Se e quando risarcire i danni da perdita anticipata della vita e perdita di chance di sopravvivenza

Cass. Civ., sez. III, sentenza 19 settembre 2023, n. 26851

Nel caso di perdita anticipata della vita (una vita che sarebbe comunque stata perduta per effetto della malattia) sarà risarcibile il danno biologico differenziale (nelle sue due componenti, morale e relazionale: art. 138 nuovo testo c.a.p.), sulla base del criterio causale del "più probabile che non": l'evento morte della paziente, verificatasi in data X, si sarebbe verificata, in assenza dell'errore medico, dopo il tempo (certo) X+Y, dove Y rappresenta lo spazio temporale di vita non vissuta: il risarcimento sarà riconosciuto, con riferimento al tempo di vita effettivamente vissuto - e non a quello non vissuto, che rappresenterebbe un risarcimento del danno da morte (riconoscibile, viceversa, iure proprio, ai congiunti) stante l'irrisarcibilità del danno tanatologico - in tutti i suoi aspetti, morali e dinamico-relazionali, intesi tanto sotto il profilo della (eventuale) consapevolezza che una tempestiva diagnosi e una corretta terapia avrebbero consentito un prolungamento (temporalmente determinabile) della vita che va a spegnersi, quanto sotto quello della invalidità permanente "differenziale" (la differenza, cioè, tra le condizioni di malattia effettivamente sopportate e quelle, migliori, che sarebbero state consentite da una tempestiva diagnosi e da una corretta terapia).
Il danno da perdita di chance di sopravvivenza sarà invece risarcito, equitativamente, una volta che, da un lato, vi sia incertezza sull'efficienza causale della condotta illecita quoad mortem, ma, al contempo, vi sia certezza eziologica che la condotta colpevole abbia cagionato la perdita della possibilità di vivere più a lungo (possibilità non concretamente accertabile nel quantum né predicabile quale certezza nell'an, a differenza che nell'ipotesi precedente. La valutazione equitativa di tale risarcimento non sarà, dunque, parametrabile, sia pur con le eventuali decurtazioni, né ai valori tabellari previsti per la perdita della vita, né a quelli del danno biologico temporaneo.
Il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance di sopravvivenza, di regola, non saranno né sovrapponibili né congiuntamente risarcibili, pur potendo eccezionalmente costituire oggetto di separata ed autonoma valutazione qualora l'accertamento si sia concluso nel senso dell'esistenza di un danno tanto da perdita anticipata della vita, quanto dalla possibilità di vivere ancora più a lungo, qualora questa possibilità non sia quantificabile temporalmente, ma risulti seria, concreta e apprezzabile, e sempre che entrambi i danni siano riconducibili eziologicamente alla condotta colpevole dell'agente.

Resp. da provvedimento illegittimo della P.A.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 4 settembre 2023, n. 8149

In materia di responsabilità aquiliana della P.A. da provvedimento amministrativo illegittimo, la responsabilità non consegue automaticamente all’annullamento del provvedimento amministrativo (ovvero all’accertamento della sua illegittimità) in sede giurisdizionale, occorrendo la prova che dalla colpevole condotta amministrativa sia derivato, secondo un giudizio di regolarità causale, un pregiudizio direttamente riferibile all’assunzione o all’esecuzione della determinazione contra ius, lesiva del bene della vita spettante alla parte ricorrente. La normativa che consente – doverosamente – di limitare o di escludere la pretesa risarcitoria (artt. 1227 c.c. e 30 c.p.a.) non può condurre a denegare, in concreto, in ogni caso, l’esistenza stessa di quella cognizione, che rende la tutela del g.a. effettiva, piena e satisfattiva.

Lesione della capacità lavorativa generica: può costituire danno patrimoniale da lucro cessante

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 15 settembre 2023, n. 26641 (rel. C.C. Rossello)

Al danneggiato vanno risarciti non solo i danni patrimoniali subiti in ragione della derivata incapacità di continuare ad esercitare l'attività lavorativa prestata all'epoca del verificarsi del medesimo (danni da incapacità lavorativa specifica) ma anche gli eventuali danni patrimoniali ulteriori, derivanti dalla perdita o dalla riduzione della capacità lavorativa generica, allorquando il grado di invalidità del danneggiato non consenta al medesimo la possibilità di attendere (anche) ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell'infortunato, idonei alla produzione di fonti di reddito. In tale ipotesi l'invalidità subita dal danneggiato in conseguenza del danno evento lesivo si riflette infatti comunque in una riduzione o perdita della sua capacità di guadagno, da risarcirsi sotto il profilo del lucro cessante.

