06 Febbraio 2017

Istituto di credito – Opposizione allo stato passivo – Onere della prova

“L’istituto di credito, il quale prospetti una sua ragione di credito verso il fallito derivante da un rapporto obbligatorio regolato in conto corrente e ne chieda l’ammissione allo stato passivo, ha l’onere, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, di dare piena prova del suo credito, assolvendo al relativo onere secondo il disposto della norma generale dell’art. 2697 c.c., attraverso la documentazione relativa allo svolgimento del conto, senza poter pretender di opporre al curatore, stante la sua posizione di terzo, gli effetti che, ex art. 1832 c.c., derivano, ma soltanto tra le parti del contratto, dall’approvazione anche tacita del conto da parte del correntista, poi fallito, e dalla di lui decadenza dalle impugnazioni.”

La mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore, che proponga istanza di ammissione al passivo fallimentare, si configura come fatto impeditivo all’accoglimento della domanda di insinuazione allo stato passivo ed oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche d’ufficio dal giudice. Nella fattispecie, l’estratto del conto corrente bancario, formato in epoca postfallimentare, non ha alcuna data certa opponibile al curatore. In tema di conto corrente bancario, l’estratto conto comunicato dalla banca al debitore principale e dal medesimo non impugnato nel termine di cui all’art. 1832 c.c., assume carattere di incontestabilità, sicché è idoneo ad esempio a fungere da mezzo di prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato nei confronti del fideiussore. Ma siffatta vincolatività non è ravvisabile, o almeno non in modo diretto, verso il curatore, in quanto terzo; semmai alla medesima conclusione potendosi pervenire soltanto nel concorrente riscontro di tutti gli altri elementi che rendano appunto la storia contabile di quel rapporto opponibile alla massa dei creditori, secondo il principio di limitata e formale efficacia preteso dall’art. 2704 c.c.. Nella vicenda, gli estratti conto non sono stati giudicati in grado di permettere la precisa ricostruzione dell’entità del credito della banca, adeguato a valutare se la domanda finale di ammissione al passivo, per il saldo evidenziato a chiusura del rapporto, riflettesse con esattezza e sin dall’origine le poste di dare e avere, tenuto conto delle invocate condizioni contrattuali. Ne deriva che la mancata prova della tempestiva comunicazione degli estratti conto al correntista e l’impossibilità di conferire piena corrispondenza delle lettere di accettazione delle condizioni contrattuali rispetto ai documenti, privi di data certa, con cui sarebbe nato il rapporto stesso, giustificano la mancata ammissione al passivo della pretesa, per come insinuata. Sul punto, la mancata sottoscrizione delle suddette lettere da parte della banca non era requisito da potersi ritenere superato in virtù della loro produzione in giudizio, trattandosi non di controversia tra banca e cliente, bensì del diverso accertamento della efficacia del credito verso la massa dei creditori, del tutto terza rispetto al dedotto rapporto.

Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 26 agosto 2016, n. 17354 (pres. Aniello – rel. Ferro