17 Marzo 2020

Sui principi in tema di danno non patrimoniale

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 11 marzo 2020, n. 7024 (rel. Travaglino)
Richiamando la più recente ed ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass. 17/01/2018, n. 901; 27/03/2018, n. 7513; 28/09/2018, n. 23469) in tema di risarcimento del danno alla persona, vanno, in particolare, ribaditi, i seguenti principi.
A) Sul piano del diritto positivo l'ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.).
B) La natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l'insegnamento della Corte Costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte Cost. n. 233 del 2003; Cass. S.U. 11/11/2008 nn. 26972-26975) deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:
a. di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;
b. di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall'evento dannoso, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.
C) Nel procedere all'accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, alla luce dell'insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e del recente intervento del legislatore sugli articoli 138 e 139 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), modificati dall'art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124 - la cui nuova rubrica ("danno non patrimoniale", sostitutiva della precedente, "danno biologico"), ed il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale - deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale e, cioè, tanto l'aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione), quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
D) Nella valutazione del danno alla salute, in particolare - ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto (Cass. nn. 8827-8828 del 2003; Cass. S.U. n. 6572 del 2006; Corte Cost. n. 233 del 2003) - il giudice dovrà, pertanto, valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale - che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso - quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell'ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce "altro da sé").
E) In presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomali, eccezionali ed affatto peculiari: le conseguenze da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
F) Nel caso di lesione della salute, costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico - inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali - e del danno c.d. esistenziale, appartenendo tali c.d. "categorie" o "voci" di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l'art. 32 Cost.).
G) Non costituisce duplicazione risarcitoria, di converso, la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss. (ove si legge che la norma di cui all'art. 139 cod. ass. "non è chiusa anche al risarcimento del danno morale"), e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell'art. 138 lett. e), cod. ass., introdotta - con valenza evidentemente interpretativa - dalla legge di stabilità 2016.

Alla luce di tali consolidati principi, appare evidente che:

a) è priva di fondamento concettuale e substrato fenomenologico la doglianza che ipotizza un pregiudizio esistenziale diverso e suscettibile di essere distintamente risarcito dal danno biologico (che di per sé definisce e racchiude le conseguenze dannose di tipo dinamico relazionale derivanti dalla lesione del diritto alla salute) (in tal senso v. da ultimo anche Cass. 11/11/2019, n. 28989);

b) del tutto apodittica e priva di alcun fondamento normativo è l’affermazione secondo cui la liquidazione tabellare del danno imporrebbe comunque una personalizzazione del danno, essendo invece vero proprio il contrario, ossia che, come detto, la personalizzazione del danno presuppone l’esistenza di specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgono a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata del danno non patrimoniale assicurata dalle previsioni tabellari;

c) quanto al danno morale, se è vero che l’invocazione di un criterio tabellare di liquidazione del danno morale non è predicabile alla stregua degli indici di diritto positivo sopra richiamati, ed anche per ragioni legate alla sua propria consistenza fenomenologica che sfugge per definizione ad una valutazione aprioristica e standardizzata, è pur vero, però, che anche tale pregiudizio deve essere allegato e provato, ancorché ovviamente per presunzioni, nella sua concreta ed effettiva consistenza.