12 Settembre 2016

Nullità della clausola che preveda l’applicazione di un tasso di interessi con fluttuazione tendenzialmente aperta

“La clausola contenuta nei contratti di apertura di credito in conto corrente, che preveda l’applicazione di un determinato tasso sugli interessi dovuti dal cliente e con fluttuazione tendenzialmente aperta, da correggere con sua automatica riduzione in caso di superamento del cd. tasso soglia usurario, ma solo mediante l’astratta affermazione del diritto alla restituzione del supero in capo al correntista, è nulla ex art. 1344 c.c., perché tesa ad eludere il divieto di pattuire interessi usurari, previsto dall’art. 1815 c.c., comma 2, per il mutuo, regola applicabile per tutti i contratti che prevedono la messa a disposizione di denaro dietro una remunerazione”.

La pronuncia della Suprema Corte si segnala per aver affrontato due importanti questioni: i profili di illegittimità della c.d. clausola di salvaguardia e la correttezza (o meno) della rilevanza della commissione di massimo scoperto ai fini della valutazione dell’usura per le operazioni ante 2010.
Avuto riguardo alla clausola di salvaguardia, ossia alla clausola che, nei contratti di apertura di credito in conto corrente, prevede l’applicazione di un determinato tasso di interesse con possibilità di riduzione automatica dello stesso in caso di superamento del tasso soglia usurario, la Corte rileva profili di illegittimità.
In particolare, il meccanismo di addebito di tassi usurari con possibilità riconosciuta al cliente di agire in ripetizione per la restituzione degli interessi pagati oltre soglia rappresenta un’elusione del divieto di pattuire interessi usurari di cui all’art. 1815 c.c. Il mero riconoscimento in capo al correntista del diritto alla restituzione delle somme pagate alla banca oltre soglia, infatti, consente il vietato addebito di interessi usurari, rimettendo alla scelta del cliente di attivarsi per il recupero delle somme non dovute.
La clausola, quindi, deve considerarsi nulla in quanto stipulata in frode alla legge (art. 1344 c.c.), in quanto non direttamente violativa del disposto di legge ma strumentale alla sua inapplicazione.
Come anticipato, la sentenza in commento si segnala anche per aver affrontato altra e importante questione, ossia il computo delle commissioni di massimo scoperto nelle rilevazioni di usura ante 2010.
Il problema della rilevanza delle commissioni di massimo scoperto ai fini dell’accertamento del superamento del tasso di usurarietà si impone per il periodo anteriore al 2010, anno a partire dal quale le commissioni di massimo scoperto sono state considerate nel computo dell’usurarietà, ai sensi dell’art. 2 bis, comma 2, D.L. 185/2008, conv. in L. 2/2009.
La suddetta norma, infatti, espressamente considerava le commissioni di massimo scoperto rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c. e dell’art. 644 c.p., rendendo necessario l’adeguamento delle successive Istruzioni della Banca d’Italia.
Si discuteva, in particolare, in ordine alla possibilità di intendere la norma de qua come norma di interpretazione autentica e, quindi, con portata retroattiva.
La lettura fatta propria dal giudice di merito è stata sconfessata dal Giudice di legittimità in ragione della considerazione che non sono rinvenibili elementi da cui desumere la sussistenza di una norma di interpretazione autentica. Più precisamente, perché sia possibile qualificare una norma come di interpretazione autentica è necessario che risulti “l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre un determinata disciplina solo per il futuro” (Cass., Sez. Un. n. 9941/2009).
Nella norma in esame, invece, nessun dato testuale esprime una precisa volontà del legislatore di offrire un’interpretazione autentica dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c.
Ne segue la portata innovativa del citato art. 2 bis, comma 2, D.L. 185/2008, disposizione che modifica la precedente normativa, superando il previgente meccanismo ricognitivo-determinativo primario che espressamente escludeva la commissione di massimo scoperto dal calcolo del tasso usurario
Per i rapporti sino al 31 dicembre 2009, quindi, le commissioni di massimo scoperto non rilevano ai fini del calcolo del tasso usurario, mentre per i rapporti successivi si applica l’art. 2 bis, comma 2, D.L. 185/2008, che contempla la commissione di massimo scoperto tra i valori di cui occorre tenere conto ai fini della valutazione del superamento del tasso soglia.

Cass. Civ., Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12965