Morte del patrigno – Lesione del rapporto parentale – Diritto alla costituzione di parte civile nel processo penale – Risarcimento danni morali – Affectio familiaris – Rilevanza
“La persona, non legata da rapporti di stretta parentela e non convivente con la vittima del reato di omicidio, è esclusa dal diritto al risarcimento del danni patrimoniali; tuttavia, qualora non faccia richiesta di tali danni, bensì di quelli morali, è necessario verificare, in diritto, se alla stessa, ancorché non congiunta e non convivente con la vittima, spetti il diritto al risarcimento a tale titolo o meglio se le si renda riconosciuta la possibilità di costituirsi parte civile nel procedimento penale. In particolare, nel caso di danno da reato, può riconoscersi al figlio non convivente con il patrigno il danno morale derivante dalla perdita dell’affectio familiaris”
In materia di titolarità del diritto alla costituzione di parte civile nel processo penale e di risarcibilità dei danni da quel diritto derivante, la giurisprudenza della Suprema Corte ha costantemente affermato che, in caso di uccisione di un familiare, ai congiunti superstiti spetta il risarcimento del danno patrimoniale e di quello morale (pretium doloris), essendovi reato. _x000d_
Spetta ai predetti “iure successionis” anche il risarcimento del danno biologico cd. terminale che spettava al morto, purché però il decesso sia intervenuto al termine di una agonia e non sia stato istantaneo o quasi, rilevando, in caso di lesioni seguite da morte dopo breve tempo, la consapevolezza della parte offesa che “si sta per morire”, quale sofferenza psichica risarcibile nel contesto del pregiudizio morale da reato, perché nel frangente vale l’intensità del dolore e della paura, anche se di breve durata (v. da ultimo Cass. Civ., sez. IV, 14/06/2011, n. 32137)._x000d_
Inoltre, quanto alla risarcibilità del danno sia patrimoniale che morale, l’elaborazione giurisprudenziale l’ha estesa anche ai conviventi della vittima in quanto, agli effetti della legitimatio ad causam del soggetto convivente di fatto della vittima dell’azione omicidiale di un terzo, viene in considerazione non già il rapporto interno tra i conviventi bensì l’aggressione che tale rapporto ha subito ad opera del terzo. _x000d_
Conseguentemente, mentre è giuridicamente irrilevante che il rapporto interno non sia disciplinato dalla legge, l’aggressione ad opera del terzo legittima il convivente a costituirsi parte civile, essendo questi leso nel proprio diritto di libertà, nascente direttamente dalla costituzione, alla continuazione del rapporto, diritto assoluto e tutelabile erga omnes, senza, perciò, interferenze da parte dei terzi._x000d_
Sulla scorta di tali principi la persona, non legata da rapporti di stretta parentela e non convivente con la vittima del reato di omicidio, è esclusa dal diritto al risarcimento del danni patrimoniali; tuttavia, qualora non faccia richiesta di tali danni, bensì di quelli morali, è necessario verificare, in diritto, se, ancorché non congiunto e non convivente con la vittima, alla stessa spetti il diritto al risarcimento a tale titolo o meglio se le si renda riconosciuta la possibilità di costituirsi parte civile nel procedimento penale._x000d_
La Suprema Corte afferma che il danno morale non spetta alla sola vittima del reato in quanto l’art. 185 c.p. – da leggere in combinato disposto con l’art. 74 c.p.p. – fa espresso riferimento non alla sola persona offesa dal reato bensì al danneggiato in genere._x000d_
Rilevano, altresì, gli ermellini che “non si può escludere che una persona fisica, in conseguenza della uccisione di una persona, cui era legata intimamente da un rapporto di affectio familiaris, per la definitiva perdita di tale rapporto possa subire l’incisione di un interesse giuridico, diverso dal bene salute, quale è quello dell’interesse all’integrità morale (la cui tutela, ricollegabile all’art. 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo), e ciò in quanto l’interesse fatto valere è quello alla intangibilità della sfera degli affetti. Trattasi di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell’art. 2043 c.c., nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad una riparazione ai sensi dell’art. 2059 c.c., senza il limite ivi previsto in correlazione all’art. 185 c.p. in ragione della natura del valore inciso, vertendosi in materia di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato. In tal caso, in riferimento alla mera ipotetica titolarità di tale diritto, va verificata la concreta lesione che comporta il risarcimento del danno, verifica che è demandata al giudice della liquidazione”._x000d_
Infatti, atteso che la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della esistenza – desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità – di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, resta impregiudicato l’accertamento riservato al giudice della liquidazione dell’esistenza e dell’entità del danno, senza che ciò comporti alcuna violazione del giudizio formatosi sull’an._x000d_
Con la precisazione che, anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato, la sussistenza del danno non patrimoniale non può mai essere ritenuta in re ipsa, ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici (v. da ultimo Cass. Civ., sez. III, ord. 12/04/2011, n. 8421).