15 Marzo 2023

Sofferenza: danno morale (compromissione emotivo-affettiva) e/o danno biologico (degenerazione patologica)

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 3 marzo 2023, n. 6443 (rel. M. Dell'Utri)
Là dove la sofferenza soggettiva arrecata da un determinato evento della vita, non contenendosi sul piano di un'abituale, normale o comprensibile, alterazione dell'equilibrio affettivo-emotivo del danneggiato, degeneri al punto tale da assumere una configurazione medicalmente accertabile alla stregua di una vera e propria lesione della propria integrità psicologica, non più di un danno morale avrà a discorrersi, bensì di un vero e proprio danno biologico, medicalmente accertabile come conseguenza di una lesione psicologica idonea ad esplicare un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (cfr. art. 138 c.d.a.).
Sul piano probatorio, al riconoscimento di danni biologici di lieve entità, corrisponderà un maggior rigore nell'allegazione e nella prova delle conseguenze dannose concretamente rivendicate, dovendo ritenersi normalmente assorbite, nel riscontrato danno biologico di natura psicologica di lieve entità (salva la rigorosa prova contraria), anche le conseguenze astrattamente considerabili sul piano del c.d. danno morale.

La specificità ontologica del danno alla persona secondo la categoria della sofferenza, benché più agevolmente riconoscibile con riferimento al danno morale (per la ragionevole intuibilità del turbamento delle tonalità emotive che si esprime, esemplificativamente, nella vergogna, nella disistima di sé, nella paura, nella disperazione, etc. che di regola accompagnano il vissuto connesso a determinati eventi della vita), chiede d’esser rinvenuta anche con riguardo al danno biologico, giacché le conseguenze che derivano dall’aggressione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona (suscettibili di accertamento medico-legale), nella misura in cui esplicano un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla capacità di produrre reddito) (per riprendere testualmente la definizione fornita dall’art. 138 del codice delle assicurazioni private), altro non fanno che tradursi o riflettersi (mediate dall’accertamento medico-legale che le esprime come limitazioni funzionali della diade psiche/corpo) nei termini propri della ‘sofferenza e, dunque del dolore che di regola (comunemente) tali limitazioni producono a carico del danneggiato (al di là del dolore fisico come sensazione più o meno spiacevole o fastidiosa) a cagione della forzata rinuncia alla coltivazione delle proprie abitudini quotidiane, o dell’imposto abbandono (temporaneo o meno) dell’ambito delle relazioni personali più significative, secondo le scansioni, i termini o la qualità delle consuetudini di vita sino ad allora conservate.

L’insistito riferimento alla dimensione della sofferenza (o del ‘dolore’) quale dimensione comune delle differenti realtà del danno morale e del danno biologico (entrambi quali conseguenze avvertite dalla persona in interiore homine con immediatezza o, mediatamente, attraverso la frustrante sottrazione degli appagamenti della quotidianità e della vita di relazione che la lesione psicofisica impone) assume un particolare significato con riguardo al caso in esame, tenuto conto della specifica natura del danno alla salute concretamente riscontrato a carico dell’odierna ricorrente, che il consulente tecnico d’ufficio nominato nel giudizio di primo grado ha identificato (secondo quanto riferito dalla stessa ricorrente: v. pag. 4 del ricorso) in una globale limitazione ai gradi terminali dei movimenti della caviglia (idonei a determinare un danno biologico nella misura del 3-4%), nonché in lesioni psichiche “correlate al decesso (del quale probabilmente la perizianda si sente corresponsabile) di una cara amica che viaggiava a bordo dello stesso mezzo seduta accanto al posto di guida, è di tutta evidenza che il disturbo post traumatico da stress (…) è attualmente significativamente attenuato; residua tuttavia una modesta quota di ansia, in particolare in occasione della guida dell’automobile, che può essere ammessa al risarcimento con l’attribuzione di una ulteriore percentuale in misura del 3-4%”

Con specifico riferimento alle aggressioni della persona che si traducono in una lesione della relativa integrità psicologica, infatti, il superamento della sottile linea di confine tra la mera compromissione emotivo-affettiva e la degenerazione patologica (un discrimine talora sfuggente, benché pur sempre determinabile, in termini logico-scientifici), vale ad imporre una corrispondente riformulazione categoriale della fenomenologia delle conseguenze dannose rilevate, dovendo ravvisarsi gli estremi del danno morale là dove quel confine non sia superato (rimanendosi sul piano di una maggiore o minore alterazione dell’equilibrio emotivo-affettivo del danneggiato), e dovendo, per converso, riconoscersi gli estremi del danno biologico là dove la compromissione di quell’equilibrio sia accertabile, sul piano medico legale, come lesione psicologica capace di esplicare una rilevabile incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato