Il danno non patrimoniale “da uccisione” e i suoi limiti risarcitori

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 13 dicembre 2018, n. 32372 (Rel. Rossetti)

In tema di "danno da uccisione", le espressioni "danno terminale", "danno tanatologico", "danno catastrofale" non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma possono avere al massimo un valore descrittivo, e neanche preciso;
- il danno da invalidità temporanea patito da chi sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale è un danno biologico, da accertare con gli ordinari criteri della medicina legale, e da liquidare avendo riguardo alle specificità del caso concreto;
- la formido mortis patita da chi, cosciente e consapevole, sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale, è un danno non patrimoniale, da accertare con gli ordinari mezzi di prova, e da liquidare in via equitativa avendo riguardo alle specificità del caso concreto.

La relata di notificazione fa fede fino a querela di falso per le attestazioni che riguardano l’attività svolta

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 13 dicembre 2018, n. 32350 (Rel. Carrato)

Nell'ipotesi in cui — come nel caso di specie - la notifica venga eseguita, nel luogo indicato nell'atto da notificare e nella richiesta di notifica, secondo le forme previste dall'art. 140 c.p.c., è da presumere che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario e, qualora quest'ultimo intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l'onere di fornirne la prova (invece, nella fattispecie, non offerta), non potendosi egli limitare ad allegare — come ha fatto l'odierna ricorrente - che, sul plico oggetto di notificazione a mezzo posta, mancava il numero civico dello stabile e che il cad (con avviso di ricevimento) poteva essere stato immesso in una cassetta postale diversa da quella riferibile all'abitazione del soggetto destinatario. Oltretutto, occorre aggiungere che, nella notificazione a mezzo del servizio postale, l'attività legittimamente delegata dall'ufficiale giudiziario all'agente postale in forza del disposto dell'art. 1 della legge n. 890 del 1982 gode della stessa fede privilegiata dell'attività direttamente svolta dall'ufficiale giudiziario stesso ed ha il medesimo contenuto, essendo egli, ai fini della validità della notifica, tenuto a controllare il rispetto delle prescrizioni del codice di rito sulle persone a cui l'atto può essere legittimamente notificato, e ad attestare la dichiarazione resa dalla persona che riceve l'atto, indicativa delle propria qualità.; ne consegue che, anche nel caso di notificazione eseguita dall'agente postale, la relata di notificazione fa fede fino a querela di falso (nel caso in esame non proposta) per le attestazioni che riguardano l'attività svolta, trattandosi di circostanza frutto della diretta percezione del pubblico ufficiale nella sua attività di identificazione del soggetto cui è rivolta la notificazione dell'atto (v. Cass. n. 11452/2003; Cass. n. 19417/2004 e Cass. n. 2421/2014).

Oneri probatori in materia di responsabilità sanitaria
Responsabilità medico di equipe
La personalizzazione va adeguatamente motivata

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 11 dicembre 2018, n. 31966 (rel. M. Gorgoni)

Sul paziente che agisce per il risarcimento del danno grava l'onere di provare la relazione causale che intercorre tra l'evento di danno e l'azione o l'omissione, mentre spetta alla controparte (medico o struttura sanitaria) dimostrare il sopravvenire di un evento imprevedibile ed inevitabile secondo l'ordinaria diligenza.
In particolare, laddove i ricorrenti abbiano allegato e provato la ricorrenza di un inadempimento "qualificato", tale da comportare di per sé, in assenza di fattori alternativi "più probabili", la presunzione della derivazione dei successivi interventi e ricoveri dalla condotta inadempiente, spetta ai convenuti l'onere di fornire una prova idonea a superare tale presunzione secondo il criterio generale di cui all'art. 2697, comma 2, c.c. (Cass. sez. un., 11/1/2008, n. 577 e giurisprudenza successiva). (Nella fattispecie, essendo rimasta oscura la causa degli interventi successivi al primo, spettava ai convenuti dimostrare il verificarsi di una causa imprevedibile ed inevitabile che aveva reso necessari gli ulteriori interventi sulle valvole impiantate alla paziente).

Dal professionista che faccia parte, sia pure in posizione di minor rilievo, di una equipe si pretende pur sempre una partecipazione all'intervento chirurgico non da mero spettatore ma consapevole e informata, in modo che egli possa dare il suo apporto professionale non solo in relazione alla materiale esecuzione della operazione, ma anche in riferimento al rispetto delle regole di diligenza e prudenza ed alla adozione delle particolari precauzioni imposte dalla condizione specifica del paziente che si sta per operare (cfr. Cass. 29/01/2018, n.2060). (Nel caso di specie, il medico componente dell'equipe, in applicazione della consolidata giurisprudenza di legittimità, era tenuto ad un obbligo di diligenza concernente non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui, in quanto tali rilevabili con l'ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio).

