04 Luglio 2016

Contratto di assicurazione sulla responsabilità civile – Clausola claims made – Vessatorietà – Esclusa – Giudizio di meritevolezza sull’accordo contrattuale

Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola claims made mista o impura) non è vessatoria; essa in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un eccessivo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata.

Le Sezioni Unite risolvono il contrasto di giurisprudenziale in tema di vessatorietà della clausola claims made, escludendola definitivamente. Ne deriva l’irrilevanza della mancata sottoscrizione specifica della suddetta clausola ai fini della validità della stessa. L’assunto si fonda sulla circostanza che la clausola in questione va qualificata come limitativa dell’oggetto del contratto e non della responsabilità. In particolare, siffatta clausola negoziale, avendo il precipuo scopo di stabilire gli obblighi concretamente assunti dalle parti, riguarda solo il contenuto e i limiti della garanzia, senza limitare in alcun modo le conseguenze della colpa o dell’inadempimento ovvero senza escludere il rischio garantito. Superata la questione relativa alla vessatorietà della suddetta clausola, deve, tuttavia, affrontarsi il problema della meritevolezza della disciplina pattizia. In particolare, è rimessa al giudice del merito la valutazione in concreto della eventuale nullità della clausola claims made inserita nella singola polizza, valutazione che si risolve in un giudizio di stretto merito insidacabile in sede di legittimità. L’eventuale valutazione di immeritevolezza comporterà l’applicazione dello schema legale del contratto di assicurazione della responsabilità civile, con la formula loss occurence, di cui all’art. 1917 c.c. Le Sezioni Unite ritengono che possa facilmente arrivarsi ad un giudizio di meritevolezza con riferimento alle clausole c.d. pure, le quali, non prevedendo limitazioni temporali alla loro retroattività, svalutano del tutto la rilevanza dell’epoca di commissione del fatto illecito. Diverso è il caso delle clausole c.d. impure, a partire da quella, particolarmente penalizzante, che limiti la copertura alla sola ipotesi che, durante il tempo dell’assicurazione, intervengano sia il sinistro che la richiesta di risarcimento. In tali ipotesi lo scrutinio di validità della clausola, sotto il profilo della meritevolezza di tutela della deroga al regime legale, dovrà essere finalizzato a verificare la compatibilità del regolamento di interessi in concreto realizzato dalle parti in sede pattizia con i principi generali dell’ordinamento, onde evitare significativi squilibri tra i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto. La verifica deve avere ad oggetto tutte le circostanze del caso concreto, tenendo conto di elementi quali la spiccata asimmetria delle parti ovvero la corrispettività fra l’entità del premio pagato e l’indennizzo assicurato. Un caso particolare si prospetta laddove la clausola in esame estenda la garanzia al rischio pregresso. Sul punto, la Corte sembra velatamente esprimere un giudizio di liceità in merito a siffatte clausole, laddove sia previsto un periodo di retrodatazione della garanzia pari, almeno, a due o tre anni antecedenti la stipula del contratto. Nel caso di specie, in cui la clausola contrattuale prevedeva una estensione della garanzia ai fatti dannosi avvenuti nel triennio precedente la stipula del contratto, la stessa è stata ritenuta meritevole dal giudice di secondo grado, “in ragione della condizione di favore per l’assicurato rappresentata dall’allargamento della garanzia ai fatti dannosi verificatisi prima della conclusione del contratto”. Alla luce di quanto sopra, dovranno valutarsi attentamente le condizioni di polizza e le singole clausole claims made, onde addivenire ad un giudizio di meritevolezza ed evitare censure di nullità da parte dei giudici di merito. A tal fine, gioverà senz’altro la previsione di una estensione della garanzia ai fatti illeciti anteriori alla stipula del contratto per un periodo non inferiore a due/tre anni. In mancanza, presumendo che possa incorrersi in un giudizio negativo in merito alla liceità della clausola, sarà opportuno valutare di definire in transazione le posizioni ove risulta accertata la responsabilità, tenendo conto anche di altri elementi, quali ad esempio l’entità del premio, ovvero la circostanza che la stipula del contratto si è perfezionata attraverso l’intermediazione di un broker, ecc. Infine, la Suprema Corte lancia un monito in relazione alla delicata questione della compatibilità della clausola claims made con l’introduzione, in taluni settori, dell’obbligo di assicurare la responsabilità civile connessa all’esercizio della propria attività professionale (si pensi ai medici o agli avvocati). Rileva in particolare che il giudizio di idoneità della polizza difficilmente potrà avere esito positivo in presenza di una clausola claims made, la quale, comunque articolata, espone il garantito a buchi di copertura. “È peraltro di palmare evidenza che qui non sono in gioco soltanto i rapporti tra società e assicurato, ma anche e soprattutto quelli tra professionista e terzo, essendo stato quel dovere previsto nel preminente interesse del danneggiato, esposto al pericolo che gli effetti della colpevole e dannosa attività della controparte restino, per incapienza del patrimonio della stessa, definitivamente a suo carico. E di tanto dovrà necessariamente tenersi conto al momento della stipula delle “convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti”, nonché in sede di redazione del decreto presidenziale chiamato a stabilire, per gli esercenti le professioni sanitarie, le procedure e i requisiti minimi e uniformi per l’idoneità dei relativi contratti.”

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 9140 del 6 maggio 2016 (pres. Rordorf – rel. Amendol