Entrano nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, istituita dall'art. 7
legge n. 205/00 e ribadita dall'art. 133, lett. g) del d.lgs. n. 104 del
2010, le occupazioni illegittime preordinate all'espropriazione attuate
in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale
in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza
con le norme che lo regolano e tutte quelle in cui l'esercizio del potere
si è manifestato con l'adozione della dichiarazione di p.u., pur se poi
l'ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione nonché la
sua irreversibile trasformazione sono avvenute senza alcun titolo che
le consentiva, ovvero malgrado detto titolo sia stato annullato dalla
stessa autorità amministrativa che lo aveva emesso oppure dal
giudice amministrativo (Cass. nn. 27994/13, 16093/09, 26798/08,
14794/07, 7256/07, 509/11, 1787/10, 14954/07, 3724/07,
2689/07). Appartiene, invece, alla giurisdizione ordinaria la
cognizione dei "comportamenti" posti in essere in carenza di potere,
ovvero "in via di mero fatto", a seguito della sentenza n. 191/06 della
Corte costituzionale. Quest'ultima ha dichiarato illegittimo l'art. 53,
primo comma, del decreto legislativo n. 325 del 2001, trasfuso
nell'art. 53, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica
n. 327 del 2001, nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai
"comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad
esse equiparati", conseguenti all'applicazione delle disposizioni del
testo unico delle espropriazioni, segnatamente allorché detti
comportamenti riguardino progetti la cui dichiarazione di pubblica
utilità, indifferibilità e urgenza sia intervenuta prima dell'entrata in
vigore del d.P.R. n. 327 del 2001, non esclude i comportamenti non
riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico
potere. Infatti, ha affermato il giudice delle leggi, l'attribuzione alla
giurisdizione del giudice amministrativo della tutela risarcitoria si
fonda sull'esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli
artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice
l'intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della
funzione pubblica, ma non si giustifica quando la pubblica
amministrazione non abbia in concreto esercitato, nemmeno
mediatamente, il potere che la legge le attribuisce per la cura
dell'interesse pubblico. In particolare, nell'ipotesi del c.d.
sconfinamento, che ricorre allorché l'opera di pubblica utilità sia stata
realizzata in un terreno diverso o più esteso rispetto a quello
considerato dai presupposti provvedimenti amministrativi di
approvazione del progetto, la dichiarazione di pubblica utilità pur
emessa, è riferibile ad aree diverse da quelle di fatto trasformate, e la
occupazione e/o trasformazione del terreno non può che ritenersi di
mero fatto o in carenza assoluta di poteri autoritativi della P.A.,
configurando un comportamento illecito (comune) a carattere
permanente, lesivo del diritto soggettivo (c.d. occupazione
usurpativa) e non diverso da quello di un privato che leda diritti dei
terzi. Al quale conseguentemente l'interessato può reagire davanti al
giudice ordinario, sia invocando la tutela restitutoria sia, attraverso
un'abdicazione implicita al diritto dominicale, optando per il
risarcimento del danno ex artt. 2043 e 2058 c.c. (Cass. sez. un. nn.
7442/08, 3723/07 e 27192/06). Inoltre, deve rilevarsi che, come
osservato da Cass. S.U. n. 27994/13, su tale sistema di riparto non
incide l'art. 42-bis T.U. n. 327/01, sulla c.d. acquisizione sanante,
trattandosi di norma che disciplina l'esercizio del potere ablativo ma
che non per questo incide sul riparto di giurisdizione.