E' consentito al giudice, solo con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Cass. 07/05/2018, n.10912), perché il potere discrezionale conferito al giudice del merito di liquidare il danno in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c. non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, solo quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (cfr. Cass. 13/10/2017, n.24070).

Sul concorso colposo del danneggiato (art. 1227 c.c.)

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 11 dicembre 2018, n. 31967 (rel. M. Gorgoni)

Per invocare l'applicazione dell'art. 1227, comma 2, cod. civ. è necessario che il fatto dannoso risulti già provato e che al suo verificarsi il danneggiato non abbia contribuito fornendo il proprio apporto. Infatti, la disposizione comporta una sorta di interruzione tra il fatto del danneggiante e la singola conseguenza dannosa: interruzione provocata da un comportamento omissivo del danneggiato che rende non dovuto il danno.
Infatti, mentre l'art. 1227 c.c., comma 1 concerne il concorso colposo del danneggiato nella produzione dell'evento, quindi la sua cooperazione attiva, nel secondo comma, il danno è eziologicamente imputabile al danneggiante, ma le conseguenze dannose dello stesso avrebbero potuto essere impedite o attenuate da un comportamento diligente del danneggiato; un conto sono le condizioni di nascita della responsabilità, altro i criteri di determinazione del contenuto dell'obbligazione risarcitoria che ne consegue, cui si rapporta la corrispondente segmentazione in due fasi distinte del giudizio di responsabilità con cui si distribuisce il costo di un evento dannoso (l'an e, poi, il quantum).

Destinatario irreperibile: notificazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c.

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 12 dicembre 2018, n. 32201 (Rel. Scoditti)

Nella notificazione nei confronti di destinatario irreperibile, ai sensi dell'art. 140 cod. proc. civ., non occorre che dall'avviso di ricevimento della raccomandata informativa del deposito dell'atto presso l'ufficio comunale, che va allegato all'atto notificato, risulti precisamente documentata l'effettiva consegna della raccomandata, ovvero l'infruttuoso decorso del termine di giacenza presso l'ufficio postale, né, che, in definitiva, detto avviso contenga, a pena di nullità dell'intero procedimento notificatorio, tutte le annotazioni prescritte in caso di notificazione effettuata a mezzo del servizio postale, dovendo piuttosto da esso risultare, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010, il trasferimento, il decesso del destinatario o altro fatto impeditivo (non della conoscenza effettiva, ma) della conoscibilità dell'avviso stesso (Cass. 27 febbraio 2012, n. 2959). Nella notificazione ai sensi dell'art. 140 cod. proc. civ., la raccomandata cosiddetta informativa, poiché non tiene luogo dell'atto da notificare, ma contiene la semplice "notizia" del deposito dell'atto stesso nella casa comunale, non è soggetta alle disposizioni di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, sicché occorre per la stessa rispettare solo quanto prescritto dal regolamento postale per la raccomandata ordinaria (Cass. 18 dicembre 2014, n. 26864).

Danni da circolazione stradale: termine di prescrizione più lungo in ipotesi di reato

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 24 ottobre 2018, n. 26958 (rel. E. Vincenti)

In tema di diritto al risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli, la disposizione del terzo comma dell'art. 2947 cod. civ., che prevede, ove il fatto che ha causato il danno sia considerato dalla legge come reato, l'applicabilità all'azione civile per il risarcimento, in luogo del termine biennale stabilito dal secondo comma dello stesso articolo, di quello eventualmente più lungo previsto per detto reato, è invocabile da qualunque soggetto che abbia subito un danno patrimoniale dal fatto considerato come reato dalla legge, e non solo dalla persona offesa dallo stesso, ove detto danno sia conseguenza risarcibile dello stesso fatto-reato e, dunque, ad esso collegato eziologicamente anche in via mediata e indiretta, secondo il criterio della regolarità causale.

Consenso informato: ipotesi e oneri probatori

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 4 dicembre 2018, n. 31234 (rel. G. Positano)

Sono enucleabili le seguenti ipotesi di danni risarcibili per mancanza di adeguato consenso informato (in termini, di recente, Cass. 7248/2018):
1. intervento errato che il paziente avrebbe comunque accettato anche nel caso di omessa/insufficiente informazione: un intervento, cioè, che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni, hic et nunc: in tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale;
2. intervento errato che il paziente avrebbe rifiutato: omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà esteso anche al danno da lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente;
3. intervento correttamente eseguito che il paziente avrebbe accettato; omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute -da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l'intervento non sarebbe stato eseguito- andrà valutata in relazione alla situazione differenziale tra quella conseguente all'intervento e quella (comunque patologica) antecedente ad esso;
4. intervento correttamente eseguito che il paziente avrebbe rifiutato se edotto; omessa informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente (e che sia stato correttamente eseguito): in tal caso, la lesione del diritto all'autodeterminazione costituirà oggetto di danno risarcibile tutte le volte che, ma solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell'intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse.
Ove il paziente, sul presupposto che l'atto medico sia stato compiuto senza un consenso consapevolmente prestato, richieda il risarcimento del danno da lesione della salute, determinato dalle non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, deve allegare e dimostrare che egli avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato.
In particolare, l'attore ha l'onere di provare, anche con presunzioni, che, se adeguatamente informato, non avrebbe autorizzato l'intervento anche nell'ipotesi di operazione salva vita.

