23 Novembre 2021

Resp. medica – Patologie pregresse – Causalità materiale e causalità giuridica – Liquidazione del danno differenziale

Cass. Civ., sez. III, sentenza 7 ottobre 2021, n. 27265 (rel. L. Rubino)
In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, ove si individui in un pregresso stato morboso del paziente/danneggiato (nella specie, la patologia tumorale in atto) e nell'intervento chirurgico correttamente eseguito per asportare la parte del corpo irrimediabilmente compromessa altrettanti antecedenti privi di interdipendenza funzionale con l'accertata condotta colposa del sanitario (consistente, nella specie, nell'asportazione dell'intero apparato riproduttivo), ma dotato di efficacia concausale nella determinazione dell'unica e complessiva situazione patologica riscontrata, allo stesso non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione del nesso di causalità tra detta condotta e l'evento dannoso, appartenendo ad una serie causale del tutto autonoma rispetto a quella in cui si inserisce il contegno del sanitario, bensì unicamente sul piano della determinazione equitativa del danno, potendosi così pervenire - sulla base di una valutazione da effettuarsi, in difetto di qualsiasi automatismo riduttivo, con ragionevole e prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto - solamente ad una delimitazione del "quantum" del risarcimento. Ciò allo scopo di ascrivere all'autore della condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale dovendo reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato e l'intervento chirurgico necessario, concordato e correttamente eseguito. In tal modo il danneggiante sarà chiamato a rispondere di tutto il danno provocato e soltanto di esso, ovvero, in presenza di concause, delle sole conseguenze dannose a lui ascrivibili sotto il profilo della causalità giuridica (v. (Cass. n. 15991 del 2011; Cass. n. 24204 del 2014; Cass. n. 27524 del 2017; Cass. n. 20829 del 2018Cass. n. 28986 del 2019; Cass. n. 17555 del 2020, Cass. n. 514 del 2020).
Quanto al criterio da utilizzare per calcolare l'ammontare del danno da risarcire in queste particolari situazioni in cui ad una patologia o una menomazione preesistente se ne aggiunge una determinata dall'illecito, che con essa concorre, vanno richiamati i principi recentemente affermati per la liquidazione del danno c.d. differenziale secondo i quali in tema di liquidazione del danno alla salute, l'apprezzamento delle menomazioni preesistenti "concorrenti" in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall'illecito va compiuto stimando, prima in punti percentuali, l'invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall'illecito, poi stimando quella preesistente all'illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro, e procedendo, infine, a sottrarre dal valore monetario dell'invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente: solo del differenziale tra questi due valori può essere ritenuto responsabile il danneggiante, avendo dato luogo solo a quel "segmento" di danno, e solo in relazione a tale "segmento", così individuato potrà il giudice legittimamente esercitare il suo potere-dovere di personalizzare il danno in relazione alle circostanze del caso concreto, prendendo a base di calcolo il parametro costituito dalla differenza tra i due valori (v. sul tema Cass. n. 28896 del 2019).

Nel caso di specie, la corte d’appello ha determinato, sulla scorta delle indicazioni del consulente tecnico, nel 30% l’invalidità permanente riportata dalla giovane donna all’esito dell’intervento chirurgico e ha riconosciuto che le fosse dovuto, a carico della ASL, un risarcimento per il danno biologico riportato rapportato al 30% di invalidità complessiva; quindi, in ragione delle circostanze del caso concreto, ed in particolare della perdita della capacità procreativa in una giovane donna, dei gravissimi postumi anche di natura psichica, della considerazione che “tale drammatica vicenda ha compromesso l’intera vita di una giovane donna, determinando un vero sconvolgimento della propria vita futura con un’indubbia ripercussione sui rapporti sentimentali, interpersonali, familiari e sociali”, le ha concesso la massima personalizzazione del danno consentita dalle tabelle applicate.

In questi ultimi due passaggi si concreta la denunciata violazione di legge, non avendo la corte d’appello provveduto a distinguere adeguatamente tra causalità materiale e causalità giuridica, e, all’interno della causalità giuridica, laddove ha addebitato alla Asl, nella liquidazione del danno alla salute, l’intero danno biologico conseguente alla perdita dell’integrale apparato riproduttivo da parte della D.S. senza considerare che, in ragione della malattia, parte di esso doveva necessariamente essere asportato, ed è stato correttamente asportato comunque, e che quindi il danno biologico effettivamente subito andava calcolato con la tecnica del danno differenziale, ponendo a carico della ASL solo l’evento della quale poteva essere ritenuta responsabile. A questo scopo sarebbe stato necessario individuare, dapprima sul piano medico legale, e quindi recepire, ove condivise, in motivazione, le conseguenze fisiopsichiche e le ricadute e le limitazioni sulla vita personale e sulle scelte procreative della paziente determinate dalla sua stessa patologia tumorale, che sarebbero comunque conseguite all’intervento chirurgico necessario per salvarle la vita e quindi valutare quanto quelle conseguenze si fossero radicalizzate o aggravate, sia sul piano fisico che delle sofferenze e delle alterazioni psichiche, con la non necessaria asportazione dell’utero e dell’intero apparato riproduttivo, per poi apprezzare e quantificare, sotto il profilo del risarcimento del danno per equivalente, le ricadute pregiudizievoli della sola parte non necessaria dell’intervento sulla vita della paziente.

Dunque, la corte d’appello, abbagliata dalla obiettiva drammaticità della situazione in cui è precipitata in giovane età la signora D.S., ha effettuato una quantificazione del danno rapportata alla invalidità complessiva successiva all’intervento chirurgico, senza minimamente considerare che dall’importo in tal modo determinato doveva essere sottratto il valore monetario corrispondente alla patologia originaria e alle conseguenze necessitate dell’intervento chirurgico volto alla sua rimozione, a detrimento delle possibilità riproduttive della paziente ma a salvaguardia delle sue aspettative di vita, in modo tale da determinare il differenziale risarcitorio, da personalizzare, spettante alla danneggiata.