Notificazione di atto destinato a società

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 26 ottobre 2018, n. 27299 (Rel. Vella)

Il vigente art. 145, comma terzo, cod. proc. civ., consente la notificazione dell'atto destinato ad una società anche e direttamente nei confronti della persona fisica che rappresenta l'ente impersonale, ai sensi degli artt. 140 e 143 cod. proc. civ. (Cass. n. 18762/2011, n. 9237/2012, n. 2232/2017), incluso l'utilizzo del servizio postale e degli avvisi di deposito di cui all'art. 8, comma 2, della legge n. 890 del 1982, che costituiscono modalità sostanzialmente equivalenti alla notificazione ex art. 140 cod. proc. civ. (Sez. 1, 16/03/2018 n. 6654). In particolare, con specifico riferimento alle notificazioni in sede prefallimentare, questa Corte ha da tempo chiarito che l'art. 145 cod. proc. civ. - come riformato dall'art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, in vigore dall'1 marzo 2006 e quindi applicabile ratione temporis - prevede «non più in via residuale, ma alternativa, la possibilità di notificare l'atto destinato ad un ente direttamente alla persona che lo rappresenta (purché ne siano indicati nell'atto qualità, residenza, domicilio o dimora), dunque senza previo tentativo di notificazione all'ente presso la sede legale, secondo le modalità disciplinate, per le persone fisiche, dagli artt. 138, 139 e 141 cod. proc. civ.» (Cass., Sez. VI-1, 03/05/2012 n. 6693; conf. Cass., Sez. I, 13/12/2012 n. 22957; Cass., Sez. VI-5, 06/04/2017 n. 9009; Cass., Sez. V, 04/04/2018, n. 8300).

Il decorso del “termine lungo” rende inammissibile l’impugnazione, anche se ancora pendente il “termine breve”

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 24 ottobre 2018, n. 26960 (Rel. Cigna)

Ai sensi dell'art. 327 c.p.c., la decadenza dall'impugnazione per decorso del termine lungo dalla pubblicazione della sentenza, si verifica "indipendentemente dalla notificazione", e pertanto anche nel caso in cui - effettuata la notificazione della sentenza - il termine breve di impugnazione ex art. 325 c.p.c. venga a scadere in un momento successivo alla scadenza del termine lungo (Cass. n. 6187/2016; conf. Cass. n. 26272/2005; Cass. n. 8191/2000); in altre parole, una volta scaduto il termine lungo, l'impugnazione è comunque inammissibile, essendo irrilevante che non sia invece scaduto, per effetto di una notifica della sentenza impugnata, il termine breve.

La notifica della sentenza effettuata a mezzo PEC fa decorrere il termine breve per impugnare

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 23 ottobre 2018, n. 26866 (Rel. De Stefano)

La notifica della sentenza effettuata alla controparte a mezzo PEC (ex art. 3 bis della I. n. 53 del 1994 nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dall'art. 16 quater, comma 1, lett. d), del d.l. n. 179 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 228 del 2012) è idonea a far decorrere il termine breve d'impugnazione nei confronti del destinatario, ove il notificante provi di aver allegato e prodotto la copia cartacea del messaggio di trasmissione a mezzo posta elettronica certificata, le ricevute di avvenuta consegna e accettazione e la relata di notificazione, sottoscritta digitalmente dal difensore, nonché la copia conforme della sentenza che, trattandosi di atto da notificare non consistente in documento informatico, sia stata effettuata mediante estrazione di copia informatica dell'atto formato su supporto analogico e attestazione di conformità ex art. 16 undecies del citato d.l. n. 179 del 2012 (Cass., ordinanza 19 settembre 2017, n. 21597); inoltre, «il deposito di documentazione concernente l'avvenuta notifica della sentenza effettuata alla controparte a mezzo PEC, ancorché non corredata dalla attestazione di conformità delle ricevute di avvenuta consegna e accettazione del messaggio, è idonea a far decorrere il termine breve d'impugnazione nei confronti del destinatario, qualora quest'ultimo non abbia sollevato alcuna obiezione o contestazione sulla regolarità di tale notifica» (Cass., ordinanza 28 novembre 2017, n. 28339).

Violazione dell’onere probatorio e ricorso per Cassazione

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 23 ottobre 2018, n. 26769 (Rel. Dell'Utri)

La violazione dell'art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l'onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell'art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla "valutazione delle prove" (Cass. n. 11892 del 2016; cfr. Cass., Sez. Un., sentenza 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione).

La notifica della sentenza reiettiva del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento può essere effettuata dal cancelliere mediante PEC

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 22 ottobre 2018, n. 26638 (Rel. Vella)

In materia di reclamo ex art. 18 legge fall., questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «la notifica del testo integrale della sentenza reiettiva del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, effettuata ai sensi della L. Fall., art. 18, comma 13, dal cancelliere mediante posta elettronica certificata (PEC), ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 4, convertito con modifiche dalla L. n. 221 del 2012, è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione in cassazione ai sensi della L. Fall., art. 18, comma 14, non ostandovi il nuovo testo dell'art. 133 c.p.c., comma 2, come novellato dal D.L. n. 90 del 2014, convertito con modifiche dalla L. n. 114 del 2014, secondo il quale la comunicazione del testo integrale della sentenza da parte del cancelliere non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'art. 325 c.p.c.» (Sez. 1, sent., 20/05/2016 n. 10525; diff. ord. nn. 5374/16 e 18278/15; conf. Sez. 6-1, ord. 30/01/2017 n. 2315; Sez. 1, sent. 20/04/2017 n. 9974; Sez. 1, ord. 09/10/2017 n. 23575, ove si precisa che «il meccanismo previsto dall'art. 18, comma 14, legge fall. ha a fondamento, in ragione delle esigenze di celerità che caratterizzano il procedimento fallimentare, la mera conoscenza legale del provvedimento suscettibile di impugnazione, conoscenza che la comunicazione in forma integrale assicura al pari della notificazione»).

