RCA: azione diretta e litisconsorzio necessario del proprietario del veicolo assicurato

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23480

L'art. 144 cod. ass. trova il suo precedente nell'art. 23 della I. 24.12.1969, n. 990, a mente del quale, nel giudizio promosso contro l'assicuratore, ai sensi dell'art. 18, comma 1 della medesima legge, deve essere chiamato anche il responsabile del danno; costituisce orientamento già in altre occasioni espresso da questa Corte che, nel giudizio promosso dal danneggiato contro l'assicuratore con azione diretta, la chiamata in causa del proprietario del veicolo assicurato come litisconsorte necessario deroga al principio della facoltatività del litisconsorzio in materia di obbligazioni solidali, trovando tale deroga giustificazione nell'esigenza di rafforzare la posizione processuale dell'assicuratore, consentendogli di opporre l'accertamento di responsabilità al proprietario del veicolo, quale soggetto del rapporto assicurativo, ai fini dell'esercizio dei diritti nascenti da tale rapporto, ed in particolare, dall'azione di rivalsa ex art. 18 della legge citata (Cass. 9 marzo 2011, n. 5538; Cass. 25 settembre 1998, n. 9592). La norma ha portata generale e si applica in tutte le ipotesi di azione diretta: quella ordinaria prevista dall'art. 144 cod ass., quella di cui all'art. 149 cod. ass. nel caso di risarcimento diretto, quella disposta dall'art. 141 cod. ass. nel caso di danni al trasportato. Essa infatti ha la funzione di rendere opponibile all'assicurato l'accertamento della sua condotta colposa, al fine di facilitare l'eventuale regresso dell'assicuratore, nel caso in cui eventuali clausole contrattuali limitative del rischio, inopponibili al terzo danneggiato, gli avessero consentito di rifiutare l'indennizzo. Ne consegue che, ove l'azione giudiziaria sia stata proposta soltanto contro alcuni dei legittimati passivi, il contraddittorio deve essere integrato nei confronti degli altri, affinché la sentenza possa essere utiliter data (Cass. 2 dicembre 2014, n. 25421; Cass. 22 novembre 2016, n. 23706).

Il contrassegno assicurativo e la sua efficacia sul piano probatorio

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23479 (Rel. Gorgoni)

Il verbale dei Carabinieri fa piena prova di avere non solo riscontrato la presenza del contrassegno assicurativo, ma anche del certificato di assicurazione. Nulla prova, invece, quanto alla veridicità del contrassegno e del certificato assicurativo e, quindi, quanto alla presenza di una copertura assicurativa (il certificato ed il contrassegno potrebbero essere stati emessi per errore, potrebbero non recare la firma di soggetto abilitato — rappresentante legale della impresa assicurativa — potrebbero avere cessato anticipatamente di produrre i loro effetti, potrebbero essere stati falsamente compilati, ovvero materialmente contraffatti). Nella sostanza, la situazione di apparenza indubbiamente ingenerata faceva sì che per il danneggiato la ricorrenza del contratto di assicurazione rilevasse non per la sua efficacia negoziale, ma come mero fatto storico; come ha correttamente statuito il Giudice di merito che ha fatto, dunque, buon governo della giurisprudenza di questa Corte (confr. Cass. 13/10/2017, n. 24069). Per negare la legittimazione soggettiva dell'attuale ricorrente (impresa d'assicurazione) era necessario che essa provasse la validità e l'efficacia del contratto di assicurazione, poste le differenti finalità primarie di pubblicità legale che il contrassegno assicurativo soddisfa: la necessità di rendere conoscibile ai terzi i dati relativi all'impresa assicuratrice che copre il veicolo ed il relativo periodo di copertura, a tutela dei danneggiati coinvolti in incidenti stradali, o comunque portatori di interesse ad acquisire le informazioni relative al veicolo danneggiante.

Il principio della soccombenza

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23476 (rel. F. Fiecconi)

Il principio della soccombenza non può essere derogato nel caso in cui la parte risulti parzialmente vittoriosa e il giudice, non avvalendosi del potere discrezionale di compensazione delle spese, ciò nonostante condanni la parte anche solo in parte vittoriosa alle spese di lite sopportate dall'altra parte che, invece, è risultata parzialmente soccombente. È ricorrente, in giurisprudenza, l'affermazione secondo cui il principio della soccombenza è violato solo se il giudice pone le spese a carico della parte interamente vittoriosa, potendo ogni altra statuizione trovare sostegno a seconda dei casi, nel combinato disposto degli articoli 91 e 92 cod.proc.civ. (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017; Sez. 1, Sentenza n. 13229 del 16/06/2011; Sez. 3, Sentenza n. 12963 del 04/06/2007).
Se è vero che l'accoglimento parziale della domanda può giustificare la condanna della controparte all'integrale rimborso delle spese di lite, è a maggior ragione da ritenere che l'accoglimento della domanda, anche in misura minima, esclude la condanna del vincitore alle spese.
Il principio della soccombenza riceve un'apparente diversa applicazione, solo con riguardo al giudizio di impugnazione, da intendersi come una fase di un giudizio il cui esito è da valutare in sede finale e globale. In quest'ultimo caso, il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l'onere delle spese processuali, infatti, non si fraziona secondo l'esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all'esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a sé favorevole (Cass. 14 dicembre 2000, n. 15787; Cass. 10 settembre 2001, n. 11543; Cass.Sez. 3, Sentenza n. 9060 del 06/06/2003; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 6369 del 13/03/2013).

Mutatio ed emendatio libelli nel procedimento di ingiunzione

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 28 settembre 2018, n. 23478 (Rel. Gorgoni)

Il sistema delle preclusioni processuali, valevole anche nel procedimento di ingiunzione — in cui il contraddittorio è posticipato ed eventuale e la posizione sostanziale di attore compete, con i relativi oneri, al creditore convenuto in opposizione, mentre quella di convenuto spetta al debitore opponente — sulla scorta del nuovo corso giurisprudenziale, opera in modo che così come all'attore è permesso modificare la propria domanda originaria ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., analoga facoltà venga riconosciuta anche al creditore del giudizio monitorio che, di fronte alla opposizione del debitore, può specificare, meglio chiarire e persino mutare causa petendi e petitum al fine di adeguare la pretesa azionata in sede monitoria (conf. Cass. 11 dicembre 2017, n. 29619).

Processo tributario: il deposito dell’avviso di ricevimento del plico e non della ricevuta di spedizione non è motivo di inammissibilità del ricorso

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 27 settembre 2018, n. 23403 (Rel. La Torre)

Nel processo tributario, non costituisce motivo d'inammissibilità del ricorso (o dell'appello), che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente (o l'appellante), al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l'avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purché nell'avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall'ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario. Solo in tal caso, infatti, l'avviso di ricevimento è idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione; invece, in loro mancanza, la non idoneità della mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull'avviso di ricevimento può essere superata, ai fini della tempestività della notifica del ricorso (o dell'appello), unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall'agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l'impugnazione dell'atto (o della sentenza).

Domanda di adempimento e di arricchimento senza causa

Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 13 agosto 2018, n. 22404

È ammissibile la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 cod. civ. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quella inizialmente formulata.

Sull’attestazione di conformità della sentenza impugnata

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 25 settembre 2018, n. 22757 (rel. M. Di Marzio)

Qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l'onere di deposito della copia autentica della decisione con la relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi dell'art. 9, commi 1 bis e 1 ter, 1. n. 53 del 1994, e depositare nei termini quest'ultima presso la cancelleria della S.C., mentre non è necessario provvedere anche al deposito di copia autenticata della sentenza estratta dal fascicolo informatico (cfr. Cass. 22 dicembre 2017, n. 30765).
Con riguardo al ricorso per cassazione notificato a mezzo posta elettronica certificata, la mancanza della attestazione di conformità ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, I. n. 53 del 1994, ne comporta l'improcedibilità rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 369 c.p.c. (v. Cass. 22 dicembre 2017, n. 30918, concernente ricorso redatto telematicamente, il cui principio va applicato però anche al ricorso reparto in forma analogica ma notificato via pec).

Utilizzabili nel giudizio civile gli atti dell’indagine penale e la sentenza di patteggiamento

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 25 settembre 2018, n. 22580 (rel. P. Gianniti)

Nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, così come delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (Sez. 2 - , Sentenza n. 1593 del 20/01/2017).
La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione; detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall'efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova nel corrispondente giudizio di responsabilità in sede civile, atteso che in tal caso l'imputato non nega la propria responsabilità e accetta una determinata condanna, chiedendone o consentendone l'applicazione, il che sta univocamente a significare che il medesimo ha ritenuto di non contestare il fatto e la propria responsabilità. (Sez. L - , Sentenza n. 30328 del 18/12/2017).

Nuovi principi delle S.U. sulla procedibilità del ricorso per Cass. notificato a mezzo pec

Cass. Civ., SS.UU., sentenza 24 settembre 2018, n. 22438 (rel. E. Vincenti)

Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, I. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l'improcedibilità ai sensi dell'art. 369 c.p.c. sia nel caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica di detto ricorso autenticata dal proprio difensore, sia in quello in cui, ai sensi dell'art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005, non ne abbia disconosciuto la conformità all'originale notificatogli.
Anche ai fini della tempestività della notificazione del ricorso in originale telematico sarà onere del controricorrente disconoscere la conformità agli originali dei messaggi di p.e.c. e della relata di notificazione depositati in copia analogica non autenticata dal ricorrente.
Ove, poi, il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato, il ricorrente potrà depositare, ai sensi dell'art. 372 c.p.c. (e senza necessità di notificazione ai sensi del secondo comma della medesima disposizione), l'asseverazione di conformità all'originale (ex art. 9 della legge n. 53 del 1994) della copia analogica depositata sino all'udienza di discussione (art. 379 c.p.c.) o all'adunanza in camera di consiglio (artt. 380 bis, 380 bis.1 e 380 ter c.p.c.). In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile.
Nel caso in cui il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale depositi il controricorso e disconosca la conformità all'originale della copia analogica informe del ricorso depositata, sarà onere del ricorrente, nei termini anzidetti (sino all'udienza pubblica o all'adunanza di camera di consiglio), depositare l'asseverazione di legge circa la conformità della copia analogica, tempestivamente depositata, all'originale notificato. In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile.
Nell'ipotesi in cui vi siano più destinatari della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale e non tutti depositino controricorso, il ricorrente - posto che il comportamento concludente ex art. 23, comma 2, c.a.d. impegna solo la parte che lo pone in essere - sarà onerato di depositare, nei termini sopra precisati, l'asseverazione di cui all'art. 9 della legge n. 53 del 1994. In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile.

Le Sezioni Unite: la claims made è riconducibile al contratto assicurativo tipico di cui all’art. 1917 c.c.

Cass. Civ., SS.UU., sentenza 24 settembre 2018, n. 22437 (rel. E. Vincenti)

Il modello dell'assicurazione della responsabilità civile con clausole "on claims made basis", che è volto ad indennizzare il rischio dell'impoverimento del patrimonio dell'assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell'assicurazione contro i danni, quale deroga consentita al primo comma dell'art. 1917 c.c., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all'assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell'art. 1322, secondo comma, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell'attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell'adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro).