Condominio – Responsabilità oggettiva da cose in custodia – Art. 2051 c.c.
“La responsabilità ex art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo; perché essa possa, in concreto, configurarsi è sufficiente che l’attore dimostri il verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene, salvo la prova del fortuito, incombente sul custode.”
La Suprema Corte, in applicazione del principio sopra enunciato, cassa la sentenza che negava il risarcimento dei danni patiti da un minore a causa della chiusura del portone di ingresso di un condominio._x000d_
In particolare, nel caso di specie, il danneggiato aveva dimostrato il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, e cioè la dipendenza eziologica dei pregiudizi da lui riportati per effetto della chiusura del portone di ingresso, mentre il condominio non aveva dato prova del caso fortuito, non deducendo né dimostrando il buon funzionamento del dispositivo MAB e la correlativa addebitabilità dell’evento all’utente che si era attardato nel raggio di chiusura, rimanendo investito dal rientro del battente._x000d_
Di seguito i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051 c.c., non applicati correttamente dai giudici di merito nel caso di specie._x000d_
– La responsabilità prescinde dall’accertamento del carattere colposo dell’attività o del comportamento del custode ed ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento. La responsabilità prescinde, altresì, dall’accertamento della pericolosità della cosa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale idonea a interrompere del tutto il nesso causale tra cosa ed evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del pregiudizio (Cass. n. 3229/2010; Cass. 4279/2008; Cass. 28811/2008)._x000d_
– La radicale oggettivazione dell’ipotesi normativa, insita nella prospettiva adottata, che rende più congruo parlare di rischio da custodia (piuttosto che di colpa nella custodia) e di presunzione di responsabilità (piuttosto che di colpa presunta), comporta che la responsabilità in questione non esige, per essere affermata, un’attività o una condotta colposa del custode, di talché, in definitiva il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente, se la cosa ha provocato danni a terzi (Cass. 4279/2008)._x000d_
– Posto che una funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi, traendo profitto dalla cosa, si trova nelle condizioni di doverne sopportare gli incommoda e di controllarne i rischi, deve considerarsi custode chi di fatto ne governa le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario. Ove vi sia rapporto di custodia, la responsabilità ex art. 2051 c.c. è esclusa solamente dal caso fortuito, che è qualificazione incidente sul nesso causale e non sull’elemento psicologico dell’illecito, che individua un fattore riconducibile a un elemento esterno, avente i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità (confr. Cass. 16029/2010; Cass. 4279/2008; Cass. 25384/2006)._x000d_
– Al danneggiato compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo: più nello specifico, ricordato che la responsabilità presunta per danni da cose in custodia è configurabile anche con riferimento al elementi accessori, pertinenze inerti e qualsivoglia altro fattore che, a prescindere dalla sua intrinseca dannosità o pericolosità, venga a interferire nella fruizione del bene da parte dell’utente, la prova che il danneggiato deve dare, anche a mezzo di presunzioni, consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia; spetta invece al custode provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo a interrompere quel nesso causale.