Polizza infortuni – Rinuncia alla surroga – Esclusa la compensatio lucri cum damno
La polizza infortuni stipulata dalle parti, prevedendo in concreto una rinuncia da parte dell'assicuratore al proprio diritto di surroga ex art. 1916 c.c., ha una finalità previdenziale e, quindi, assume in concreto una configurazione del tutto similare a quella delle assicurazioni sulla vita, rispetto alle quali deve escludersi l'operatività della compensatio lucri cum damno.
Al fine di individuare la disciplina applicabile alle polizze infortuni, occorre rifuggire da rigidi automatismi, essendo necessario risalire allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipula del contratto assicurativo in esame.
È infatti principio consolidato quello per cui il requisito della causa del contratto dev’essere apprezzato in concreto, dovendosi indagare, non già lo schema astratto prescelto dai contraenti, ma lo scopo pratico (o funzione economico-individuale) che questi ultimi hanno inteso perseguire con la convenzione tra loro stipulata (cfr. Cass., Sez. Un., n. 22437/2018, in tema di claims made).
Deve dunque fornirsi un’interpretazione evolutiva della sent. Cass., Sez. Un., n. 5119/2002, posto che quest’ultima, essendo intervenuta prima dello storico precedente di legittimità che ha accolto definitivamente il principio della c.d. causa in concreto (cioè Cass., sent. n. 10490/2006), ha offerto una soluzione ancorata entro i rigidi schematismi della causa in astratto.
Abbracciando dunque un approccio aderente alla causa in concreto, si scongiura altresì l’equivoco (tanto contestato in dottrina) in cui sono incorse le stesse Sezioni Unite nella parte in cui, invocando la teoria del contratto misto, hanno affermato che, in presenza di una polizza infortuni contestualmente stipulata per esiti letali e non letali, si devono applicare norme diverse a seconda dell’evento che in concreto si è verificato: è infatti evidente come la disciplina di un unitario contratto non può certo mutare a seconda dell’evenienza della vita che viene ex post in rilievo.
In una chiave evolutiva, è dunque necessario ricostruire la volontà delle parti e – specificamente – la natura del contratto assicurativo attraverso il periscopio della c.d. causa in concreto.
La bontà di una simile prospettiva, attenta alla concreta configurazione del contratto operata dalle parti, trova un utile addentellato nel reg. ISVAP n. 29 del 16 marzo 2009 che, con riferimento alle assicurazioni per “malattie gravi” o alla copertura per la “non autosufficienza”, inserisce detti prodotti alternativamente nel ramo vita o nel ramo danni a seconda dell’articolazione complessiva dell’operazione negoziale.
Del pari, un’indagine sulla concreta configurazione del contratto assicurativo è suggerita dall’art. 2 C.d.A. che riconduce al ramo vita le assicurazioni contro infortuni purché in concreto stipulate per una durata poliennale e con clausola di non rescindibilità (cfr. Cass., sent. n. 9380/2021).
Ebbene, nel caso di specie, i contraenti hanno previsto che, in caso di invalidità permanente, la compagnia assicurativa avrebbe dovuto versare all’assicurato un indennizzo calcolato in percentuale sulla somma assicurata (pari ad euro 300.000,00) contestualmente prevedendosi una preventiva rinuncia da parte della Compagnia ad esercitare il proprio diritto di surroga nei confronti dell’eventuale terzo responsabile.
Le parti, dunque, non hanno ancorato l’indennizzo assicurativo ad un supposto valore obiettivo della persona, ma lo hanno legato ad un capitale convenzionalmente stabilito, secondo un modello più simile a quello dell’assicurazione sulla vita (dove l’indennità è correlata al capitale investito), rispetto allo schema dell’assicurazione contro i danni alle cose (ove l’indennizzo è rapportato al valore del bene assicurato).
Soprattutto però, ad illuminare il reale intento perseguito dalle parti, è l’esclusione convenzionale del diritto di rivalsa dell’assicuratore (per la cui previsione normalmente l’assicurato corrisponde premi maggiorati), clausola che, lungi dal porsi quale elemento accidentale del contratto (come invece sembrerebbero affermare Cass., sent. n. 13233/2014 e Cass., ord. n. 14358/2019), assume un ruolo dirimente nell’interpretazione della concreta volontà delle parti.
Tale pattuizione, infatti, dimostra chiaramente come i contraenti abbiano inteso scindere il profilo risarcitorio (derivante dall’applicazione degli artt. 2043 e ss. c.c.) da quello indennitario conseguente all’operatività della polizza. In altri termini, le parti, prevedendo la preventiva rinuncia dell’assicuratore alla surroga, hanno inteso pattuire che, in caso di infortunio imputabile a responsabilità del terzo, l’assicurato potesse cumulare il risarcimento del danno con l’indennizzo assicurativo. In altre parole, se la previsione di una rivalsa – come precisato dalle S.U. con sent. n. 12564/2018 – trasforma il duplice, ma separato, rapporto bilaterale (danneggiante-danneggiato e assicuratore-assicurato) in una relazione trilaterale, l’esclusione convenzionale del diritto di surroga recide detta trilateralità, riportando la vicenda all’originaria doppia bilateralità.
In definitiva, ritiene il Tribunale che la polizza stipulata dalle parti, per come in concreto articolata, risponda ad una finalità previdenziale: l’assicurato ha inteso cautelarsi contro il rischio di morte o invalidità permanente, sopportando il pagamento di una serie di premi e assicurandosi la possibilità di poter celermente disporre, in caso di verificazione di un evento traumatico, di una somma di denaro certa nel suo ammontare e proporzionata – in quanto ancorata ad un prescelto capitale assicurato – non già al danno effettivamente patito, ma alla propria capacità di spesa e alla propria propensione all’investimento previdenziale.
Il contratto assicurativo stipulato dall’assicurato, quindi, lungi dall’assolvere una funzione di neutralizzazione di un pregiudizio subito, intende precipuamente garantire all’assicurato (o ai suoi familiari in caso di decesso) una provvidenza dallo stesso stimata come idonea. E ciò dovrebbe valere sia nel caso di infortunio letale, sia nel caso di trauma solo invalidante: non si vede del resto per quale ragione la finalità previdenziale (riconosciuta dalle Sezioni Unite n. 5119/2002 solo per gli esiti mortali) dovrebbe mutare a seconda dell’evento – letale o non letale – che in concreto si verifica.
È al riguardo peraltro significativo osservare come la polizza in esame in esame non abbia ad oggetto il “danno biologico” o altre ipotesi di “danno alla persona” con le modalità previste dalle tabelle giurisprudenziali o dal C.d.A., ma correla l’indennizzo al verificarsi del mero “fatto”, consistente nell’invalidità permanente derivante da infortunio.
La previsione della rinuncia preventiva alla rivalsa può essere peraltro valorizzata anche sotto un altro aspetto: inserendo detta clausola, le parti hanno inteso attribuire alla polizza “[…]” non solo una funzione previdenziale, ma anche uno scopo in qualche modo “consolatorio”.
Infatti, nel pattuire tale clausola, l’assicurato ha evidentemente prefigurato l’evenienza di infortunio causato da un terzo, assicurandosi che, in tal caso, già di per sé drammatico, avrebbe quanto meno potuto ricevere, oltre al risarcimento del danno, anche un indennizzo assicurativo. Si tratta pur sempre di un interesse che, in un sistema che valorizza l’autonomia contrattuale al massimo grado entro i limiti della liceità, deve senz’altro ritenersi meritevole di tutela.
Se invece si ritenesse di escludere il cumulo, l’intento pratico perseguito dalle parti di consentirlo in favore dell’assicurato sarebbe del tutto frustrato posto che lo scopo “consolatorio” che l’assicurato intendeva ritrarre dal contratto sarebbe vanificato da una sostanziale impunità del danneggiante.