La “nullità selettiva” nei contratti-quadro

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 2 ottobre 2018, n. 23927 (Rel. Valitutti)

La Prima Sezione ha rimesso all’esame del Primo Presidente, per la valutazione dell’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, la questione di massima di particolare importanza riguardante l'ammissibilità di un uso selettivo della nullità del contratto quadro, riconoscendo all'investitore il potere di chiederne la limitazione degli effetti solo ad alcune delle operazioni poste in essere in esecuzione del rapporto contrattuale dichiarato nullo.

Sulla transazione tra Casa di Cura e danneggiato, di cui il medico vuole avvalersi

Cass. Civ., sez. III, sentenza 26 settembre 2018, n. 22800 (rel. A. Di Florio)

La norma di cui all'art. 1304, primo comma, c.c. si riferisce alla transazione che abbia ad oggetto l'intero debito, e non la sola quota del debitore con cui è stipulata. Spetta al giudice del merito verificare quale sia l'effettiva portata contenutistica del contratto, e, ove uno dei debitori dichiari di volerne profittare, dovrà anche dar conto degli elementi da lui forniti al fine di dimostrare l'effettiva e concreta manifestazione di tale volontà, valutando in modo coerente e logico tutte le emergenze processuali che concorrono a delineare inequivocabilmente la sua intenzione.

Mera irregolarità se il fascicolo di parte ritirato non viene successivamente depositato

Cass. Civ., sez. III, sentenza 28 settembre 2018, n. 23455 (rel. A. Di Florio)

a) La documentazione prodotta unitamente al ricorso per decreto ingiuntivo su cui si fonda la pretesa vantata deve ritenersi acquisita al giudizio anche per le successive fasi di cognizione.
b) La prova documentale e testimoniale esaminata dal giudice di primo grado che, quanto alla sua storicità, ne dà conto in motivazione, pur soggetta a nuova valutazione da parte del giudice d'appello deve ritenersi acquisita agli atti, anche in base alla sentenza di primo grado pronunciata, visto il valore di atto pubblico del provvedimento decisorio del giudice.
c) La perentorietà del termine entro il quale, a norma dell'art. 169, comma 2, c.p.c., deve avvenire il deposito del fascicolo di parte ritirato all'atto della rimessione della causa al collegio, va riferita solo alla fase decisoria di primo grado e non può in alcun modo operare una volta che il procedimento trasmigri in appello, stante il riferimento dell'art. 345 c.p.c. alle sole prove "nuove" e, quindi, ai documenti che si pretenda di introdurre per la prima volta nel secondo grado, tra i quali non rientrano quelli contenuti nel fascicolo di parte di primo grado, ove prodotti nell'osservanza delle preclusioni probatorie di cui agli artt. 165 e 166 c.p.c.
d) Nell'ipotesi in cui la costituzione in giudizio dell'appellato avvenga in udienza e ne venga dato atto nel relativo verbale ( documento fidefacente) nel quale poi si attesti il ritiro del fascicolo di parte, l'avvenuto deposito di esso (del quale risultano a disposizione del collegio le veline) e la sua esistenza devono ritenersi dimostrate attraverso la susseguenza logica di tali eventi, comprovati dagli atti fidefacenti che ne danno conto.
e) Nel caso in cui, nel giudizio d'appello, la parte, dopo essersi costituita, ritiri il fascicolo di parte ed ometta di depositarlo nuovamente dopo la precisazione delle conclusioni, incorre in una mera irregolarità che il giudice di merito può fronteggiare attraverso una prudente valutazione delle veline a sua disposizione o, nel dubbio, attraverso la rimessione della causa sul ruolo.

Ricorso per Cassazione: le contestazioni avverso le risultanze della ctu devono risultare formulate già innanzi al giudice di merito

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23660 (Rel. Esposito)

In tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d'ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice "a quo", e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell'elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (conf. Cass. n. 11482 del 3 giugno 2016).

Il danno patrimoniale in caso di percezione di indennità previdenziale

Cass. civ., Sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23481 (Rel. Gorgoni)

E' ben vero che, nei casi in cui l'elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all'accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi, ma allorché, come nel caso di specie, la vittima continui a svolgere un'attività lavorativa e, per di più percepisca un'indennità previdenziale (su cui cfr. Cass. 30/08/2016 n. 17407, in ordine al regime delle detrazioni), la prova del quantum del danno avrebbe potuto e dovuto darsi dimostrando una contrazione del suo reddito patrimoniale, quale elemento idoneo ad evidenziare anche per il futuro il pregiudizio da diminuzione della redditività dell'attività. In mancanza di tale prova, il giudice — salvo che per le circostanze concrete, non imputabili al danneggiato, sia impossibile o difficile la dimostrazione di tale contrazione: ipotesi non verificatasi nel caso di specie — non può esercitare il potere di cui all'art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la quantificazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare: situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produca reddito e, dunque, possa dimostrare di quanto il reddito sia diminuito.

Responsabile il conduttore per l’incendio appiccato dal dipendente

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23476 (rel. F. Fiecconi)

Il conduttore risponde ex art. 1588 cod.civ. della perdita e del deterioramento della cosa locata anche se derivante da incendio, e la presunzione di colpa a carico del conduttore è superabile soltanto con la dimostrazione che la causa dell'incendio, identificata in modo positivo e concreto, non sia a lui addebitabile onde, in difetto di tale prova, la causa sconosciuta o anche dubbia della perdita o del deterioramento della cosa locata rimane a suo carico.
Conseguentemente, la responsabilità del conduttore per la perdita o deterioramento della cosa locata per fatto del terzo, ai sensi dell' art. 1588, secondo comma, cod. civ., permane ove il danno si sia verificato nel tempo in cui egli ha consentito al terzo il godimento o l'uso della cosa, purché si tratti di fatti ricollegabili a scelte del conduttore nelle modalità d'uso e nella vigilanza della cosa locata, e non quando l'uso della cosa locata da parte del terzo non sia stato consentito o addirittura vietato.

RCA: azione diretta e litisconsorzio necessario del proprietario del veicolo assicurato

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23480

L'art. 144 cod. ass. trova il suo precedente nell'art. 23 della I. 24.12.1969, n. 990, a mente del quale, nel giudizio promosso contro l'assicuratore, ai sensi dell'art. 18, comma 1 della medesima legge, deve essere chiamato anche il responsabile del danno; costituisce orientamento già in altre occasioni espresso da questa Corte che, nel giudizio promosso dal danneggiato contro l'assicuratore con azione diretta, la chiamata in causa del proprietario del veicolo assicurato come litisconsorte necessario deroga al principio della facoltatività del litisconsorzio in materia di obbligazioni solidali, trovando tale deroga giustificazione nell'esigenza di rafforzare la posizione processuale dell'assicuratore, consentendogli di opporre l'accertamento di responsabilità al proprietario del veicolo, quale soggetto del rapporto assicurativo, ai fini dell'esercizio dei diritti nascenti da tale rapporto, ed in particolare, dall'azione di rivalsa ex art. 18 della legge citata (Cass. 9 marzo 2011, n. 5538; Cass. 25 settembre 1998, n. 9592). La norma ha portata generale e si applica in tutte le ipotesi di azione diretta: quella ordinaria prevista dall'art. 144 cod ass., quella di cui all'art. 149 cod. ass. nel caso di risarcimento diretto, quella disposta dall'art. 141 cod. ass. nel caso di danni al trasportato. Essa infatti ha la funzione di rendere opponibile all'assicurato l'accertamento della sua condotta colposa, al fine di facilitare l'eventuale regresso dell'assicuratore, nel caso in cui eventuali clausole contrattuali limitative del rischio, inopponibili al terzo danneggiato, gli avessero consentito di rifiutare l'indennizzo. Ne consegue che, ove l'azione giudiziaria sia stata proposta soltanto contro alcuni dei legittimati passivi, il contraddittorio deve essere integrato nei confronti degli altri, affinché la sentenza possa essere utiliter data (Cass. 2 dicembre 2014, n. 25421; Cass. 22 novembre 2016, n. 23706).

