Il pagamento di assegno circolare effettuato dalla Banca emittente in favore di soggetto cui il fallito abbia girato l’assegno non è ripetibile

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25558 (Rel. Campese)

Come si desume dagli artt. 82 e 83 del r.d. n. 1736 del 1933, l'assegno circolare è una promessa incondizionata di pagare a vista una somma determinata, all'ordine della persona indicata come prenditore. La banca che emette un assegno circolare, dunque, adempie un'obbligazione di provvista nei confronti del richiedente, non necessariamente coincidente con la persona indicata come prenditore, ed assume un'obbligazione cambiaria nei confronti di chiunque risulterà legittimo portatore del titolo. Di tali due atti, l'adempimento dell'obbligazione di provvista e l'assunzione dell'obbligazione cambiaria, non vi è dubbio che la prima rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 44 I.fall., ove il richiedente sia fallito. L'assunzione dell'obbligazione cambiaria da parte della banca emittente, invece, non è, di per sè, un atto del fallito, che sarebbe inefficace a norma dell'art. 44, comma 1, I.fall., nè il pagamento di un credito del fallito, che sarebbe inefficace giusta l'art. 44, comma 2, I.fall.. Relativamente inefficaci potrebbero certo essere tutti gli atti che determinano la circolazione del titolo cartolare, se compiuti in pagamento di un credito o di un debito del fallito. E, nel caso in esame, potrebbero risultare appunto inefficaci non solo l'adempimento dell'obbligazione di provvista nei confronti del soggetto poi dichiarato fallito, ma anche la successiva girata del titolo da parte di quest'ultimo in favore di un terzo. Nondimeno tale inefficacia potrebbe essere fatta valere solo dalla curatela fallimentare, perché, come si è chiarito, l'inefficacia, benché operante erga omnes, è relativa solo ai creditori concorsuali. Nella specie, invece, ad agire non è stata la curatela ai sensi dell'art. 44 I.fall. (essendo la stessa stata soddisfatta stragiudizialmente), bensì, ed ai sensi dell'art. 2033 cod. civ., la banca emittente che pretende di ripetere, asseritamente perché senza titolo, il pagamento di due assegni circolari (costituenti parti di una maggior importo) effettuato in favore di soggetto cui il fallito aveva girato quei titoli. Deve, però, escludersi, come sostanzialmente sancito dalla già citata Cass. n. 17310 del 2009, che la banca emittente possa sottrarsi al suddetto pagamento, e tanto proprio alla stregua di quanto si è precedentemente detto richiamandosi gli artt. 82 e 83 del r.d. n. 1736 del 1933. Proprio perché l'assegno circolare è una promessa incondizionata di pagare a vista una somma determinata, all'ordine della persona indicata come prenditore, la banca che lo emette adempie, come si è detto, una duplice obbligazione: di provvista nei confronti del richiedente, non necessariamente coincidente con la persona indicata come prenditore; cambiaria nei confronti di chiunque risulterà legittimo portatore del titolo. Detta obbligazione cambiaria, dunque, che, come si è visto, non può considerarsi, di per sé, come atto del fallito o come pagamento del fallito, costituisce, nella specie, il titolo in forza del quale la banca emittente era tenuta nei confronti di chiunque fosse risultato legittimo portatore del titolo. Allo stesso, peraltro, nemmeno potevano opporsi eccezioni di natura personale riguardanti i rapporti dell'emittente con precedenti possessori.

Azione di rivalsa: non è onere dell’assicuratore provare l’adeguatezza e congruità dell’indennizzo

Cass.Civ., Sez. VI, ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25429 (Rel. Positano)