Responsabilità medica: il valore delle linee guida
Responsabilità medica: l’attore deve sempre provare il nesso causale

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 30 novembre 2018, n. 30998 (rel. M. Rossetti)

Ai fini della responsabilità sanitaria, non è decisivo che i sanitari non si siano attenuti alle linee-guida. Queste, infatti, non rappresentano un letto di Procuste insuperabile.
Esse sono solo un parametro di valutazione della condotta del medico: di norma una condotta conforme alle linee guida sarà diligente, mentre una condotta difforme dalle linee guida sarà negligente od imprudente. Ma ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle (ad esempio, nel caso in cui le linee guida prescrivano la somministrazione d'un farmaco verso il quale il paziente abbia una conclamata intolleranza, ed il medico perciò non lo somministri); e per la stessa ragione anche una condotta conforme alle linee-guida potrebbe essere ritenuta colposa, avuto riguardo alle particolarità del caso concreto (ad esempio, allorché le linee guida suggeriscano l'esecuzione d'un intervento chirurgico d'elezione ed il medico vi si attenga, nonostante le condizioni pregresse del paziente non gli consentissero di sopportare una anestesia totale).
Sicché, non costituendo le linee-guida un parametro rigido ed insuperabile di valutazione della condotta del sanitario, la circostanza che il giudice abbia ritenuto non colposa la condotta del sanitario che non si sia ad esse attenuto non è, di per sé e da sola, sufficiente per ritenere erronea la sentenza, e di conseguenza per ritenere "decisivo" l'omesso esame del contenuto di quelle linee-guida.

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. Civ., Sez. 3 - , Sentenza n. 3704 del 15/02/2018; nello stesso senso, Sez. 3 - , Ordinanza n. 19199 del 19/07/2018; Sez. 3 -, Sentenza n. 29315 del 07/12/2017, e Sez. 3 -, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017.

Danno non patrimoniale – Stress da timore: la mancata allegazione di elementi obiettivi specifici impedisce di inferire la prova per presuzioni

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 7 dicembre 2018, n. 31785 (rel. F. Spena)

Il danno non patrimoniale— ( al di fuori dei casi di risarcibilità previsti direttamente dalla legge)— è risarcibile nei soli casi di danno prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione sicchè non sono meritevoli di tutela risarcitoria i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie, non derivanti — ( al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria)— dalla lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato.
Nel caso di specie, il rigetto della domanda per il danno definito come «stress da timore» è stato fondato su due autonome rationes decidendi:
- la mancata individuazione del diritto della persona di rilievo costituzionale violato;
- in ogni caso, la mancanza di prova del danno.
La autonomia delle due rationes decidendi è evidente alla luce del principio, enunciato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 26972 del 11 novembre 2018, secondo cui «il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato».

Infortunio sul lavoro: meccanismo assicurativo pubblico (INAIL) e obbligo del datore di lavoro di risarcire il danno

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 7 dicembre 2018, n. 31795 (Rel. Ghinoy)

Occorre distinguere i presupposti per l'azionabilità della tutela prevista dall'assicurazione infortuni e malattie professionali gestita dall'INAIL e quelli necessari per l'accertamento di una responsabilità contrattuale del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c..
Il meccanismo assicurativo pubblico prescinde dall'accertamento della colpa e si fonda sulla mera occasione di lavoro, cioè su di una condizione di collegabilità, anche indiretta, dell'evento all'attività lavorativa, sicché l'indennizzo può essere riconosciuto finanche per eventi verificatisi nel percorso fatto dal dipendente per recarsi al lavoro. Invece, in un giudizio risarcitorio proposto nei confronti del datore di lavoro, è indispensabile fornire al giudice ed alla controparte tutti gli elementi fattuali necessari affinché sia apprezzabile, anche solo in ipotesi, un colpevole inadempimento, non potendo il lavoratore limitarsi a dedurre di avere riportato un danno in occasione o durante la prestazione lavorativa (così Cass. n. 27364 del 23/12/2014, Cass. n. 12241 del 12/6/2015).
Dovendosi dare seguito a tale condivisibile orientamento, la soluzione adottata dalla Corte territoriale sotto tale aspetto non risulta corretta e conforme a diritto, in quanto ha desunto la sussistenza di un inadempimento rilevante dall'esistenza del danno da caduta, prescindendo dall'accertamento delle modalità con le quali essa si era verificata.