La dichiarazione di inammissibilità non è impugnabile per eventuali statuizioni sul merito

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 2 agosto 2018, n. 20448

Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della "potestas iudicandi" in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l'onere né l'interesse ad impugnare; conseguentemente é ammissibile l'impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta "ad abundantiam" nella sentenza gravata.

Regolamento di competenza dopo la riassunzione

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 2 agosto 2018, n. 20445

ll giudice indicato come competente da quello originariamente adito, ed innanzi al quale la causa sia stata riassunta, può richiedere d'ufficio il regolamento di competenza non oltre la prima udienza di trattazione, senza che possa limitarsi al rilievo della questione richiedendo il regolamento dopo la concessione dei termini di cui all'art. 183 cod. proc. civ., salvo che debba svolgere attività processuali, come assumere sommarie informazioni, strettamente funzionali alla valutazione sul se elevare il conflitto di competenza, nel qual caso la richiesta del regolamento deve seguire senza soluzione di continuità le dette attività processuali.

Medici specializzandi: non sussiste il diritto ad un adeguamento della retribuzione per i medici ante 2006/2007

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 1 agosto 2018, n. e 20380; Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 1 agosto 2018, n. 20377

Gli obblighi di attuazione della normativa comunitaria in tema di adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia derivanti dalle direttive CE n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 - che non prevedono una precisa misura del compenso minimo spettante agli specializzandi - devono ritenersi adempiuti dallo Stato italiano con la borsa di studio introdotta dal decreto legislativo n. 257 del 1991, nella sua misura originaria; la direttiva comunitaria n. 93/16 non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della suddetta adeguata remunerazione. La previsione di un trattamento economico più elevato per i medici specializzandi, a decorrere dall'anno accademico 2006/2007, in coincidenza con la riorganizzazione dell'ordinamento delle scuole di specializzazione e con l'introduzione del contratto di formazione specialistica operate nell'ordinamento interno con il decreto legislativo n. 368 del 1999, non costituisce il primo atto di adempimento dei suddetti obblighi comunitari in relazione all'adeguatezza della remunerazione, e non comporta alcun obbligo dello Stato di estendere il nuovo trattamento economico ai medici che hanno frequentato le scuole di specializzazione negli anni accademici anteriori al 2006/2007.

Il deposito dell’avviso di ricevimento del plico e non della ricevuta di spedizione non comporta l’inammissibilità del ricorso o dell’appello

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 1 agosto 2018, n. 20410

Non costituisce motivo d'inammissibilità del ricorso o dell'appello, che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente o l'appellante, al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l'avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purché nell'avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall'ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario, solo in tal caso, essendo l'avviso di ricevimento idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione, laddove, in mancanza, la non idoneità della mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull'avviso di ricevimento può essere superata, ai fini della tempestività della notifica del ricorso o dell'appello, unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall'agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l'impugnazione dell'atto o della sentenza.

TFR: retroattività degli effetti patrimoniali della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio a far data dalla domanda

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 22 marzo 2018, n. 7239 (rel. A. Valitutti)

L'espressione, contenuta nell'art. 12-bis della legge 1 0 dicembre 1970, n. 898, secondo cui il coniuge ha diritto alla quota del trattamento di fine rapporto anche se questo «viene a maturare dopo la sentenza» implica che tale diritto deve ritenersi attribuibile anche ove il trattamento di fine rapporto sia maturato prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, quando invero ancora non possono esservi soggetti titolari dell'assegno divorzile, divenendo essi tali dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio ovvero di quella, ancora successiva, che lo abbia liquidato; infatti, poiché la «ratio» della norma è quella di correlare il diritto alla quota di indennità, non ancora percepita dal coniuge cui essa spetti, all'assegno divorzile, che in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorché di regola venga costituito e divenga esigibile solo con il passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, ne deriva che, indipendentemente dalla decorrenza dell'assegno di divorzio, ove l'indennità sia percepita dall'avente diritto dopo la domanda di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell'assegno è riconnessa l'attribuzione del diritto alla quota di T.F.R.

L’adottato ha diritto di conoscere l’identità dei fratelli

Cass. Civ., sez. I, sentenza 20 marzo 2018, n. 6963 (rel. M. Acierno)

L'adottato ha diritto, nei casi di cui all'art. 28, c.5., l. n. 184 del 1983, di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti, non solo l'identità dei propri genitori biologici, ma anche quella delle sorelle e fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all'accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell'esercizio del diritto.

Unitarietà dell’accertamento e integrazione del contraddittorio

Cass. Civ., Sez. V, ordinanza 30 luglio 2018, n. 20124

In materia tributaria, l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all'art. 5 d.P.R. 22/12/1986 n. 917 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci - salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 14 d.lgs. 546/92 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio e la statuizione vale anche in tema di Irap.

Non è contumace la parte che compare in udienza dopo la riassunzione del giudizio interrotto

Cass. Civ., sez. II, ordinanza 26 luglio 2018, n. 19835 (rel. Besso Marcheis)

In tema di riassunzione del processo interrotto, i soggetti già costituiti nella fase precedente all'interruzione, i quali, a seguito della riassunzione ad opera di altra parte, si presentino all'udienza a mezzo del loro procuratore, non possono essere considerati contumaci, ancorché non abbiano depositato nuova comparsa di costituzione, atteso che la riassunzione del processo interrotto non dà vita ad un nuovo processo, diverso ed autonomo dal precedente, ma mira unicamente a far riemergere quest'ultimo dallo stato di quiescenza in cui versa.

Requisito della esposizione sommaria dei fatti: in mancanza il ricorso per Cassazione è inammissibile

Cass. Civ., sez. V, ordinanza 26 luglio 2018, n. 19806 (rel. L. Rubino)

Per soddisfare il requisito imposto dall'articolo 366 comma primo n. 3 cod. proc. civ. è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l'indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata. Ciò al fine di garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata.

La compensazione delle spese – Accoglimento parziale

Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 26 luglio 2018, n. 19846

Nel regime anteriore a quello introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a) della legge 28 dicembre 2005 n. 263 (nella specie applicabile ratione temporis), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese "per giusti motivi", doveva unicamente trovare un adeguato supporto motivazionale, purché le ragioni giustificatrici dello stesso fossero chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito). Ne consegue che doveva ritenersi assolto l'obbligo del giudice anche allorché le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contenessero in sé considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come - a titolo meramente esemplificativo - nel caso in cui si desse atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l'interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali (Cass. Sez. Un., 30 luglio 2008, n. 20598). Nella specie, la Corte d'Appello avendo motivato la compensazione tra le parti delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio sulla base della "sproporzione tra chiesto e pronunciato", ha di fatto regolato le stesse in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda proprio sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi (art. 92, comma 2, c.p.c.). A tale fine, la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, tanto allorché quest'ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (Cass. Sez. III, 22 febbraio 2016, n. 3438). La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un'esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. Sez. II, 31 gennaio 2014, n. 2149).