L’amministratore di società non ha diritto ex lege al compenso
L'amministratore di una società, con l'accettazione della carica, acquisisce il diritto ad essere compensato per l'attività svolta in esecuzione dell'incarico affidatogli. Tale diritto, peraltro, è disponibile, e può anche essere derogato da una clausola dello statuto della società, che condizioni lo stesso al conseguimento di utili, ovvero sancisca la gratuità dell'incarico (cfr. Cass. n. 15382/2017; Cass. n. 243/1976). In ogni caso, non potrebbe riconoscersi all'amministratore un diritto ex lege al compenso, atteso che questi, quale organo cui sono affidati poteri di gestione della società, è ad essa legato da un rapporto di tipo societario che si caratterizza essenzialmente per l'immedesimazione organica, così da escludere la sussistenza (anche) di un rapporto contrattuale: rapporto che, ove per ipotesi ricostruibile come di prestazione d'opera in regime di cd. parasubordinazione ex art. 409 n. 3 cod. proc. civ. (contra, peraltro, la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 1545 del 2017), non darebbe comunque luogo all'applicazione dell'art. 36 Cost., relativo al diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, la cui portata applicativa è limitata al lavoro subordinato; e che, ove ricostruibile, ancora per ipotesi, come di lavoro professionale autonomo, non attribuirebbe, anche in questo caso, un diritto al compenso, l'onerosità non costituendo requisito indispensabile dell'attività prestata in tale forma, rispetto alla quale, per comune opinione, è perfettamente configurabile la gratuità (cfr., in motivazione, Cass. n. 15382/2017; Cass. n. 2769/2014).