15 Marzo 2012

Utilizzo di tecniche dilatorie – Illecito disciplinare – Comportamento lesivo del decoro e della dignità professionale – Atipicità dell’illecito disciplinare – Applicazione della censura

“L’utilizzo di tecniche dilatorie nei confronti dell’avvocato della controparte in un quadro di comportamenti poco trasparenti finalizzati ad orientare in un determinato modo la soluzione della controversia è illegittimo. E’ dunque giustificata la sanzione della censura irrogata all’avvocato ritenuto colpevole di tali condotte”

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dall’avvocato, al quale il Consiglio dell’Ordine di appartenenza aveva irrogato la sanzione della censura, atteso che egli era venuto meno al dovere di lealtà, correttezza e colleganza, creando nella concezione dell’avvocato rappresentante della controparte in una controversia successoria, l’erroneo convincimento che i tre libretti al portatore recanti somme che rappresentavano il credito litigioso, vincolati all’esito della causa o della transazione, fossero nella sua disponibilità, senza mai smentire la circostanza, anzi giustificando di volta in volta la mancata restituzione con i più svariati argomenti, in tal modo impedendo al legale avversario di attivarsi per il recupero della somma._x000d_
A parere dell’avvocato ricorrente, in particolare, sarebbe affetta da irragionevolezza la sussunzione dello specifico comportamento contestato nel precetto di cui all’art. 38 del Codice Deontologico, che vieta di commettere fatti non conformi al decoro e alla dignità professionale. _x000d_
Le Sezioni Unite non hanno accolto l’avversa censura, precisando invece che “le previsioni del codice deontologico forense hanno la natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi e possono ispirarsi legittimamente a concetti diffusi e generalmente compresi nella collettività. Il Consiglio Nazionale Forense non è vincolato alla definizione dell’illecito quale scaturisce dal testo delle disposizioni del codice deontologico forense, essendo libero di individuare l’esatta configurazione della violazione tanto in clausole generali richiamanti il dovere di astensione da contegni lesivi del decoro e della dignità professionale, quanto in diverse norme deontologiche, o anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche, non previste da dette norme”._x000d_
Pertanto, la Cassazione condivide quanto stabilito dal C.N.F., ossia che l’avvocato censurato, inducendo il collega in errore con l’omissione voluta di una circostanza decisiva, quale la detenzione dei libretti in capo ad altri, abbia realizzato un comportamento strumentale per ritardare la realizzazione del diritto altrui, facendo divenire il legale della controparte uno strumento inconsapevole della realizzazione del disegno dilatorio._x000d_
Così facendo, tale comportamento ha concretizzato una violazione di quei doveri di correttezza, lealtà e colleganza che sono ricompresi nel più ampio precetto di cui all’art. 38 del codice deontologico forense.