22 Settembre 2014

Responsabilità medica – Finalità terapeutica – Lesioni volontarie – Esclusione

“In tema di responsabilità civile da trattamento sanitario ed ai fini della individuazione del termine prescrizionale per l’esercizio dell’azione risarcitoria, non è ipotizzabile il delitto di lesioni volontarie gravi o gravissime nei confronti del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento da questo non consentito (anche se abbia esito infausto e anche se l’intervento venga effettuato in violazione delle regole dell’arte medica), se comunque sia rinvenibile nella sua condotta professionale una finalità terapeutica o comunque la terapia sia inquadrabile nella categoria degli atti medici. In questi casi, infatti, la condotta non è diretta a ledere e, se l’agente cagiona lesioni al paziente, è al più ipotizzabile il delitto di lesioni colpose se l’evento è da ricondurre alla violazione di una regola cautelare.”

Per ravvisare la sussistenza di nesso causale tra lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente (realizzatosi mediante l’omessa informazione da parte del medico) e lesione della salute per le, pure incolpevoli, conseguenze negative dell’intervento (tuttavia non anomale in relazione allo sviluppo del processo causale), deve potersi affermare che il paziente avrebbe rifiutato l’intervento ove fosse stato compiutamente informato, giacché altrimenti la condotta positiva omessa dal medico (informazione ai fini dell’acquisizione di un consapevole consenso) non avrebbe comunque evitato l’evento (lesione della salute)._x000d_
Non assume alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, la circostanza che il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno. Sotto tale profilo, infatti, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza dei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica._x000d_
Il caso di specie riguarda la richiesta di risarcimento da parte di una ragazzo di 19 anni, sottoposto, all’età di un anno, ad un intervento chirurgico al cranio, dal quale era derivata la sua cecità. Il giovane, in particolare, lamentava che il medico avesse eseguito un intervento diverso, più invasivo e pericoloso, rispetto a quello per il quale i suoi genitori, previo accordo con medico curante, avevano prestato il consenso._x000d_
La Suprema Corte, respingendo la richiesta risarcitoria, per intervenuta prescrizione del diritto, ribadisce il principio secondo cui “non integra il reato di lesione personale né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l’intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un miglioramento delle condizioni di salute del paziente”.