L’amministratore di società non ha diritto ex lege al compenso

Cass. Civ., Sez. I, sentenza 4 giugno 2018, n. 14239

L'amministratore di una società, con l'accettazione della carica, acquisisce il diritto ad essere compensato per l'attività svolta in esecuzione dell'incarico affidatogli. Tale diritto, peraltro, è disponibile, e può anche essere derogato da una clausola dello statuto della società, che condizioni lo stesso al conseguimento di utili, ovvero sancisca la gratuità dell'incarico (cfr. Cass. n. 15382/2017; Cass. n. 243/1976). In ogni caso, non potrebbe riconoscersi all'amministratore un diritto ex lege al compenso, atteso che questi, quale organo cui sono affidati poteri di gestione della società, è ad essa legato da un rapporto di tipo societario che si caratterizza essenzialmente per l'immedesimazione organica, così da escludere la sussistenza (anche) di un rapporto contrattuale: rapporto che, ove per ipotesi ricostruibile come di prestazione d'opera in regime di cd. parasubordinazione ex art. 409 n. 3 cod. proc. civ. (contra, peraltro, la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 1545 del 2017), non darebbe comunque luogo all'applicazione dell'art. 36 Cost., relativo al diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, la cui portata applicativa è limitata al lavoro subordinato; e che, ove ricostruibile, ancora per ipotesi, come di lavoro professionale autonomo, non attribuirebbe, anche in questo caso, un diritto al compenso, l'onerosità non costituendo requisito indispensabile dell'attività prestata in tale forma, rispetto alla quale, per comune opinione, è perfettamente configurabile la gratuità (cfr., in motivazione, Cass. n. 15382/2017; Cass. n. 2769/2014).

L’azione revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 31 maggio 2018, n. 14001

In tema di azione revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario dell'imprenditore poi fallito, la banca che eccepisce la natura non solutoria della rimessa, per l'esistenza alla data della stessa di un contratto di apertura di credito, non può fondare la relativa prova sulle sole risultanze dell'estratto del libro fidi, il quale, al più, attesta l'esistenza della delibera della banca alla concessione di un finanziamento; né tale conclusione viola l'art. 2710 c. c. - il quale dispone che i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa - presupponendo l'applicazione della norma in parola che le risultanze delle quali la parte intende avvalersi siano contenute in uno dei libri contabili obbligatori (conf. Cass. n. 19751/2017, n. 13445/2011); parimenti, in difetto di tale prova, il predetto versamento conserva in linea generale la natura solutoria, ed è revocabile ai sensi dell'art.67 legge fall., avendo valore estintivo del credito della banca, ancorché da essa non richiesto e meramente accettato, come ogni rimessa a fronte di conti privi di affidamento o in quel momento scoperti (conf. Cass. n. 23393/2007).

Azione revocatoria e subentro del curatore fallimentare

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 28 maggio 2018, n. 13306

Qualora sia stata proposta un'azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e, in pendenza del relativo giudizio, a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore, il curatore subentri nell'azione in forza della legittimazione accordatagli dall'art. 66 legge fallimentare, accettando la causa nello stato in cui si trova, la legittimazione e l'interesse ad agire dell'attore originario vengono meno, onde la domanda da lui individualmente proposta diviene improcedibile ed egli non ha altro titolo per partecipare ulteriormente al giudizio (Cass., Sez. Un., n. 29420/2008, Cass. n. 12513/2009); e la sua connotazione, sotto il profilo dei requisiti sostanziali, è che sebbene l'azione ex art. 66 l.fall. sia pur sempre la medesima prevista dall'art. 2901 c.c., la stessa presenta talune peculiarità che la differenziano da quest'ultima - giova a tutti i creditori, e non solo a colui che agisce, con effetto sostanzialmente recuperatorio (Cass., Sez. Un., n. 10233/2017); tant'è che l'accettazione della causa nello stato in cui si trova importa che l'esercizio di tale facoltà non è soggetto ai limiti entro i quali le parti possono formulare nuove domande o eccezioni nel processo di primo grado, né, ove la lite già penda in appello, al termine previsto per la proposizione del gravame incidentale o alle preclusioni di cui all'art. 345, comma 1, c.p.c., poiché, al contrario, è sufficiente che egli si costituisca in giudizio, anche in appello, dichiarando di voler far propria la domanda proposta ex art. 2901 c.c., per investire il giudice del dovere di pronunciare sulla stessa nei confronti dell'intera massa dei creditori (Cass. n. 614/2016).

Opposizione allo stato passivo

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 23 maggio 2018, n. 12850

In tema di opposizione allo stato passivo il collegio può utilizzare, ai fini della decisione, i risultati dell' indagine, estimativa o contabile, fatta espletare dal giudice delegato nell'ambito della procedura concorsuale per verificare la fondatezza e la consistenza delle ragioni della procedura; infatti un tale accertamento, avendo natura di perizia stragiudiziale di parte, può offrire elementi di convincimento o di decisione a condizione che l' organo giudicante ne fornisca adeguata giustificazione.

Amministrazione straordinaria delle grandi imprese: costituzione in mora

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 16 maggio 2018, n. 11966

Nel caso di impresa sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, l'atto di costituzione in mora proveniente dal creditore è parimenti inefficace, sia se compiuto direttamente nei confronti dell'impresa già ammessa alla procedura, perché essa non può più eseguire pagamenti, ai sensi dell'art. 49 del d.lgs. n. 270 del 1999 - che richiama l'art. 44 I.fall. -, sia se indirizzato al suo commissario straordinario, il quale non ha la libera disponibilità dei diritti e degli obblighi dell'impresa in procedura, determinando l'interruzione della prescrizione del credito soltanto la presentazione della domanda di insinuazione nello stato passivo.

Lo stato di insolvenza nella dichiarazione di fallimento

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 4 maggio 2018, n. 10795

Lo stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell'imprenditore non è escluso dalla circostanza che l'attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. In particolare, il significato oggettivo dell'insolvenza, che è quello rilevante agli effetti dell'art. 5 legge fall., deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all'esercizio di attività economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell'esperienza economica, nell'incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l'estinzione dei debiti), nonché nell'impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio. Il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta" (conf. Cass., Sez. I, n. 7252/14; cfr. Cass., Sez. VI-1, n. 23437/17).

Fallimento in estensione per srl socia di società di persone irregolare

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 18 aprile 2018, n. 9572

In presenza di una società di persone irregolare insolvente, della quale uno o più soci illimitatamente responsabili siano costituiti da s.r.I., il fallimento in estensione di queste ultime è una conseguenza prevista ex lege dall'art. 147 I. fa/I., senza che sia necessario accertarne la specifica situazione di insolvenza, e ciò anche nel caso in cui la partecipazione alla società di fatto sia stata assunta in assenza di previa deliberazione da parte dell'assemblea, dal momento che la disposizione di cui al comma 2 dell'art. 2361 c.c. è dettata in via esclusiva per le s.p.a. (conf. Cass. 13 giugno 2016, n. 12120, in conformità a Cass 21 gennaio 2016, n. 1095).

La responsabilità degli amministratori di società non esecutivi

Cass. Civ., Sez. II, sentenza 18 aprile 2018, n. 9546

Gli amministratori non esecutivi sono perseguibili ove ricorrano i seguenti presupposti: la condotta d'inerzia; il fatto pregiudizievole antidoveroso; il nesso causale tra i medesimi; la colpa, consistente nel non aver rilevato colposamente i segnali dell'altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica (anche indipendentemente dalle informazioni doverose ex art. 2381 c.c.), e nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare l'evento. Sotto il profilo probatorio, ciò comporta che spetta al soggetto il quale afferma la responsabilità allegare e provare, a fronte dell'inerzia dei consiglieri non delegati, l'esistenza di segnali d'allarme (anche impliciti nelle anomale condotte gestorie) che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo (con la richiesta di convocazione del consiglio di amministrazione rivolta al presidente, il sollecito alla revoca della deliberazione illegittima od all'avocazione dei poteri, l'invio di richieste per iscritto all'organo delegato di desistere dall'attività dannosa, l'impugnazione delle deliberazione ex art. 2391 c.c., la segnalazione al p.m. o all'autorità di vigilanza, e così via); assolto tale onere, è, per contro, onere degli amministratori provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna, che abbia reso non percepibili quei segnali o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno (conf. Cass., Sez. I, 9 novembre 2015, n. 22848)