Danno intermittente (danno da premorienza): per la liquidazione deve tenersi conto della vita effettivamente vissuta

Tribunale di Catania, sez. V, sentenza 26 novembre 2020, n. 3955 (g. F. Cardile)

In via generale, per il danno biologico intermittente non può trovare applicazione il criterio risarcitorio normalmente utilizzato per la liquidazione del danno alla persona nell’ipotesi in cui il danneggiato sia ancora in vita (ovvero il sistema tabellare in uso al Tribunale di Milano, parametro di riferimento per la maggior parte dei Tribunali) poiché esso si basa sull’astratta previsione di vita media del soggetto (danno futuro), mentre nel caso di specie, ove il danneggiato è deceduto per causa indipendente dalla lesione, si dovrà adottare un criterio che circoscriva la liquidazione al lasso di tempo trascorso tra la lesione e la morte (danno passato).
Più precisamente, la difficoltà alla base dell'utilizzo del sistema tabellare ordinario per la liquidazione del danno cd. intermittente risiede nel fatto che detto criterio di liquidazione considera il fattore anagrafico come elemento significativo per calcolare l'aspettativa di vita, aspettativa che è considerata in relazione ad un evento (il decesso) ancora incerto; ciò perché il punto percentuale di invalidità tabellare viene calcolato anche sul presupposto che la persona danneggiata sia ancora in vita.
Quando, però, il danneggiato muore prima che gli sia stato liquidato il risarcimento, la durata della vita è nota, non costituendo più un dato incerto e presunto (sulla base della mortalità media della popolazione), ma un dato reale: ne consegue che il giudice, nel procedere alla liquidazione del danno intermittente, deve tenere conto non della vita media futura presumibile della vittima, ma della vita effettivamente vissuta. Chiarito ciò, questo giudice ritiene condivisibili i criteri liquidatori e le considerazioni poste a fondamento della specifica tabella "danno intermittente" del tribunale di Milano, perchè tengono conto da un lato della durata effettiva della vita del soggetto danneggiato e, dall'altro, della circostanza che la sofferenza soggettiva di chi subisce una lesione di tipo permanente è maggiore nei primi anni e decresce nel tempo per poi stabilizzarsi (consentendo altresì una personalizzazione della somma riconosciuta – con aumenti fino al 50% - all’esito della valutazione di tutte le circostanze del caso concreto).

Procedibile l’azione risarcitoria se la richiesta arriva a mezzo fax

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 23 dicembre 2020, n. 29464 (rel. Moscarini)

La domanda risarcitoria è procedibile qualora inoltrata con strumenti diversi dalla raccomandata, tra cui il fax. In particolare, l'equipollenza tra diversi strumenti di comunicazione della domanda risarcitoria deve ritenersi possibile nel caso in cui la diversa modalità di comunicazione consenta di provare l'avvenuta ricezione da parte del destinatario.
Nel caso di specie, la ricezione in astratto della domanda risarcitoria a mezzo fax potrebbe ritenersi provata perché non contestata e perché, comunque, ammessa da difese della compagnia logicamente compatibili con la ritenuta ricezione della richiesta risarcitoria.

Domanda improponibile per violazione art. 148 C.d.A. – Veicolo non messo a disposizione

Giudice di Pace di Crotone, sentenza 8 gennaio 2021, n. 11 (g. R.A. Nigro)

La domanda di risarcimento danni da sinistro stradale è improponibile ex art. 148 C.d.A. se non contiene indicazione del luogo, giorno e ora in cui il veicolo è a disposizione per gli accertamenti del caso, ovvero, nel caso in cui il veicolo sia stato già riparato, se mancano prove relative alla riparazione e/o documentazione fotografica attestante i danni lamentati.

Danni da cose in custodia – Animali selvatici

Tribunale di Reggio Emilia, sez. II, sentenza 30 luglio 2020, n. 817 (giud. G. Morlini)

La responsabilità per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata non già ex art. 2052 c.c., essendo lo stato di libertà della selvaggina incompatibile con l’obbligo di custodia; bensì ex art. 2043 c.c., valutando se nel caso concreto vi sia stata la violazione di un precetto che imponeva alla PA di tenere una determinata condotta di cautela, all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che trovino la fonte in una delega o concessione di altro ente.
La normativa regionale dell’Emilia Romagna prevede che dal 1/1/2016 le funzioni di gestione e amministrazione della fauna selvatica siano in capo alla Regione Emilia Romagna, non già alle Province.

