28 Aprile 2020

Perdita rapporto parentale nonni-genero e nipoti: necessarie prove in ordine alle caratteristiche del rapporto

Tribunale di Catania, sez. V civ., sentenza 23 aprile 2020, n. 1358 (g. Di Bella)
Il genero ed i nipoti non possono vantare alcun diritto al risarcimento, laddove non sia allegata, né provata la preesistenza di uno specifico, concreto e peculiare rapporto con il de cuius (nonno), che non può presumersi per il solo fatto della convivenza all’interno dello steso nucleo familiare. In particolare, ai fini del risarcimento dei danni iure proprio per la perdita del rapporto parentale, devono essere allegati e precisati elementi circa la durata di tale convivenza, circa le caratteristiche del personale rapporto tra tali attori e il de cuius, circa l’eventuale reciproco apporto di arricchimento e/o affetto, circa il particolare legame con il de cuius, ovvero circa le abitudini, le aspirazioni ed i progetti che il decesso della stessa abbia irrimediabilmente mutato, con conseguente sofferenza e perdita emotivamente rilevante. Né, a tal fine, può darsi rilievo all’affetto che genericamente può intercorrere anche tra coloro che non siano legati da vincoli di sangue e/o coniugio, non potendosi ritenere giuridicamente rilevante ogni e qualsiasi rapporto personale laddove non venga allegata e fornita la prova della profondità e importanza dello stesso.
Nel caso di specie, in assenza di elementi di prova in ordine alle caratteristiche del rapporto con la de cuius (nonna), il Decidente non ha ritenuto meritevole di tutela il diritto al risarcimento del danno lamentato dal genero e dai nipoti, fondato sulla sola convivenza; quest'ultima, infatti, può costituire solo uno degli elementi e indici probatori per ritenere esistente un rapporto affettivo, ma non è di per sé sola sufficiente laddove la domanda non sia proposta dai prossimi congiunti.

Il giudice di merito intende fare applicazione dei recenti orientamente della Suprema Corte (cfr Cass. Civ. sent. n. 7743/2020; Cass. Sez. 3, n. 29332 del 07/12/2017; Cass. Sez. 3 n. 21230 del 20/10/2016), secondo cui “in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta “iure proprio” dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto”.

Nello stesso senso Cass. Civ. sent. n. 5452/2020: “ … La Corte d’appello ha correttamente richiamato l’insegnamento di questa Corte secondo cui il fatto illecito costituito dalla uccisione del congiunto dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorchè colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare. Perchè, invece, possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero o la nuora), è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonchè la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno (sentenza 16 marzo 2012, n. 4253). Tale principio è stato sostanzialmente ribadito anche in seguito, sia pure con la precisazione che la prova del danno non deve necessariamente essere collegata al dato della convivenza (sentenza 20 ottobre 2016, n. 21230); ma comunque, l’insegnamento di questa Corte è nel senso che, rispetto ai nipoti, il diritto al risarcimento deve fondarsi sulla prova positiva dell’esistenza di un vincolo affettivo, prova che è invece presunta per i familiari legati alla vittima da uno stretto legame di parentela (genitori, coniuge, figli o fratelli; v. la sentenza 14 giugno 2016, n. 12146, e l’ordinanza 15 febbraio 2018, n. 3767).”