L'assicuratore ha diritto di rivalsa verso l'assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione. Nella motivazione della sentenza impugnata la Corte di merito ha evidenziato che la pretesa fatta valere in via di rivalsa dalla Compagnia assicuratrice andava disattesa, in difetto di prova idonea circa la congruità e l'adeguatezza dell'indennizzo corrisposto, prova che l'assicuratore non aveva fornito, avendo omesso di indicare elementi utili ad individuare l'adeguatezza dell'importo versato ai danni patiti dai trasportati. Ma, tale affermazione è erronea. L'assicurato può contrastare la domanda di regresso formulando tutte le possibili eccezioni in ordine alla sua responsabilità ed alla entità del risarcimento. In applicazione del ricordato principio, qualora il debitore eccepisca la sussistenza di circostanze liberatorie, totali o parziali, dall'obbligo di risarcimento è a carico di colui che formula l'eccezione, l'onere della prova di dette circostanze, come del resto può desumersi dal contenuto dell'articolo 1227 c.c. Non può, quindi, condividersi l'affermazione fatta dalla Corte di Appello che ha posto a carico della compagnia la prova dell'adeguatezza della somma corrisposta ai danni subiti dai trasportati dovendo, invece, la detta prova gravare sull'assicurato o comunque sul proprietario che abbia contestato la congruità dell'importo versato; nello specifico rileva questa Corte che l'assicurato avrebbe potuto intervenire nella procedura stragiudiziale, chiedere l'accesso agli atti e formulare mezzi di prova sulla dinamica e riguardo ai criteri di quantificazione del danno.

Sulla responsabilità per i sinistri da animali selvatici

Cass. Civ., sez. III, sentenza 11 ottobre 2018, n. 25147 (rel. C. D'Arrigo)

La responsabilità extracontrattuale per danni provocati alla circolazione stradale da animali selvatici va imputata alla Provincia a cui appartiene la strada ove si è verificato il sinistro, in quanto ente cui sono stati concretamente affidati poteri di amministrazione e funzioni di cura e protezione degli animali selvatici nell'ambito di un determinato territorio, e non già alla Regione, cui invece spetta, ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157, salve eventuali disposizioni regionali di segno opposto, solo il potere normativo per la gestione e tutela di tutte le specie di fauna selvatica (cfr. Sez. 6 - 3, Sentenza n. 12808 del 19/06/2015; Sez. 3, Sentenza n. 16642 del 09/08/2016).

Opposizione agli atti esecutivi: inderogabile la fase preliminare sommaria dinanzi al giudice dell’esecuzione.
Atto di opposizione non conforme al modello legale: conseguenze.

Cass. Civ., sez. III, sentenza 11 ottobre 2018, n. 25170 (rel. A. Tatangelo)

La preliminare fase sommaria delle opposizioni esecutive (successive all'inizio dell'esecuzione) davanti al giudice dell'esecuzione (ai sensi degli artt. 615, comma 2, 617, com ma 2, e 618, nonché 619, c.p.c.) è necessaria ed inderogabi le, in quanto prevista non solo per la tutela degli interessi del le parti del giudizio di opposizione ma anche di tutte le parti del processo esecutivo e, soprattutto, in funzione di esigenze pubblicistiche, di economia processuale, di efficienza e regola rità del processo esecutivo e di deflazione del contenzioso or dinario; la sua omissione, come il suo irregolare svolgimento, laddove abbia impedito la regolare instaurazione del contrad dittorio nell'ambito del processo esecutivo ed il preventivo esame dell'opposizione da parte del giudice dell'esecuzione - non solo in vista di eventuali richieste cautelari di parte, ma anche dell'eventuale esercizio dei suoi poteri officiosi diretti a regolare il corso dell'esecuzione - determina l'improponibilità della domanda di merito e l'improcedibilità del giudizio di op posizione a cognizione piena.
L'atto introduttivo dell'opposizione esecutiva successiva all'inizio dell'esecuzione (ex artt. 615, comma 2, 617, comma 2, e 618, nonché 619, c.p.c.) che eventualmente si discosti dal modello legale (il quale richiede un ricorso direttamente rivolto al giudice dell'esecuzione, da depositarsi quindi nel fa scicolo dell'esecuzione già pendente e non da iscriversi nel ruolo contenzioso civile) è nullo; la nullità resta sanata per raggiungimento dello scopo se l'atto sia depositato nel fascico lo dell'esecuzione e/o comunque pervenga nella sfera di cono scibilità del giudice dell'esecuzione, anche su disposizione del giudice, diverso da quello dell'esecuzione, che ne rilevi la sud detta nullità, o su richiesta della parte opponente; in tal caso, la sanatoria per raggiungimento dello scopo opera con effetto dalla data in cui sia emesso il provvedimento che dispone l'inserimento dell'atto nel fascicolo dell'esecuzione ovvero dal la data, se anteriore, in cui l'opponente richieda di procedersi in tal senso; resta fermo peraltro che laddove il mancato tem pestivo inserimento dell'atto nel fascicolo dell'esecuzione non sia imputabile alla parte opponente ma ad un errore della cancelleria, gli effetti della proposizione della domanda reste ranno quelli del deposito dell'atto presso l'ufficio giudiziario, e che la cancelleria è tenuta ad inserire nel fascicolo dell'esecuzione tutti gli atti che siano oggettivamente interpre tabili come diretti al giudice dell'esecuzione, indipendente mente dalla loro forma o dalla loro iscrizione a ruolo.