Avverso il provvedimento cautelare non è ammesso ricorso per Cassazione

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 19 ottobre 2018, n. 26530 (Rel. Rubino)

Avverso il provvedimento cautelare, per sua natura privo di definitività idonea ad incidere con efficacia di giudicato sui diritti controversi, non è ammesso ricorso per cassazione: "Il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. è proponibile avverso provvedimenti giurisdizionali emessi in forma di ordinanza o di decreto solo quando essi siano definitivi ed abbiano carattere decisorio, essendo in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale: donde l'inammissibilità dell'impugnazione con tale mezzo dell'ordinanza adottata dal tribunale in sede di reclamo avverso un provvedimento di natura cautelare o possessoria, ancorché se ne deduca la "abnormità", siccome recante statuizioni eccedenti la funzione meramente cautelare, trattandosi di decisione a carattere strumentale ed interinale, operante per il limitato tempo del giudizio di merito e sino all'adozione delle determinazioni definitive all'esito di esso, come tale inidonea a conseguire efficacia di giudicato, sia dal punto di vista formale che da quello sostanziale" (Cass. n. 20954/2017).

Rilevamento della velocità e idonea segnalazione

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 19 ottobre 2018, n. 26466 (Rel. Scalisi)

Ai sensi dell'art. 2, d.m. 15 agosto 2007, i segnali stradali e i dispositivi di segnalazione luminosi devono essere installati "con adeguato anticipo" rispetto al luogo ove viene effettuato il rilevamento della velocità, e in modo da garantirne il tempestivo avvistamento, in relazione alla velocità locale predominante. La distanza tra i segnali o i dispositivi e la postazione di rilevamento della velocità deve essere valutata in relazione allo stato dei luoghi; in particolare, è necessario che non vi sia tra il segnale e il luogo di effettivo rilevamento una distanza superiore a quattro km, mentre non è stabilita una distanza minima, né assume rilevo la mancata ripetizione della segnalazione di divieto, dopo ciascuna intersezione, per gli automobilisti, che proseguano lungo la medesima strada. A maggior chiarezza va qui osservato che né la legge, né il D.L. n. 117 del 2007, né altra normativa successiva, indica le caratteristiche che debba avere il segnale di avvertimento perché ciò che conta è che si tratti di strada sottoposta a rilevazione elettronica della velocità e che la sussistenza di una apparecchiatura di rilevamento della velocità, sia segnalata agli utenti, nei termini di cui si è detto, con qualunque strumento purché sia adeguato e comunque, visibile, indipendentemente, però che si tratti di dispositivo luminoso, o di un cartello stradale verticale od orizzontale e/o di cartello verticale luminoso a luce intermittente.

Inammissibile il ricorso redatto con la tecnica dell’assemblaggio

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 18 ottobre 2018, n. 26120 (rel M. Rossetti)

E' inammissibile il ricorso redatto con la tecnica cd. dell'assemblaggio, vale a dire mediante l'integrale riproduzione e collazione di una serie di documenti ed atti processuali. Tale tecnica, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non può ammettersi, perché consiste in un'esposizione dei fatti non sommaria e viola perciò il disposto dell'art. 366, primo comma, n. 3, c.p.c. (Sez. 5 - , Sentenza n. 8245 del 04/04/2018; Sez. 5, Sentenza n. 18363 del 18/09/2015; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 22185 del 30/10/2015; Sez. 6 - 3, Sentenza n. 3385 del 22/02/2016); né dall'esposizione dei motivi, espunti dal ricorso gli atti processuali fotoriprodotti, è possibile desumere in modo chiaro ed inequivoco i fatti di causa (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 11236 del 9.5.2017).

Notificazione non conclusa positivamente per causa non imputabile al richiedente e richiesta di sua ripresa

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 18 ottobre 2018, n. 26296 (Rel. Sambito)

In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell'atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l'onere - anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio - di richiedere all'ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l'esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (Cass. S.U. n. 17352 del 2009; Cass. n. 586 del 2010; n. 586 del 2010; n.6846 del 2010; n.21154 del 2010; n. 26518 del 2011; n. 4842 del 2012; n. 18174 del 2012; n. 20830 del 2013), tempi che le SU di questa Corte, con sentenza n. 14594 del 2016 hanno precisato non poter superare il limite pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (Cass. n. 19059 del 2017; n. 11485 del 2018).

Ricorso per Cassazione: violazione dell’art. 2697 c.c.

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 18 ottobre 2018, n. 26281 (Rel. Olivieri)

La violazione dell'art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l'onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla "valutazione delle prove"...." (cfr. Cass., Sez. un., sentenza 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione paragr. § 14).