Il contrassegno assicurativo e la sua efficacia sul piano probatorio

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23479 (Rel. Gorgoni)

Il verbale dei Carabinieri fa piena prova di avere non solo riscontrato la presenza del contrassegno assicurativo, ma anche del certificato di assicurazione. Nulla prova, invece, quanto alla veridicità del contrassegno e del certificato assicurativo e, quindi, quanto alla presenza di una copertura assicurativa (il certificato ed il contrassegno potrebbero essere stati emessi per errore, potrebbero non recare la firma di soggetto abilitato — rappresentante legale della impresa assicurativa — potrebbero avere cessato anticipatamente di produrre i loro effetti, potrebbero essere stati falsamente compilati, ovvero materialmente contraffatti). Nella sostanza, la situazione di apparenza indubbiamente ingenerata faceva sì che per il danneggiato la ricorrenza del contratto di assicurazione rilevasse non per la sua efficacia negoziale, ma come mero fatto storico; come ha correttamente statuito il Giudice di merito che ha fatto, dunque, buon governo della giurisprudenza di questa Corte (confr. Cass. 13/10/2017, n. 24069). Per negare la legittimazione soggettiva dell'attuale ricorrente (impresa d'assicurazione) era necessario che essa provasse la validità e l'efficacia del contratto di assicurazione, poste le differenti finalità primarie di pubblicità legale che il contrassegno assicurativo soddisfa: la necessità di rendere conoscibile ai terzi i dati relativi all'impresa assicuratrice che copre il veicolo ed il relativo periodo di copertura, a tutela dei danneggiati coinvolti in incidenti stradali, o comunque portatori di interesse ad acquisire le informazioni relative al veicolo danneggiante.

Il principio della soccombenza

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23476 (rel. F. Fiecconi)

Il principio della soccombenza non può essere derogato nel caso in cui la parte risulti parzialmente vittoriosa e il giudice, non avvalendosi del potere discrezionale di compensazione delle spese, ciò nonostante condanni la parte anche solo in parte vittoriosa alle spese di lite sopportate dall'altra parte che, invece, è risultata parzialmente soccombente. È ricorrente, in giurisprudenza, l'affermazione secondo cui il principio della soccombenza è violato solo se il giudice pone le spese a carico della parte interamente vittoriosa, potendo ogni altra statuizione trovare sostegno a seconda dei casi, nel combinato disposto degli articoli 91 e 92 cod.proc.civ. (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017; Sez. 1, Sentenza n. 13229 del 16/06/2011; Sez. 3, Sentenza n. 12963 del 04/06/2007).
Se è vero che l'accoglimento parziale della domanda può giustificare la condanna della controparte all'integrale rimborso delle spese di lite, è a maggior ragione da ritenere che l'accoglimento della domanda, anche in misura minima, esclude la condanna del vincitore alle spese.
Il principio della soccombenza riceve un'apparente diversa applicazione, solo con riguardo al giudizio di impugnazione, da intendersi come una fase di un giudizio il cui esito è da valutare in sede finale e globale. In quest'ultimo caso, il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l'onere delle spese processuali, infatti, non si fraziona secondo l'esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all'esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a sé favorevole (Cass. 14 dicembre 2000, n. 15787; Cass. 10 settembre 2001, n. 11543; Cass.Sez. 3, Sentenza n. 9060 del 06/06/2003; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 6369 del 13/03/2013).

Mutatio ed emendatio libelli nel procedimento di ingiunzione

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23478 (Rel. Gorgoni)

Il sistema delle preclusioni processuali, valevole anche nel procedimento di ingiunzione — in cui il contraddittorio è posticipato ed eventuale e la posizione sostanziale di attore compete, con i relativi oneri, al creditore convenuto in opposizione, mentre quella di convenuto spetta al debitore opponente — sulla scorta del nuovo corso giurisprudenziale, opera in modo che così come all'attore è permesso modificare la propria domanda originaria ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., analoga facoltà venga riconosciuta anche al creditore del giudizio monitorio che, di fronte alla opposizione del debitore, può specificare, meglio chiarire e persino mutare causa petendi e petitum al fine di adeguare la pretesa azionata in sede monitoria (conf. Cass. 11 dicembre 2017, n. 29619).