L’accoglimento dell’impugnazione rende ripetibili le prestazioni eseguite in forza della sentenza di primo grado, ma occorre specifica domanda di restituzione
L'art. 336 c.p.c., disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, vengano meno immediatamente sia l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado sia l'efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente. In sostanza, è sufficiente l'accoglimento della impugnazione perché sorga l'obbligo restitutorio; tuttavia, l'esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile non comporta, di per sé, una implicita condanna a pagare, quale contenuto non dichiarato della sentenza di riforma, ma esige una apposita pronuncia. Il Tribunale, a fronte della domanda -espressamente formulata dalla parte nell'atto di gravame- di restituzione delle somme corrisposte in forza della sentenza di primo grado, ha omesso di pronunciarsi al riguardo, ed è quindi incorso nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; ed invero, come già chiarito da questa S.C., incorre in detta violazione il giudice che, accogliendo l'appello avverso sentenza provvisoriamente esecutiva, ometta di ordinare la restituzione di quanto corrisposto in forza della decisione riformata, pur essendo stata ritualmente introdotta con l'atto di impugnazione la relativa domanda restitutoria, non potendosi utilizzare la riforma della pronuncia di primo grado, agli effetti di quanto previsto dall'art. 474 cod. proc. civ., come condanna implicita (conf. Cass. 8639/2016; 2662/2013; 6457/2015).