Processo tributario: termini e modalità della costituzione

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 11 ottobre 2018, n. 25260 (rel. E. Manzon)

Nel processo tributario, il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente (o dell'appellante), che si avvalga per la notificazione del servizio postale universale, decorre non dalla data della spedizione diretta del ricorso a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, ma dal giorno della ricezione del plico da parte del destinatario (o dall'evento che la legge considera equipollente alla ricezione) (cfr. Sez. U, Sentenza n. 13452 del 29/05/2017).
Nel processo tributario, non costituisce motivo d'inammissibilità del ricorso (o dell'appello), che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente (o l'appellante), al momento della costituzione entro iltermine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l'avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purché nell'avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall'ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario. Solo in tal caso, infatti, l'avviso di ricevimento è idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione; invece, in loro mancanza, la non idoneità della mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull'avviso di ricevimento può essere superata, ai fini della tempestività della notifica del ricorso (o dell'appello), unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall'agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l'impugnazione dell'atto (o della sentenza).

Ricorso per Cassazione: l’apprezzamento in fatto del giudice di merito è insindacabile

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 11 ottobre 2018, n. 25348 (Rel. Pellecchia)

Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. L'apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell'ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011).

Termine per proporre opposizione allo stato passivo

Cass. Civ., sez. I, 10 ottobre 2018, n. 25064 (rel. A. Ceniccola)

La mancata presentazione da parte del creditore di osservazioni al progetto di stato passivo depositato dal curatore non comporta acquiescenza alla proposta e conseguente decadenza dalla possibilità di proporre opposizione", perché "non può trovare applicazione il disposto dell'art. 329 cod.proc.civ. rispetto ad un provvedimento giudiziale non ancora emesso.
L'art. 95, comma 2, I.fall., introdotto dal d.lgs. n. 169 del 2007, prevede che i creditori "possano" esaminare il progetto, senza porre a loro carico un onere di replica alle difese e alle eccezioni del curatore entro la prima udienza fissata per l'esame dello stato passivo; deve, pertanto, escludersi che il termine predetto sia deputato alla definitiva e non più emendabile individuazione delle questioni controverse riguardanti la domanda di ammissione" (cfr. in tal senso Cass. 10/08/2017 n. 19937; Cass. 10/04/2012, n. 5659; Cass. 6.09.2013, n. 20583).

In sede di opposizione, il giudice può disporre l’acquisizione del fascicolo della procedura contenente i documenti prodotti dal creditore in sede di verifica del passivo

Cass. Civ., sez. I, 10 ottobre 2018, n. 25065 (rel. A. Ceniccola)

Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, l'opponente, a pena di decadenza ex art. 99, comma 2, n. 4), I.fall., deve soltanto indicare specificatamente i documenti, di cui intende avvalersi, già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato, sicchè, in difetto della produzione di uno di essi, il tribunale deve disporne l'acquisizione dal fascicolo d'ufficio della procedura fallimentare ove esso è custodito. (cfr.Cass. 18/05/2017, n. 12549)

Il curatore che impugna i crediti ammessi al passivo deve dare prova dei fatti su cui si fonda la sua contestazione

Cass. Civ., sez. I, 10 ottobre 2018, n. 25066 (rel. A. Ceniccola)

In tema di impugnazione di crediti ex art. 100 della legge fallimentare, ove il curatore intenda contestare la validità dell'accertamento compiuto dal giudice delegato, non è il creditore a dover nuovamente fornire la prova del proprio credito, già positivamente delibato dal giudice delegato, ma è appunto il curatore ricorrente a dover dimostrare i fatti posti a fondamento della contestazione.

I requisiti dell’atto di appello

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 10 ottobre 2018, n. 25107 (rel. A. Scrima)

Gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado.