In caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro con esito mortale, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale), sicché, mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro, che tenga conto della "enormità" del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte (cfr. Cass. n. 23183/2014, n. 15491/2014).
Si tratta di danni che vanno tenuti distinti e liquidati con criteri diversi.
Per il danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella
del decesso) la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea e deve essere
effettuata in relazione alla menomazione dell’integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso; tale danno, qualificabile come
danno "biologico terminale", dà luogo ad una pretesa risarcitoria, trasmissibile "iure hereditatis" da commisurare soltanto all'inabilità
temporanea, adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è
massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte.
Invece il danno catastrofale - che integra un danno non patrimoniale di natura del tutto peculiare consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita - comporta la necessità di una liquidazione che si affidi a un criterio equitativo denominato “puro” − ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso – che sappia tener conto della sofferenza interiore psichica di massimo livello, correlata alla consapevolezza dell'approssimarsi della fine della vita, la quale deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità adeguati alla sua particolare rilevanza ed entità, e all’enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza (vedi, tra le altre, Cass. n. 23183/2014).
Ai fini della sussistenza del danno catastrofale, la durata di tale consapevolezza non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità,
ma per la sua quantificazione secondo i suindicati criteri di proporzionalità e di equità (in termini: Cass. n. 16592/2019; v. pure
Cass. n. 23153/2019, n. 21837/2019).
Per ottenere uniformità di trattamento a livello nazionale, per questa ultima voce di danno si reputa comunemente necessario fare
riferimento al criterio di liquidazione adottato dal Tribunale di Milano, per l'ampia diffusione sul territorio, appunto, nazionale e per il
riconoscimento attribuito dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua, in linea generale e in applicazione dell'art. 3 Cost., del
parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico a norma degli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non
sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono (cfr. Cass. n. 12408/2011, n. 27562/2017; v. anche Cass. n.
9950/2017).