Danni da nascita indesiderata – Errata diagnosi prenatale – Distribuzione dell’onere della prova
“In caso di danni da nascita indesiderata, il primo bersaglio dell’inadempimento del medico è il diritto dei genitori di essere informati, al fine, indipendentemente dall’eventuale maturazione delle condizioni che abilitano la donna a chiedere l’interruzione della gravidanza, di prepararsi psicologicamente e, se del caso, anche materialmente, all’arrivo di un figlio menomato.”
Spetta alla donna che chiede di essere risarcita per i danni derivati da errata diagnosi prenatale la prova dei fatti costitutivi della pretesa azionata, e, segnatamente, che l’informazione omessa avrebbe provocato un processo patologico tale da determinare un grave pericolo per la sua salute e, in stretta connessione, che, nella situazione ipotetica data, ella avrebbe effettivamente optato per l’interruzione della gravidanza._x000d_
Sul punto, a fronte della allegazione della donna che, se informata, si sarebbe avvalsa del diritto di interrompere la gravidanza, la giurisprudenza ritiene che sorga una presunzione iuris tantum di sussistenza delle condizioni che che avrebbero legittimato l’interruzione. Spetta, tuttavia, a parte attrice integrare il contenuto di quella presunzione con elementi ulteriori da sottoporre all’esame del decidente per la valutazione finale circa la corrispondenza della presunzione stessa all’asserto illustrato in citazione._x000d_
In tale contesto, la richiesta di accertamento diagnostico e anche di più accertamenti diagnostici, ove non espressamente funzionalizzati alla verifica di eventuali anomalie del feto, è un indice niente affatto univoco della volontà di avvalersi della facoltà di sopprimerlo, ove anomalie dovessero emergere, essendo innumerevoli le ragioni che possono spingere la donna ad esigerli e il medico a prescriverli, a partire dalla elementare volontà di gestire al meglio la gravidanza, pilotandola verso un parto che, per le condizioni, i tempi e il tipo, sia il più consono alla nascita di quel figlio, quand’anche malformato._x000d_
Resta, peraltro, fermo che la verifica dell’esistenza o meno, all’epoca dell’assunto diritto all’interruzione della gravidanza, del grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, va condotto un giudizio ex ante, di talché ciò che si è effettivamente verificato successivamente può avere solo valore indiziario o corroborativo, ma non decisivo._x000d_
Nel caso di specie, i giudici di secondo grado avevano erroneamente ritenuto insussistenti gli elementi che avrebbero consentito di ipotizzare, seppure in termini di mera probabilità, l’insorgere di un processo patologico consistente in un grave pericolo per la salute mentale della gestante, sulla base della asciutta considerazione dello stato della madre prima e dopo la gravidanza, senza alcuna considerazione di altri elementi decisivi, a partire dalla gravità delle patologie del nascituro. In particolare, non potevano ritenersi assenti elementi indicativi della concreta volontà di abortire della donna per il fatto che la donna aveva rifiutato di sottoporsi ad amniocentesi, in quanto siffatto rifiuto è indice estremamente ambiguo, allorché venga espresso in un contesto diagnostico non allarmante, di talché la percezione del pericolo di danneggiare inutilmente il feto sano è ragionevolmente più forte del timore di mettere al mondo un bimbo gravemente malato.