Resp. Medica – Nesso di causalità materiale e giuridica – Onere probatorio

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 26 novembre 2020, n. 26907 (rel. Positano)

Nelle obbligazioni di "facere professionale", a differenza che nelle altre obbligazioni, la causalità materiale (e cioè il nesso tra condotta ed evento) non è assorbita dall'inadempimento; l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove malattie, così come la perdita della causa nel caso dell'avvocato, possono non dipendere dalla violazione delle leges artis, ed avere invece una diversa eziologia; è onere, quindi, del creditore (nel caso di specie, il paziente danneggiato) provare, anche attraverso presunzioni, la sussistenza del nesso causale tra inadempimento (condotta del sanitario in violazione delle regole di diligenza) ed evento dannoso (aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuova malattia, cioè lesione della salute); è quindi onere del detto creditore provare il nesso di causalità materiale, in quanto detto nesso (ove venga allegato l'evento dannoso in termini di aggravamento della patologia preesistente o di insorgenza della nuova malattia) è elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio;
il creditore cioè deve allegare l'inadempimento (e cioè la negligenza del sanitario ), ma deve provare sia l'evento dannoso (e le conseguenze che ne sono derivate; c.d. causalità giuridica) sia il nesso causale tra condotta del sanitario nella sua materialità (e cioè a prescindere dalla negligenza) ed evento dannoso.
Una volta che il creditore (paziente) abbia soddisfatto detti oneri, è successivo onere del debitore (sanitario o struttura) provare o di avere esattamente adempiuto o che l'inadempimento sia dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè o di avere svolto l'attività professionale con la diligenza richiesta (tenendo presente che, ai sensi dell'art. 2236 cc "se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave"), oppure che sia intervenuta una causa esterna, imprevedibile o inevitabile (che abbia reso impossibile il rispetto delle leges artis).
Di conseguenza, se resta ignota la causa dell'evento dannoso (e cioè se il creditore non riesce a provare, neanche attraverso presunzioni, che l'evento dannoso - l'aggravamento della patologia preesistente o l'insorgenza di una nuova patologia- sia in nesso causale con la condotta del sanitario), le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore medesimo, che ne aveva il relativo onere; se, invece, resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della diligenza professionale (ovvero, come detto, resta indimostrata l'imprevedibilità o l'inevitabilità di tale causa di impossibilità), le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore.

Danni da emotrasfusioni: necessaria la prova della trasfusione

Cass. Civ., sez. Lav., ordinanza 29 dicembre 2020, n. 29766 (rel. I. Tricomi)

In tema di responsabilità extracontrattuale per danno causato da attività pericolosa da emotrasfusione, la prova, che grava sull'attore danneggiato, del nesso causale intercorrente tra la specifica trasfusione ed il contagio da virus HCV, può essere fornita - ove risulti provata l'idoneità di tale condotta a provocare il contagio - anche con il ricorso alle presunzioni, in difetto di predisposizione (o anche solo di produzione in giudizio), da parte della struttura sanitaria, della documentazione obbligatoria sulla tracciabilità del sangue trasfuso al singolo paziente, e ciò in applicazione del criterio della vicinanza della prova (cfr. Cass. n. 5961 del 2016).
L'applicazione dei suddetti principi, tuttavia, ha come necessario presupposto la prova, sia pure presuntiva, dell'effettuazione della trasfusione (circostanza che nella specie non risultava dalla cartella clinica, e rispetto alla quale il contenuto della prova per testi è stato ritenuto dalla Corte d'Appello non decisivo in relazione alle risultanze della documentazione sanitaria).
In particolare, ai fini del sorgere del diritto all'indennizzo previsto in favore di coloro che presentino danni irreversibili derivanti da epatiti posttrasfusionali dall'art. 1, comma terzo, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, la prova a carico dell'interessato ha ad oggetto l'effettuazione della terapia trasfusionale, il verificarsi dei danni anzidetti e il nesso causale tra i primi e la seconda, da valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica (cfr. Cass., n. 27471 del 2017).