05 Febbraio 2018

La divergenza tra ISC e TAEG non determina la nullità del contratto

Trib. Bologna, Sez. III, sentenza 9 gennaio 2018, n. 34
L’indicatore sintetico del costo non ha alcuna funzione o valore di “regola di validità” del contratto, poiché è un mero indicatore sintetico del costo complessivo del contratto e non incide sul contenuto della prestazione a carico del cliente ovvero sulla determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale, definita dalla pattuizione scritta di tutte le voci di costi negoziali. L’erronea indicazione dell’ISC, pertanto, non può condurre alla nullità del contratto

La decisione in esame affronta il problema delle conseguenze sanzionatorie discendenti dalla errata indicazione dell’ISC in un contratto di credito.
Il giudice adito esclude che possa applicarsi la sanzione della nullità ai sensi dell’art. 117 TUB, in quanto la nullità del contratto o delle singole clausole è prevista nei soli casi di non corretta indicazione del TAEG ma non anche nei casi di violazione dell’ISC, dal momento che il suddetto indicatore non assolve ad una funzione di “regola di validità”, non incidendo sul contenuto della prestazione a carico del cliente ovvero sulla determinazione o determinabilità dell’oggetto contrattuale.
La non corretta indicazione dell’ISC, pur non conducendo all’invalidazione del contratto, integra gli estremi della violazione della normativa in tema di trasparenza, generando un’ipotesi di responsabilità precontrattuale.
Tale esito interpretativo risulterebbe confermato dalla prassi della Banca d’Italia, la quale, in due circolari (del 2003 e del 2009), regola l’ISC nelle Sezioni dedicate alla “pubblicità e informazione contrattuale”, e non in quella disciplinante i “requisiti di forma e di contenuto minimo dei contratti”, a riprova della irrilevanza contenutistica dell’indicatore in esame.
Altre pronunce di merito confermano l’indirizzo di cui sopra, così argomentando: “l’ipotetica erronea indicazione del TAEG/ISC non comporta la nullità della clausola né ai sensi dell’art. 1346 c.c. né ai sensi dell’art. 117 TUB, esulando la fattispecie concreta dalle ipotesi tassative previste dalle suddette disposizioni normative. […]. L’indicatore sintetico di costo non è infatti un ulteriore tasso o costo dell’operazione ma rappresenta un dato sintetico che riassume i costi pattuiti. L’erronea indicazione di tale dato non incide sulla validità della pattuizione dei singoli costi che lo compongono ove naturalmente tali costi siano stati validamente convenuti” (Trib. Monza, 13 dicembre 2016).
L’indicatore non comporta costi ulteriori per il cliente, svolgendo unicamente una funzione informativa, consistente nel consentire al cliente di rappresentarsi in modo aderente alla realtà il costo totale dell’operazione di credito. In tali termini, si comprende agevolmente la sua irrilevanza ai fini della valida conclusione del contratto.
La soluzione adottata dal Tribunale di Bologna fa proprio un punto di vista nuovo rispetto all’orientamento generalmente seguito dalla giurisprudenza, la quale, in passato, ancorché ricorrendo ad argomentazioni diverse, ha affermato la nullità del contratto in caso di difformità tra l’ISC e il TAEG effettivamente applicato. In particolare, da un lato si sosteneva la nullità del contratto per violazione dell’art. 117, comma 8, TUB, in quanto l’operazione contrattuale posta in essere dalle parti risultava priva del contenuto tipico determinato dalla Banca d’Italia (Trib. Napoli, 25 maggio 2015, n. 7779); dall’altro, invece, si giustificava l’invalidità contrattuale per violazione del comma 6 dell’art. 117 TUB, in forza del quale sono nulle le clausole che prevedono per i clienti condizioni economiche più sfavorevoli di quelle pubblicizzate (Trib. Chieti, 23 aprile 2015, n. 230).