferimento a fattispecie analoga: Corte cass. Sez. 3, Ordinanza n. 24180 del 04/10/2018);
3-) il parametro di calcolo dell'ammontare delle indennità, riferito al tipo di lesione ed al grado percentuale di invalidità permanente da riconoscere ai postumi derivati al militare (successivamente deceduto) dal fatto illecito, non è indicativo della voce di danno che si intende compensare, atteso che la erogazione dei benefici ai familiari superstiti non corrisponde ad esigenze riconducibili al fenomeno successorio (dunque alla trasmissione "jure herditatis" di un credito che era entrato a far parte del patrimonio del "de cuius"), quanto piuttosto ad esigenze proprie dei destinatari i quali, a causa dell'illecito e della morte del proprio congiunto, hanno sofferto -quali conseguenze immediate e dirette- danni nella propria sfera giuridica di natura patrimoniale e non patrimoniale, che le provvidenze assistenziali intendono - parzialmente- compensare. Il quomodo del calcolo dell'indennizzo è rimesso alla scelta discrezionale del Legislatore che, nella specie, ha inteso ancorare la modulazione del "quantum" al grado percentuale di invalidità permanente che sarebbe stato riconosciuto al militare ove non fosse deceduto (in altri casi il Legislatore ha optato, invece, per la erogazione di un "assegno una tantum" in misura fissa o parametrata proporzionalmente al tipo di lesione od al grado di invalidità permanente), e non incide sulla natura o sulla voce di danno risarcibile, trattandosi di emolumenti "omnicomprensivi" in quanto rivolti a compensare indifferentemente tutte le conseguenze pregiudizievoli, patrimoniale e non patrimoniali, subite direttamente dai familiari della vittima, e dunque a soddisfare il medesimo credito risarcitorio derivato dall'illecito e vantato "jure proprio" dai superstiti.
Ne discende la compensabilità delle dette voci indennitarie-risarcitorie.

Rimessa alle Sezioni Unite la questione concernente la responsabilità della P.A., ex art. 28 Cost., per condotte dei dipendenti pubblici dirette a perseguire finalità esclusivamente personali mediante la realizzazione di un reato doloso

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 5 novembre 2018, n. 28079 (Rel. Scrima)

La questione, oggetto di contrasto, concernente la configurabilità della responsabilità civile della P.A., ex art. 28 Cost., anche per le condotte dei dipendenti pubblici dirette a perseguire finalità esclusivamente personali mediante la realizzazione di un reato doloso, quando le stesse siano poste in essere sfruttando, come premessa necessaria, l’occasione offerta dall’adempimento di funzioni pubbliche, e costituiscano, inoltre, non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio di tali funzioni è stata rimessa al primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite

Rimessa alle Sezioni Unite la questione del bilanciamento del diritto di cronaca e del diritto all’oblio

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 5 novembre 2018, n. 28084 (Rel. Gianniti)

Il delicato assetto dei rapporti tra diritto all'oblio e diritto di cronaca o di manifestazione del pensiero assume così - alla luce del vigente quadro normativo e giurisprudenziale, nazionale ed europeo, il primo dei quali come di recente innovato, a garanzia del generale principio della certezza del diritto - i contorni della questione di massima di particolare importanza, parendo ormai indifferibile l'individuazione di univoci criteri di riferimento che consentano agli operatori del diritto (ed ai consociati) di conoscere preventivamente i presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia, a sé relativa, pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione; e, in particolare, precisare in che termini sussiste l'interesse pubblico a che vicende personali siano oggetto di (ri)pubblicazione, facendo così recedere il diritto all'oblio dell'interessato in favore del diritto di cronaca. Si rimettono pertanto gli atti al Primo Presidente della Corte per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza, concernente il bilanciamento del diritto di cronaca - posto al servizio dell'interesse pubblico all'informazione - e del c.d. diritto all'oblio - posto a tutela della riservatezza della persona - alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale negli ordinamenti interno e sovranazionale.

Ritardo del vettore aereo: quando deve escludersi la responsabilità della compagnia aerea

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 9 ottobre 2018, n. 24869 (Rel. D'Arrigo)

Il viaggio di un aeromobile si compone di tutto il tempo in cui i passeggeri subiscono la limitazione di non poter abbandonare il mezzo. Tale limitazione inizia nel momento in cui ha luogo l'imbarco, in quanto una volta oltrepassata la soglia del "gate" il passeggero si immette in una procedura regolamentata sotto il controllo e la responsabilità del comandante del velivolo. Le fasi dell'imbarco, della chiusura delle porte e dell'attivazione delle misure di sicurezza, del rullaggio e del decollo fanno, dunque, parte del viaggio così come il volo vero e proprio e le ulteriori fasi di rullaggio sulla pista di atterraggio, fino all'approdo alla piazzuola di sosta di destinazione e allo sbarco dei passeggeri. In ragione di tali considerazioni, deve concludersi che l'aeromobile, che aveva puntualmente terminato le operazioni di imbarco alle ore 12.00, è stato trattenuto sulla pista di decollo a causa di un fatto fortuito (l'incidente occorso pochi minuti dopo ad un altro velivolo) e non a causa del proprio colpevole ritardo, con l'effetto di escludere la responsabilità in capo al vettore aereo.

Il danno esistenziale è compreso nel danno biologico

Cass. Civ., sez. III, sentenza 19 luglio 2018, n. 19151 (rel. F. Fiecconi)

In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l'aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell'accertamento e della quantificazione del danno risarcibile - alla luce dell'insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) - è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 901 del 17/01/2018). Conseguentemente, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del "danno biologico" e del "danno dinamicorelazionale", atteso che con quest'ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale). Non costituisce invece duplicazione la congiunta attribuzione del "danno biologico" e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l'esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (v. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 7513 del 27/03/2018).

Danni da nascita indesiderata: oneri probatori

Cass. Civ., sez. III, sentenza 19 luglio 2018, n. 19151 (rel. F. Fiecconi)

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l'onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d'interrompere la gravidanza - ricorrendone le condizioni di legge - ove fosse stata tempestivamente informata dell'anomalia fetale; quest'onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all'opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all'aborto per qualsivoglia ragione personale (v. SU Cass. 25767/2015; Sez. 3, Sentenza n. 24220 del 27/11/2015 ).
(Nel caso di specie, la volontà abortiva era desumibile dalle insistenti richieste della gestante, all'epoca trentaseienne, di effettuare una diagnosi prenatale, rifiutate dal medico curante a causa del c.d. cerchiaggio praticato come terapia antiabortiva, e dalle statistiche sul ricorso a interruzione in caso di feti malformati che mostrano un'alta percentuale di richieste di interruzione della gravidanza in caso di preventiva conoscenza di malformazioni del tipo sindrome di Down.)