Consenso informato – Diritto di autodeterminazione: il danno non è in re ipsa – Oneri probatori

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 23 marzo 2021, n. 8163 (rel. A. Moscarini)

In tema di responsabilità professionale del medico, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un'adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute" (Cass., 3, n. 2847 del 9/2/2010; Cass., 3, n. 2998 del 16/2/2016; Cass. 3, n. 26827 del 14/11/2017).
Sul punto, la giurisprudenza della Suprema Corte è del tutto consolidata nel senso di configurare il diritto all'autodeterminazione quale diritto autonomo e distinto rispetto al diritto alla salute e nell'individuarne il fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost. (Cass., 3, n. 28985 del 11/11/2019; Cass., 3, n. 16892 del 25/6/2019; Cass., 3, n. 19199 del 19/7/2018; Cass., 3, n. 17022 del 28/6/2018), ma è altresì consolidata nel richiedere un giudizio controfattuale su quale sarebbe stata la scelta del paziente ove fosse stato correttamente informato atteso che, se avesse prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento, la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute determinata dalla successiva errata esecuzione della prestazione professionale, mentre, se egli avesse negato il consenso, il danno biologico scaturente dalla inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile "ab origine" alla violazione dell'obbligo informativo e concorrerebbe unitamente all'errore relativo alla prestazione sanitaria alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno conseguenza (Cass., 3, n. 28985 del 11/11/2019).
La giurisprudenza è in particolare consolidata nel senso di ritenere che le conseguenze dannose derivanti dal diritto all'autodeterminazione debbano essere debitamente allegate dal paziente tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della vicinanza della prova) essendo il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico, eventualità non rientrante nell'id quod plerunque accidit; al riguardo la prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compreso il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile "in re ipsa" (Cass., 3, n. 28985 dell'11/11/2019; Cass., 3, n. 20885 del 22/8/2018; Cass., 3, n. 2369 del 31/1/2018; Cass., 3, n. 2998 del 16/2/2016).

Il terzo non può eccepire l’irritualità della chiamata in causa

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 1 aprile 2021, n. 9132 (rel. F. Fiecconi)

Il terzo, chiamato in causa su istanza di parte, non può eccepirne l'irritualità per mancata osservanza delle prescrizioni stabilite dall'art. 269, secondo comma, cod. proc. civ., essendo al riguardo carente di interesse, atteso che il suo interesse a far valere questioni relative al rapporto processuale originario è correlato esclusivamente alla correttezza della decisione in merito o in rito su di esso e non anche alla stessa ritualità della chiamata in giudizio. Del resto, il rigore dell'art 269 cod. proc. civ. - nella parte in cui esso dispone che la chiamata in cauta del terzo avvenga mediante citazione a comparire nella prima udienza o in altra udienza all'uopo disposta dal giudice - non può portare alla disapplicazione del precedente articolo 268, il quale ammette l'intervento volontario del terze finché la causa non sia rimessa dall'istruttore al collegio; difatti nulla vieta ci e il terzo, il quale sia stato chiamato in causa tardivamente, possa validamente accettare il contraddittorio, aderendo allo stato in cui la causa si trova, in tal caso la partecipazione del terzo alla lite, pur essendo stata provocata da una delle parti, deve considerarsi rituale sotto il profilo dell'intervento volontario». Sez. 2, Sentenza n. 1136 del 23/3/1977; in senso conforme, Sez. 2, Sentenza n. 4680 del 18/10/1978).

Danno da perdita del rapporto parentale: escluso il danno esistenziale

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 26 marzo 2021, n. 8622 (rel. D. Sestini)

In virtù del principio di unitarietà e onnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, deve escludersi che al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito di un terzo possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale che il danno esistenziale, poiché il primo già comprende lo sconvolgimento dell'esistenza, che ne costituisce una componente intrinseca (Cass. n. 30997/2018, conforme a Cass. n. 25351/2015), atteso che, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, in assenza di lesione alla salute, ogni "vulnus" arrecato ad altro valore costituzionalmente tutelato va valutato ed accertato, all'esito di compiuta istruttoria, in assenza di qualsiasi automatismo, sotto il duplice aspetto risarcibile sia della sofferenza morale che della privazione, ovvero diminuzione o modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente esplicate dal danneggiato, cui va attribuita una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (Cass. n. 23469/2018).

