Gli obblighi informativi dell’intermediario finanziario ed il concreto profilo dell’investitore

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 4 ottobre 2018, n. 24393 (Rel. Dolmetta)

La prestazione dell'informazione circa margini e termini di rischio di una specifica operazione si pone come momento in sé funzionale a che l'investitore vada a considerare - nel caso, a riconsiderare - gli effettivi suoi interesse e propensione a procedere nel senso di investimenti particolarmente rischiosi. E non già - questo è il punto - rispetto all'astratto atteggiarsi una categoria concettuale, secondo quanto per regola avviene nel momento del rilascio, da parte dell'investitore, della dichiarazione generale sui propri obiettivi di investimento. Bensì con riferimento a una singola, concreta operazione di investimento, come ormai individuata in tutti i suoi aspetti salienti. Neppure la sussistenza di una buona conoscenza del mercato finanziario, tratta dall'esperienza della relativa pratica, viene a incidere sulla consistenza degli obblighi informativi dell'intermediario; infatti, come ha rilevato la già richiamata pronuncia n. 8333/2018, la «buona conoscenza del mercato finanziario è indizio, semmai, della capacità di distinguere tra investimenti consigliabili e sconsigliabili, sempre che, però, si disponga delle necessarie informazioni sullo specifico prodotto oggetto dell'operazione, che dunque si ha tutto l'interesse a ricevere». Ché, anzi, proprio perché frutto del mero accumularsi delle operazioni effettuate, la «buona conoscenza» dell'investitore ha particolarmente bisogno di essere vigilata e nutrita dalla doverosa professionalità dell'intermediario.

Revocazione per errore materiale: non è impugnabile la valutazione fatta dal giudice di non integrare il contraddittorio

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 4 ottobre 2018, n. 24267 (Rel. Cigna)

L'istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di Cassazione, proponibile ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all'art. 395, n. 4, c.p.c., che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l'esistenza (o l'inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato. L'errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l'altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione" (Cass. 442/2018); nel caso di specie la Suprema Corte non è incorsa in nessun errore di percezione, avendo ben tenuto presente la circostanza del contraddittorio non integro per la mancanza della proprietaria dell'autovettura tamponante (litisconsorte necessario) e valutando tuttavia inutile, stante l'anticipata conferma del rigetto della domanda risarcitoria, la richiesta integrazione; siffatta attività di valutazione non può essere oggetto di ricorso per revocazione.

Ricorso per Cassazione: la notificazione telematica della sentenza impugnata

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 4 ottobre 2018, n. 24253 (Rel. Orilia)

In tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l'onere di deposito della copia autentica della decisione con la relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi dell'art. 9, commi 1 bis e 1 ter, I. n. 53 del 1994, e depositare nei termini quest'ultima presso la cancelleria della S.C., mentre non è necessario provvedere anche al deposito di copia autenticata della sentenza estratta dal fascicolo informatico

Credito fondiario

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 3 ottobre 2018, n. 24138 (Rel. Dolmetta)

Il credito fondiario - che non rispetti il rapporto tra valore del bene ipotecato e montante del mutuo concesso fissato dalla normativa di cui all'art. 38 TUB - è nullo perché posto in essere in violazione di norme imperative (Cass., 13 luglio 2017, n. 17352, Cass., 9 maggio 2018, n. 11201; Cass., 16 marzo 2018, n. 6586; Cass., 12 aprile 2018, n. 9079; Cass., 11 maggio 2018, n. 11543; Cass., 28 maggio 2018, n. 13285; Cass., 28 maggio 2018, n. 13286). In realtà, il limite dell'«ammontare massimo del finanziamento» posto dalla norma dell'art. 38, comma 2, TUB (come poi specificato dalla correlata normativa regolamentare) è requisito che non si accontenta della presenza di riscontri formali, ma attiene alla sostanza del rapporto tra misura del credito concedibile e valore della garanzia a servizio. Secondo quanto discende prima di tutto dalla caratteristica strutturale di base del mutuo fondiario, quale concessione di credito in cui la valutazione del futuro «rientro» dell'erogato viene in modo specifico a puntualizzarsi, se non propriamente a circoscriversi, su determinati beni immobili portati in garanzia.

La “nullità selettiva” nei contratti-quadro

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 2 ottobre 2018, n. 23927 (Rel. Valitutti)

La Prima Sezione ha rimesso all’esame del Primo Presidente, per la valutazione dell’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, la questione di massima di particolare importanza riguardante l'ammissibilità di un uso selettivo della nullità del contratto quadro, riconoscendo all'investitore il potere di chiederne la limitazione degli effetti solo ad alcune delle operazioni poste in essere in esecuzione del rapporto contrattuale dichiarato nullo.

