10 Luglio 2017

L’esperimento tardivo della mediazione non è causa di improcedibilità

“Il mancato rispetto del termine di quindici giorni per l’espletamento della mediazione non rende improcedibile il giudizio, ove la mediazione, ancorché tardivamente, sia stata comunque tentata. La natura non dichiaratamente perentoria del termine impedisce di escludere la procedibilità del giudizio in caso di esperimento tardivo del tentativo di mediazione”.

La Corte d’Appello di Milano decide sull’impugnazione proposta avverso la decisione di primo grado di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, affrontando l’interessante questione della procedibilità della domanda giudiziale nel caso in cui l’obbligatorio esperimento del tentativo di mediazione sia avvenuto tardivamente.
Nel caso di specie era stata dichiarata l’improcedibilità dell’opposizione a causa del mancato rispetto del termine di quindici giorni fissato per l’instaurazione del procedimento di mediazione, con la conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto.
L’interrogativo al quale la Corte d’Appello risponde con la pronuncia in commento è se il deposito tardivo della domanda di mediazione possa essere equiparato al mancato deposito della relativa istanza, determinando, quindi, l’improcedibilità della domanda.
La corte esclude l’improcedibilità della domanda in considerazione della seguente valutazione: il termine quindicinale previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 28/2010 non ha natura perentoria e, pertanto, la proposizione tardiva dell’istanza per l’avvio della procedura di mediazione non può comportare, alla stregua della mancata proposizione dell’istanza, l’improcedibilità della domanda (nel medesimo senso si veda Trib. Milano, ordinanza 27 settembre 2016).
Quando il tentativo di mediazione è stato comunque esperito, seppure con ritardo rispetto al termine (ordinatorio) assegnato, la condizione di procedibilità dell’azione giudiziale deve considerarsi avverata, dal momento che nessuna norma di legge attribuisce allo spirare del termine un effetto preclusivo dell’attività di mediazione.
Ne discende che, “la mancata osservanza di un termine finalizzato a regolare un procedimento alternativo a quello giurisdizionale, non potrebbe certamente avere effetti processuali regolati da norme riferibili solo al procedimento ordinario e, tanto meno, essere interpretata alla stregua di un mancato avveramento di una condizione di procedibilità dell’azione, con definitiva compressione del diritto d’azione costituzionalmente protetto”.
Interpretare diversamente la previsione normativa regolante la mediazione, infatti, rischierebbe di snaturare l’istituto in esame che è volto ad agevolare soluzioni delle controversie alternative alla giurisdizione, senza compromettere in modo eccessivo il diritto di agire. Frapporre ulteriori ostacoli temporali o decadenze processuali incompatibili con il principio del giusto processo e con il diritto di libero accesso alla giustizia, di matrice costituzionale e convenzionale (art. 24 Cost. e art. 6 Convenzione dei diritti dell’uomo), impedirebbe il pieno esercizio del diritto di agire in giudizio.
Alla luce di tale osservazione, pertanto, la natura non perentoria del termine previsto per lo svolgimento del tentativo obbligatorio di mediazione esclude l’improcedibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo.
La soluzione adottata dal Giudice d’Appello nella fattispecie esaminata non rappresenta, però, indirizzo unitario; infatti, non mancano pronunce contrarie, in forza delle quali il termine de quo è considerato implicitamente perentorio e, pertanto, la proposizione tardiva dell’istanza di mediazione è stata ritenuta causa di improcedibilità dell’azione (Trib. Firenze, sez. III, sentenza 4 giugno 2015).
è interessante notare come, secondo i fautori dell’indirizzo che nega la procedibilità della domanda in caso di mediazione tardiva, non sia possibile qualificare il termine per la proposizione dell’istanza di mediazione ordinatorio, pur in mancanza di espressa qualificazione dello stesso come perentorio.
Il carattere della perentorietà, afferma il Tribunale di Firenze, può desumersi anche in via interpretativa, ogni volta che, in ragione dello scopo perseguito e della funzione che svolge, lo stesso debba essere rigorosamente osservato (Cass. n. 4530/04).
La stessa gravità della sanzione della improcedibilità della domanda giudiziale giustificherebbe la natura perentoria del termine de quo, dal momento che apparirebbe alquanto strano “che il legislatore, da un lato, abbia previsto la sanzione dell’improcedibilità per mancato esperimento della mediazione, prevedendo altresì che la stessa debba essere attivata entro il termine di 15 giorni e, dall’altro, abbia voluto negare ogni rilevanza al mancato rispetto del suddetto termine”.
Inoltre, il meccanismo di sanatoria previsto dall’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010, in forza del quale in caso di mancata attivazione della mediazione nei casi in cui ne è prevista l’obbligatorietà il giudice assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della relativa istanza. Tale meccanismo di sanatoria – osserva sempre il Tribunale di Firenze – non può trovare applicazione in via analogica in caso di tardiva proposizione della mediazione disposta dal giudice e ciò in ragione della natura speciale della relativa disciplina nonché dell’espressa previsione della sanzione di improcedibilità prevista in caso di inottemperanza; pertanto “non appare ragionevole ammettere che, in caso di mancato esperimento e/o esperimento tardivo della mediazione disposta dal giudice, sia consentito alle medesime di sanare la propria inerzia mediante la concessione di nuovo apposito termine” (Trib. Firenze, sez. III, sentenza 4 giugno 2015).
Lo scenario giurisprudenziale, pertanto, non è affatto unitario in tema di conseguenze discendenti dalla tardiva proposizione dell’istanza di mediazione.

App. Milano, Sez. I, sentenza 27 maggio 2017