18 Dicembre 2012

D.M. 20 luglio 2012, n. 140

Il D.M. 20 luglio 2012, n. 140, con il quale è stato adottato il “regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della Giustizia”, sembra dare particolare importanza all’accordo raggiunto tra professionista e cliente ai fini della liquidazione delle spese. Pare addirittura, secondo una lettura acritica della norma, che di tale accordo il Giudice debba tenere conto nella liquidazione delle spese poste a carico della controparte.

Tale conclusione, però, contrasta con i principi generali dell’ordinamento e, persino, con alcune norme costituzionali.

Giova ricordare come il contratto avente ad oggetto la prestazione d’opera sia, alla stregua di un qualsiasi contratto, un accordo avente efficacia solo ed esclusivamente tra le parti (art. 1372 c.c.) e, pertanto, inopponibile nei confronti dei terzi.

Ciò posto, la non chiara delimitazione del campo di operatività dei nuovi parametri per la liquidazione delle spese giudiziali (“L’organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti di cui ai capi che seguono applica, in difetto di accordo tra le parti in ordine allo steso compenso, le disposizioni del presente decreto”) non può condurre a interpretazioni che scardinino uno dei principi generali validi in materia contrattuale, quale quello della relatività degli effetti del contratto.

Una siffatta situazione, ancora, si porrebbe in contrasto con il principio di regolarità del contraddittorio, dal momento che le altre parti del giudizio verrebbero a conoscenza dell’eventuale accordo tra una parte ed il proprio difensore solo alla fine del processo.

La summenzionata lettura della norma, inoltre, si pone in contrasto sia con l’art. 3 della Costituzione, in quanto, a parità di attività svolta, le spese liquidate in favore delle parti potrebbero essere significativamente differenti, a fronte di differenti accordi stipulati con gli avvocati, che con l’art. 24 Cost., poichè l’accordo tra il cliente e la parte, laddove sproporzionato rispetto al valore della lite, potrebbe incidere, persino, sul diritto di difesa inteso come libera determinazione della controparte di resistere in giudizio.

Pertanto, si deve propendere per la seguente lettura del dato normativo in commento.

Secondo un’interpretazione sistematica, volta a salvaguardare la coerenza del sistema normativo, si potrebbe ritenere che la norma in commento debba essere intesa nel senso per cui nel liquidare le spese di soccombenza, il Giudice deve stabilirne l’importo applicando i parametri previsti dal decreto 140/12, rimanendo l’accordo tra le parti efficace esclusivamente tra le stesse.

Ritenendo, invece, rilevante l’accordo intercorso tra avvocato e cliente ai fini della liquidazione delle spese giudiziali si corre il rischio di eludere l’applicazione dei nuovi parametri, dando riconoscimento ad ogni intesa raggiunta sul compenso professionale, dimenticando altresì come la Corte di Cassazione abbia stabilito la netta distinzione tra statuizione del giudice sulle spese giudiziali e determinazione del compenso nel rapporto interno tra avvocato e cliente (cfr. Cass., 22 aprile 2010, n. 9633).

V’è da dire, tuttavia, che l’interpretazione sistematica sopra auspicata non trova alcun appiglio nella lettera della norma.

Perciò, sia concesso osservare che, al fine di superare ogni dubbio interpretativo in tema di applicabilità della nuova normativa, sarebbe auspicabile un intervento di interpretazione autentica da parte del Legislatore.

Dott. Rosalia Calandrino