29 Novembre 2022

Danni da morte del feto – Perdita di chance e non lesione del rapporto parentale

Tribunale di Termini Imerese, sentenza 21 novembre 2022, n. 966 (g. A. Quintavalle)
Occorre distinguere tra danni non patrimoniali derivanti dalla perdita di un figlio rispetto a quelli derivanti dalla morte del feto. Mentre nel primo caso il risarcimento dei danni è in funzione della avvenuta lesione di un interesse conservativo del soggetto e cioè la lesione dell’interesse a conservare il rapporto affettivo già esistente e in essere con un soggetto in vita, le considerazioni sono diverse nell’ipotesi della morte intrauterina del feto. In tal caso, proprio perché non vi è stato ancora l’evento nascita, il rapporto parentale non può dirsi ancora esistente ed in essere. Allora il risarcimento dei danni derivanti dall’evento morte è funzionale a ristorare un interesse pretensivo e cioè l’interesse che la parte aveva proprio all’ instaurazione del rapporto parentale e che invece non si è potuto realizzare per via della morte del feto. La conseguenza di tale ricostruzione è che i danni di cui si chiede il ristoro sono declinabili nell’ottica del danno da perdita di chance. La chance costituisce, infatti, la probabilità di conseguire un vantaggio e la stessa risulta lesa nel momento in cui la probabilità di conseguire tale vantaggio viene meno. Nel caso di specie, ad essere stata lesa è proprio la possibilità di instaurare un rapporto parentale con il nascituro.

Le considerazioni sopra esposte appaiono armonizzarsi con quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui: “per il figlio nato morto è ipotizzabile soltanto il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore-figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita)” (Cass. n. 12717/2015).
Di conseguenza l’intensità della relazione affettiva con la persona perduta, in caso di feto nato morto, è da considerarsi più modesta data la “non nascita” dell’individuo, seppur formatosi nel grembo materno, non potendo quindi essere equiparata a quella di un figlio nato vivo (in merito si precisa, secondo una giurisprudenza che si ritiene di condividere che: “Per nascita, e venuta in vita di un nuovo essere, in senso giuridico è stato considerato in giurisprudenza il verificarsi del distacco del feto dal corpo materno con la respirazione spontanea e l’emissione del primo vagito; talché il neonato è pertanto il soggetto nato vivo, con la conseguenza che, qualora si verificasse il suo decesso anche dopo pochi istanti dalla nascita, tale evento andrebbe inquadrato quale “morte del neonato”. Il concepito che, invece, estratto dal grembo materno non respiri, si considera nato morto, ancorché qualificabile come feto; si registra, quindi, una distinzione tra la morte del neonato, alla quale si riconduce la perdita di un rapporto parentale effettivo, e la morte del feto, alla quale si riconduce solo la perdita di una “aspettativa” di rapporto parentale, con ciò manifestando l’interpretazione che il figlio morto prima della propria nascita non sia evento concretizzante un danno importante nella vita dei futuri genitori” (Tribunale di Roma sentenza n. 17709/2021).

In ordine al “quantum” del danno risarcibile, posta la oggettiva difficoltà per i danneggiati di fornire la prova rigorosa dell’entità del danno non patrimoniale subito (si ripete da lesione di un rapporto parentale solo potenziale) in considerazione della natura immateriale dei beni giuridici lesi, occorre procedere alla liquidazione dello stesso in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. richiamato dall’art. 2056 c.c. Poiché per le ragioni sopra evidenziate, per il figlio nato morto è ipotizzabile il venir meno di una relazione affettiva soltanto potenziale, in linea di principio non può parametrarsi il risarcimento all’interno della forbice di riferimento prevista dalle tabelle milanesi, salvo che non sussistano circostanze in concreto idonee a giustificare l’applicazione “tout court” dei valori tabellari previsti per la perdita del rapporto parentale (Cass. n. 12717/2015).
Ove, dunque, non ravvisata la possibilità di una applicazione integrale dei parametri ricompresi nella forbice prevista dalle tabelle, ai fini della valutazione equitativa appare criterio logico e razionale partire dal valore più basso della forbice e procedere ad una riduzione in misura percentuale dello stesso in funzione delle circostanze valorizzabili nel caso concreto.