Responsabilità degli amministratori: inoperatività della polizza in caso di dolo – rigetto manleva

Tribunale di Palermo, sez. V civ., sentenza 30 ottobre 2020, n. 3545 (rel. R. Monfredi)

Va rigettata la domanda di manleva proposta dal convenuto amministratore della società nei confronti della compagnia assicuratrice. Per un verso, infatti, va rilevato che le conseguenze connesse alla carica di amministratore di società sono esplicitamente escluse dal rischio garantito (art. 7.3 condizioni generali polizza) e, per altro verso, va evidenziata la natura dolosa dei fatti fonte di responsabilità, con conseguente applicabilità dell’ultimo inciso del comma 1^ dell’art. 1917 c.c. (assicurazione della responsabilità civile) che esplicitamente statuisce: “sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi”.
Posto che la questione attiene all’individuazione dell’oggetto del contratto e dunque non è un’eccezione in senso proprio (cfr. ex multis Cass. sez. III civ. n. 18742/19) e che l’accertamento del dolo in sede civile è autonomo rispetto a quello penale e prescinde anche dall’effettiva celebrazione del processo penale (cfr. Cass. sez. III civ. nn. 26505/09 e 7242/05), ritiene il collegio che, nel caso di specie, la circostanza che l’autore delle condotte distrattive ne sia anche il beneficiario diretto o indiretto unitamente ai propri fratelli e/o a società a loro riconducibili elida ogni dubbio in ordine al carattere doloso delle stesse.

Perdita del rapporto parentale: Tabelle di Milano e personalizzazione nella misura minima

Cass. Civ., sez. III, sentenza 18 marzo 2021, n. 7770 (rel. E. Scoditti)

Nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale - diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all'integrità psico-fisica - le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale; tuttavia, qualora il giudice scelga di applicare i predetti parametri tabellari, la personalizzazione del risarcimento non può discostarsi dalla misura minima ivi prevista senza dar conto nella motivazione di una specifica situazione, diversa da quelle già considerate come fattori determinanti la divergenza tra il minimo e il massimo, che giustifichi la decurtazione (Cass. 14 novembre 2019, n. 29495; 29 maggio 2019, n. 14746).

Danno biologico: comprende invalidità temporanea e permanente, nonché il danno estetico

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 12 marzo 2021, n. 7126 (rel. A. Tatangelo)

La liquidazione del danno biologico deve tener conto della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente; quest'ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi, mentre, ai fini della liquidazione del danno da invalidità temporanea, laddove il danneggiato si sia dovuto sottoporre a periodi di cure, necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto dannoso e/o impedire il suo aumento, gli va riconosciuto un danno da inabilità temporanea totale o parziale per tali periodi, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto, dovendosi inoltre tenere anche conto nella liquidazione complessiva del danno non patrimoniale delle relative sofferenze morali soggettive, eventualmente da egli patite negli indicati periodi.

La pretesa di ottenere una separata liquidazione del danno estetico è infondata in diritto, in virtù del principio di omnicomprensività e della necessaria liquidazione unitaria del danno biologico non patrimoniale: il danno estetico non può essere considerato una voce di danno a sé, aggiuntiva ed ulteriore rispetto al danno biologico, salve circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, circostanze nella specie non ricorrenti e comunque non adeguatamente e specificamente allegate (cfr., ex multis, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14246 del 08/07/2020; Sez. 3, Sentenza n. 20630 del 13/10/2016 Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 21716 del 23/09/2013; Sez. 3, Sentenza n. 11950 del 16/05/2013; Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008; Sez. 3, Sentenza n. 7492 del 27/03/2007).

