06 Giugno 2018

Polizze vita: qualora manchi la garanzia di restituzione del capitale il contratto non ha natura assicurativa, ma di investimento

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 30 aprile 2018, n. 10333
In materia di polizze vita, ove non sia contrattualmente prevista la garanzia di restituzione del capitale, il prodotto oggetto dell’intermediazione deve essere considerato un vero e proprio investimento finanziario da parte di coloro che figurano come assicurati. Ne discende l’applicabilità del T.U.F. e del Regolamento Consob.

La decisione in commento offre lo spunto per approfondire l’interessante tema della distinzione tra polizze vita e prodotti finanziari, tema che rimanda al più generale problema della qualificazione contrattuale: non è il nomen iuris dato dalle parti a determinare l’esatto inquadramento giuridico della fattispecie contrattuale, ma la causa in concreto desumibile dalle specifiche previsioni pattizie.
Nel caso specifico delle polizze c.d. linked, ad esempio, è stato chiarito come la natura assicurativa o finanziaria del contratto vada stabilita in ragione della previsione, o meno, della garanzia di restituzione dei premi versati. Soltanto nell’eventualità in cui il contratto garantisca la restituzione del capitale, la polizza sottoscritta dal cliente potrà essere qualificata come contratto assicurativo, altrimenti, il rischio di perdere i premi versati definisce l’operazione contrattuale come un investimento vero e proprio.
Nell’assicurazione sulla vita il rischio demografico – ossia il rischio legato ad eventi attinenti la vita umana – deve connotare il contratto sotto il profilo causale, “pena, altrimenti, lo snaturamento del tipo” (A. Albanese, Le polizze Linked tra assicurazione sulla vita e prodotti finanziari, in Nuova giur. civ., 2016, 1569 ss.); più precisamente, nelle polizze vita il rischio è assunto dall’assicuratore, “il cui margine di profitto è direttamente proporzionale alla frazione di tempo intercorrente tra la stipula del contratto e l’evento della vita in esso dedotto”, nei prodotti finanziari, invece, “l’assicurato/investitore si accolla il rischio di investimento relativo alla somma versata a titolo di premio”, nel senso che il rendimento dell’operazione di investimento dipende non dal fattore tempo ma “dalle dinamiche dei mercati mobiliari, dal rendimento del titolo e dalla solvibilità dell’emittente” (A. Albanese, Le polizze Linked tra assicurazione sulla vita e prodotti finanziari, cit. Per la distinzione v. Trib. Treviso, Sez. I, 27 ottobre 2017; trib. Treviso, Sez. II, 20 ottobre 2017; App. bologna, Sez. III, 28 luglio 2016).
Ove la polizza vita sia finalizzata non solo all’accumulo di capitale per ragioni previdenziali, ma anche al diverso fine di creare utili, imputando in capo all’assicurato il rischio di perdita del capitale, deve ritenersi che, anche in contrasto con il nomen iuris dato dalle parti, il contratto così concluso non abbia natura assicurativa ma finanziaria, con le dovute conseguenze sul piano disciplinare; infatti, posta la natura finanziaria del contratto, ne discende l’applicabilità della normativa dettata in materia di intermediazione finanziaria e, quindi: la forma del contratto deve essere scritta ai sensi dell’art. 23 del t.u.f., con l’effetto di legittimare il cliente all’accertamento della nullità del contratto e alla ripetizione dei premi versati in quanto indebiti ex art. 2033 c.c., ove il requisito formale non risulti rispettato; l’emittente, l’intermediario ed il promotore devono non solo rispettare il generale canone di buona fede di cui all’art. 1337 c.c. nella fase di formazione del contratto, ma devono altresì rispettare le specifiche regole di condotta imposte dal t.u.f.; le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario possono essere sequestrate o pignorate, dal momento che risulta inapplicabile l’art. 1923 c.c.
La prevalenza della finalità finanziaria è stata accertata, nel caso di specie, dal giudice di merito in ragione della mancata garanzia di restituzione dei premi versati dall’assicurato.
A tal proposito la Suprema Corte ha, quindi, ricordato che “il giudice di merito, al fine di stabilire se l’impresa emittente, l’intermediario ed il promotore abbiano violato le regole di leale comportamento previste dalla specifica normativa, deve interpretare il contratto, e tale interpretazione non è censurabile in sede di legittimità se immune da vizio di motivazione, al fine di stabilire se esso, al di là del “nomen iuris” attribuitogli, sia da identificare come polizza assicurativa sulla vita (in cui il rischio avente ad oggetto un evento dell’assicurato è assunto dall’assicuratore) oppure si concreti nell’investimento in uno strumento finanziario (in cui il rischio di “performance” sia per intero addossato all’assicurato)”.

Rosalia Calandrino