Sulla transazione tra Casa di Cura e danneggiato, di cui il medico vuole avvalersi

Cass. Civ., sez. III, sentenza 26 settembre 2018, n. 22800 (rel. A. Di Florio)

La norma di cui all'art. 1304, primo comma, c.c. si riferisce alla transazione che abbia ad oggetto l'intero debito, e non la sola quota del debitore con cui è stipulata. Spetta al giudice del merito verificare quale sia l'effettiva portata contenutistica del contratto, e, ove uno dei debitori dichiari di volerne profittare, dovrà anche dar conto degli elementi da lui forniti al fine di dimostrare l'effettiva e concreta manifestazione di tale volontà, valutando in modo coerente e logico tutte le emergenze processuali che concorrono a delineare inequivocabilmente la sua intenzione.

Mera irregolarità se il fascicolo di parte ritirato non viene successivamente depositato

Cass. Civ., sez. III, sentenza 28 settembre 2018, n. 23455 (rel. A. Di Florio)

a) La documentazione prodotta unitamente al ricorso per decreto ingiuntivo su cui si fonda la pretesa vantata deve ritenersi acquisita al giudizio anche per le successive fasi di cognizione.
b) La prova documentale e testimoniale esaminata dal giudice di primo grado che, quanto alla sua storicità, ne dà conto in motivazione, pur soggetta a nuova valutazione da parte del giudice d'appello deve ritenersi acquisita agli atti, anche in base alla sentenza di primo grado pronunciata, visto il valore di atto pubblico del provvedimento decisorio del giudice.
c) La perentorietà del termine entro il quale, a norma dell'art. 169, comma 2, c.p.c., deve avvenire il deposito del fascicolo di parte ritirato all'atto della rimessione della causa al collegio, va riferita solo alla fase decisoria di primo grado e non può in alcun modo operare una volta che il procedimento trasmigri in appello, stante il riferimento dell'art. 345 c.p.c. alle sole prove "nuove" e, quindi, ai documenti che si pretenda di introdurre per la prima volta nel secondo grado, tra i quali non rientrano quelli contenuti nel fascicolo di parte di primo grado, ove prodotti nell'osservanza delle preclusioni probatorie di cui agli artt. 165 e 166 c.p.c.
d) Nell'ipotesi in cui la costituzione in giudizio dell'appellato avvenga in udienza e ne venga dato atto nel relativo verbale ( documento fidefacente) nel quale poi si attesti il ritiro del fascicolo di parte, l'avvenuto deposito di esso (del quale risultano a disposizione del collegio le veline) e la sua esistenza devono ritenersi dimostrate attraverso la susseguenza logica di tali eventi, comprovati dagli atti fidefacenti che ne danno conto.
e) Nel caso in cui, nel giudizio d'appello, la parte, dopo essersi costituita, ritiri il fascicolo di parte ed ometta di depositarlo nuovamente dopo la precisazione delle conclusioni, incorre in una mera irregolarità che il giudice di merito può fronteggiare attraverso una prudente valutazione delle veline a sua disposizione o, nel dubbio, attraverso la rimessione della causa sul ruolo.

Ricorso per Cassazione: le contestazioni avverso le risultanze della ctu devono risultare formulate già innanzi al giudice di merito

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23660 (Rel. Esposito)

In tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d'ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice "a quo", e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell'elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (conf. Cass. n. 11482 del 3 giugno 2016).

Il danno patrimoniale in caso di percezione di indennità previdenziale

Cass. civ., Sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23481 (Rel. Gorgoni)

E' ben vero che, nei casi in cui l'elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all'accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi, ma allorché, come nel caso di specie, la vittima continui a svolgere un'attività lavorativa e, per di più percepisca un'indennità previdenziale (su cui cfr. Cass. 30/08/2016 n. 17407, in ordine al regime delle detrazioni), la prova del quantum del danno avrebbe potuto e dovuto darsi dimostrando una contrazione del suo reddito patrimoniale, quale elemento idoneo ad evidenziare anche per il futuro il pregiudizio da diminuzione della redditività dell'attività. In mancanza di tale prova, il giudice — salvo che per le circostanze concrete, non imputabili al danneggiato, sia impossibile o difficile la dimostrazione di tale contrazione: ipotesi non verificatasi nel caso di specie — non può esercitare il potere di cui all'art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la quantificazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare: situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produca reddito e, dunque, possa dimostrare di quanto il reddito sia diminuito.

Responsabile il conduttore per l’incendio appiccato dal dipendente

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23476 (rel. F. Fiecconi)

Il conduttore risponde ex art. 1588 cod.civ. della perdita e del deterioramento della cosa locata anche se derivante da incendio, e la presunzione di colpa a carico del conduttore è superabile soltanto con la dimostrazione che la causa dell'incendio, identificata in modo positivo e concreto, non sia a lui addebitabile onde, in difetto di tale prova, la causa sconosciuta o anche dubbia della perdita o del deterioramento della cosa locata rimane a suo carico.
Conseguentemente, la responsabilità del conduttore per la perdita o deterioramento della cosa locata per fatto del terzo, ai sensi dell' art. 1588, secondo comma, cod. civ., permane ove il danno si sia verificato nel tempo in cui egli ha consentito al terzo il godimento o l'uso della cosa, purché si tratti di fatti ricollegabili a scelte del conduttore nelle modalità d'uso e nella vigilanza della cosa locata, e non quando l'uso della cosa locata da parte del terzo non sia stato consentito o addirittura vietato.