Claims made: valida se prevede postuma di un anno

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 15 marzo 2021, n. 8526 (rel. E. Iannello)

In conformità ai principi di cui alla pronuncia delle S.U. n. 22437 del 2018, deve ritenersi valida e non vessatoria la clausola claims made che prevede una postuma di un anno. Nel caso di specie, appare ridotta la possibilità che si crei una scopertura della garanzia per parte del periodo per il quale è stata stipulata l'assicurazione e, verosimilmente, è stato pagato il premio: sia perché non esclude totalmente le richieste di risarcimento postume rispetto alla scadenza del contratto (essendo consentite quelle avanzate nell'anno successivo alla cessazione del contratto); sia perché detto ultimo termine è da ritenersi congruo anche in relazione alla durata triennale del rapporto assicurativo» (v. Cass. 09/07/2019, n. 18413).

Il domicilio digitale prevale su ogni altra forma di domiciliazione

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 24 marzo 2021, n. 8262 (rel. M. Falaschi)

A seguito dell'istituzione del cd. "domicilio digitale", le notificazioni indirizzate alla parte che ne possegga uno, o che comunque ne indichi uno nell'ambito di un processo civile, devono essere eseguite con preferenza presso di esso.
Prevale, infatti, il cd. "domicilio digitale" su ogni altra forma di domiciliazione prevista dalla legge, a meno che l'interessato non abbia dichiarato espressamente di voler eleggere domicilio, oltreché presso il suo recapito digitale, anche presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario di fronte al quale penda la lite, ovvero nel caso in cui la notifica presso il domicilio digitale non sia stata in concreto possibile a causa dell'inaccessibilità dell'indirizzo di posta elettronica per causa imputabile al destinatario (come, ad esempio, nel caso della cd. "casella piena": Cass.11 febbraio 2020 n. 3164).

Insidia – Macchia d’olio – Esclusa responsabilità della P.A.

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 11 marzo 2021, n. 6826 (rel. Scarano)

La P.A. rimane liberata dalla responsabilità ex art. 2051 c.c. in relazione ai beni demaniali ove fornisca la prova liberatoria che l'evento è stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero che abbia esplicato la sua potenzialità offensiva prima che, con la diligenza richiesta dallo specifico caso concreto, fosse possibile l'intervento riparatore dell'ente custode ( cfr. Cass., 9/3/2020, n. 6651; Cass., 18/6/2019, n. 16295; Cass., 19/3/2018, n. 6703 ), e cioè allorquando, in caso di repentina e imprevedibile alterazione dello stato della strada e delle sue pertinenze, l'evento dannoso si sia verificato prima che l'ente proprietario abbia potuto rimuovere, nonostante l'attività di controllo espletata con diligenza per tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile condizione di pericolo determinatasi ( cfr., da ultimo, Cass., 10/6/2020, n. 11096. Cfr. altresì, con riferimento a diversa fattispecie, Cass., 5/5/2020, n. 8466).
Nel caso di specie, il motociclista era caduto a causa di una macchia d'olio rilasciata sulla carreggiata da un veicolo pochissimo tempo prima del sinistro. Sicché è pacificamente escluso che la cadenza temporale tra il rilascio della sostanza viscida ed il verificarsi del sinistro potesse consentire all'Amministrazione competente un qualsivoglia intervento a salvaguardia dell'incolumità e sicurezza del traffico veicolare.

Pedone – Concorso

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 9 marzo 2021, n. 6514 (rel. C. Valle)

Secondo l'interpretazione giurisprudenziale corrente l'art. 2054, comma 1, cod. civ. pone a carico del conducente del veicolo una presunzione, suscettibile di prova contraria, di colpa.
Nel caso di specie la Suprema Corte conferma la decisione del giudice di secondo grado, che ha compiutamente effettuato il giudizio di comparazione della colpa, pervenendo alla conclusione, esaustivamente e logicamente motivata sulla base delle risultanze di causa, che il pedone investito diede parzialmente causa all'investimento, in quanto: «...in violazione della regole di comportamento secondo il codice della strada, senza accertarsi di poter completare il percorso in condizioni di sicurezza, attraversava inopinatamente fuori dalle strisce, non controllando all'istante la luce semaforica e concorrendo, con la sua condotta alla produzione del sinistro, con l'effetto di attenuare la responsabilità del primo».