24 Luglio 2020

La Corte di Cassazione sulle normative sostanziali del diritto emergenziale anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale

Corte Suprema di Cassazione, Uff. del Massimario e del Ruolo, Relazione tematica n. 56 del 8 luglio 2020
OGGETTO:
Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale.
CONTRATTI IN GENERE - ESECUZIONE DI BUONA FEDE - FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - ESECUZIONE DEL CONCORDATO
Sopravvenienze determinate dalla pandemia – In ambito contrattuale e concorsuale – Fase esecutiva – Norme applicabili – Rimedi – Presupposti – Ambito – Limiti.

SOMMARIO:
1. Impostazione dei problemi.
2. Le norme sull’impossibilità sopravvenuta.
3. Le norme sull’eccessiva onerosità sopravvenuta.
4. Inadempimento della prestazione e impotenza finanziaria.
5. Le norme sostanziali “anti-Covid”.
6. Le norme “emergenziali” per le imprese in crisi.
7. L’esecuzione delle procedure concorsuali minori.
8. Il principio di conservazione del contratto.
9. La rinegoziazione del contratto squilibrato.
10. Rilievi conclusivi.

Lo shock economico da pandemia mette sul tavolo due problematiche interconnesse: quella della gestione delle sopravvenienze perturbative dell’equilibrio originario delle prestazioni contrattuali e quella dei correlati rimedi di natura legale e convenzionale.

Nel cimentarsi con le ripercussioni della pandemia sull’universo delle imprese e dei debitori civili, il Governo italiano ha fatto ricorso a più riprese allo strumento del decreto-legge: il primo, il d.l. 2 marzo 2020; il secondo, il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 c.d. “Cura Italia”2; il terzo, il d.l. 8 aprile 2020, n. 23 c.d.. “Decreto Liquidità”3; il quarto, il d.l. n. 28/2020.

Sul piano dei mezzi regolati dalla disciplina generale dei contratti del codice civile, stretto è lo spazio della risoluzione per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 c.c.). Questa sembra avere agio solo quando l’emergenza epidemiologica rende la prestazione dedotta in negozio completamente e definitivamente ineseguibile o inottenibile.

In tema di contratti a esecuzione continuata o periodica (c.d. contratti “di durata”) nonché di contratti a esecuzione differita può in linea di principio richiamarsi il rimedio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), secondo cui il contratto è suscettibile d’essere risolto quando la prestazione, per il verificarsi di “avvenimenti straordinari e imprevedibili”, è diventata per una delle parti eccessivamente onerosa” avuto riguardo al rapporto di scambio consustanziale alle originarie pattuizioni intercorse. Le misure di contenimento hanno potuto sbilanciare, in via definitiva, l’economia del negozio, vuoi impegnando ultra vires una parte nell’esecuzione delle prestazioni che la gravano, vuoi impedendole di trarre dal rapporto le utilità in considerazione delle quali il contratto è stato concluso.

Nei più disparati settori, che vanno dall’energia alla sanità, dai trasporti al turismo, dagli alimentari al terziario, pare evidente che dall’emergenza sanitaria, economica e sociale accesa su scala mondiale dal Covid-19 stia germinando conseguenze che esondano dagli argini della congiuntura finanziaria sfavorevole; dette conseguenze finiscono per riportare nei casi concreti tratti di straordinarietà, imprevedibilità e inevitabilità tanto marcati ed eloquenti da legittimare la parte pregiudicata ad agire in giudizio per la risoluzione del contratto squilibrato, tanto in ragione dell’inusuale aumento di una o più voci di costo della prestazione da eseguire (c.d. “eccessiva onerosità diretta”), quanto a causa della speciale diminuzione di valore reale della prestazione da ricevere (c.d.“eccessiva onerosità indiretta”).

Nella profluvie normativa innescata dalla pandemia, se si eccettuano le norme che autorizzano la sospensione dei mutui, anche se nei limiti di cui agli artt. 54 e 56 d.l. n. 18 del 202022, fanno difetto disposizioni che assumano ad oggetto non tanto l’impossibilità tecnica di adempiere, quanto quella strettamente finanziaria. Sicché, rispetto al tema di inadempimento della prestazione e di impotenza finanziaria, nella legislazione anti-Covid nulla è cambiato.

La pietra angolare continua ad essere quella concordemente ubicata da dottrina e giurisprudenza al centro del sistema: l’eventuale crisi di liquidità del debitore è un rischio posto a carico dello stesso, anche laddove derivi dall’altrui insolvenza o da una crisi di mercato, in quanto aspetti rientranti nella sfera organizzativa individuale che egli, in piena libertà e secondo diligenza, è tenuto a gestire al meglio al fine di onorare i debiti assunti.

L’art. 91 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, di ardua interpretazione, dispone: “All’articolo 3 del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla l. 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: «6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti»”.

La pandemia da Coronavirus e le conseguenti misure adottate dai singoli Stati allo scopo di circoscrivere la diffusione del contagio sono destinate a cambiare in profondità le attuali condizioni di mercato, riflettendosi sul sistema economico finanziario delle imprese.

Sulla premessa della carenza di liquidità ineluttabilmente collegata al lockdown, il d.l. n. 23 del 2020 ha introdotto una sequenza di misure temporanee per le aziende, incidenti sia sulla disciplina fallimentare, sia su quella delle imprese (“Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga dei termini amministrativi e processuali”). Sono gli artt. da 5 a 10 del d.l. quelli riguardanti la materia societaria e concorsuale.

Il Covid potrebbe condurre ad aprire una breccia nella formalistica lettura della regola pacta sunt servanda codificata nell’art. 1372 c.c.. La pandemia mette in luce come il principio della vincolatività del contratto si presti ad essere assolutizzato, suggerendo di per sé un contemperamento con l’altro principio del rebus sic stantibus, qualora per effetto di accadimenti successivi alla stipulazione del contratto o ignoti al momento di questa o, ancora, estranei alla sfera di controllo delle parti, l’equilibrio del rapporto si mostri sostanzialmente snaturato.

Qualora il sinallagma contrattuale sia stravolto dalla pandemia e la parte avvantaggiata disattenda gli obblighi di protezione nei confronti dell’altra, limitare la tutela di quest’ultima alla risoluzione e al risarcimento del danno significherebbe demolire il rapporto contrattuale, incanalandolo in quell’imbuto esiziale che la clausola di buona fede e la rinegoziazione dovrebbero valere a scongiurare. Parrebbe anomalo che il contratto cessi sempre e comunque per effetto del comportamento di una delle parti che, con una scelta di campo incompatibile con la
finalità manutentiva del rapporto, ne determini giocoforza la cesura. Il tema attiene, quindi, alla possibilità di un intervento eteronomo del giudice di integrazione del rapporto divenuto iniquo.

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