Il presupposto della responsabilità del preponente per il fatto del promotore finanziario è rappresentato dal rapporto di necessaria occasionalità tra incombenze affidate e fatto del promotore
In tema di intermediazione finanziaria, la società preponente risponde in solido del danno causato al risparmiatore dai promotori finanziari da essa indicati in tutti i casi in cui sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il danno e l'esecuzione delle incombenze affidate al promotore. Questa responsabilità solidale non viene meno per il fatto che il preposto, abusando dei suoi poteri, abbia agito per finalità estranee a quelle del preponente, ma deve essere esclusa quando la condotta del danneggiato presenti connotati di anomalia, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle stesse, l'esperienza acquisita nell'investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche.
La Suprema Corte conferma un indirizzo consolidato in giurisprudenza in materia di responsabilità solidale tra l’intermediario ed il promotore finanziario per i pregiudizi da quest’ultimo arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze allo stesso affidate.
Il principio sul quale si fonda tale assunto di responsabilità è quello che giustifica la previsione di cui all’art. 2049 c.c., ossia “cuius commoda eius et incommoda”: deve rispondere dei pregiudizi arrecati dal dipendente colui che trae vantaggio dal rapporto con il preposto.
Vale, pertanto, il richiamo alla responsabilità dei padroni o committenti, la cui disciplina fa proprio un criterio di allocazione dei rischi, in base al quale i danni determinati dai dipendenti sono posti a carico dell’impresa come componente dei costi di questa (Cass. Civ., Sez. III, 20 giugno 2001, n. 8381; Trib. Palermo Sez. III, 9 aprile 2011).
Il canone di responsabilità in esame “postula l’esistenza di un nesso di “occasionalità necessaria” tra l’illecito e il rapporto di lavoro che vincola i due soggetti, nel senso che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo” (Cass. Civ., Sez. lavoro, 25 marzo 2013, n. 7403).
Il nesso di occasionalità necessario, come affermato in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità, risulta reciso nel caso in cui la condotta del preposto si caratterizzi per connotati di “anomalia” e più precisamente: “In tema di contratti di intermediazione finanziaria, al fine di escludere la responsabilità solidale dell’intermediario per gli eventuali danni arrecati ai terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari, non è sufficiente la mera consapevolezza da parte dell’investitore della violazione da parte del promotore delle regole di comportamento poste a tutela dei risparmiatori, ma occorre che i rapporti tra promotore ed investitore presentino connotati di anomalia, se non addirittura di connivenza o di collusione in funzione elusiva della disciplina legale. Incombe all’investitore l’onere di provare l’illiceità della condotta del promotore, mentre spetta all’intermediario quello di provare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall’investitore” (Cass. civ. Sez. III, 31 luglio 2017, n. 18928).
Rosalia Calandrino