Danni da emotrasfusione – Oneri probatori

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 7 settembre 2023, n. 26091 (rel. I. Ambrosi)

In tema di danno da infezione trasfusionale, è onere della struttura sanitaria dimostrare che, al momento della trasfusione, il paziente fosse già affetto dall'infezione di cui domanda il risarcimento. E' altresì onere della struttura sanitaria allegare e dimostrare di avere rispettato, in concreto, le norme giuridiche, le leges artis e i protocolli che presiedono alle attività di acquisizione e perfusione del plasma.

La percentuale di invalidità (d. biologico) non può coincidere con la contrazione dei guadagni (d. patrimoniale)

Cass. Civ., sez. III, sentenza 6 settembre 2023, n. 26009 (rel. G. Cricenti)

Ai fini del risarcimento per la perdita della capacità lavorativa, il criterio secondo cui la contrazione di reddito del danneggiato è equivalente alla invalidità subita è artificioso, non ha alcun fondamento, né ovviamente normativo, né logico, ben potendo una invalidità lieve comportare una grossa contrazione dei guadagni, e viceversa, a seconda del tipo di invalidità.
Non c'è alcuna corrispondenza esatta tra entità del danno biologico ed entità del danno patrimoniale da esso causato: un danno biologico di lieve entità se interessa, ad esempio, un arto decisivo per il lavoro (la mano per lo scalpellino) ha un'incidenza assai maggiore di una lesione di grave entità che però non incide sulla capacità di lavoro del danneggiato (la zoppia per un lavoratore intellettuale), cosi che il criterio si dimostra del tutto inadeguato a garantire l'integralità del risarcimento come imposta dal sistema delle fonti (1223 e 2056 c.c.).

In vigore i nuovi criteri per la redazione degli atti con i relativi limiti dimensionali

Ministero della Giustizia - Decreto 7 agosto 2023 n. 110 in Gazzetta Ufficiale n. 187/2023
Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell'articolo 46 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile.

Si segnalano, in particolare, i limiti dimensionali imposti dal Ministero della Giustizia:

Pubblicato l’elenco delle banche dati cui può accedere l’ufficiale giudiziario per la ricerca dei beni da pignorare

Ministero della Giustizia 21 agosto 2023 - Elenco banche dati accessibili ex art. 492 bis c.p.c.

A norma dell’art. 155 quater u.c. disp. att. c.p.c., ultimo periodo, si dichiara operativo con valore legale, a decorrere dal 22 agosto 2023, l’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario alle seguenti banche dati dell’Agenzia delle Entrate, attraverso il Sistema di Interscambio flussi Dati (SID):
a) Dichiarazioni dei Redditi e Certificazione unica;
b) atti del Registro;
c) archivio dei Rapporti finanziari.
Nel periodo inziale di avvio del servizio, per alcuni Uffici Notificazioni, Esecuzioni e Protesti (UNEP) potrebbero essere ancora in via di completamento le procedure amministrative di iscrizione a SID, propedeutiche all’effettiva fruibilità del collegamento. In tal caso si procederà a norma dell’art. 155- quinquies disp. att. c.p.c.

Danno morale – Liquidazione – Criteri

Cass. Civ., sez. III, ordinanza 20 luglio 2023, n. 21630 (rel. M. Gorgoni)

Il giudice di merito, nel determinare l'ammontare del danno alla persona in base al sistema "tabellare", ha due obblighi: a) utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione, se questi sono mutati nelle more del giudizio, in quanto liquidare il danno sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall'art. 1226 c.c.; b) liquidare l'obbligazione risarcitoria (in quanto obbligazione di valore) all'attualità, con applicazione pertanto le tabelle nel loro valore aggiornato.
Il giudice che determini l'entità del danno servendosi delle tabelle milanesi (il cui valore del punto comprenda la liquidazione del danno morale) ha in realtà già tenuto - sia pur implicitamente - conto, avuto riguardo agli importi in concreto liquidati, sia del danno biologico che del danno morale (ex multis cfr. da ultimo Cass. 17/02/2023, n. 5119).
Il ricorso alle presunzioni per accertare in concreto e non in astratto la ricorrenza del danno morale è direttamente proporzionale alla entità ed al tipo di lesioni, "attesa la ragionevole e intuibile idoneità di fatti lesivi di significativa ed elevata gravità a provocare forme di sconvolgimento o di debordante devastazione della vita psicologica individuale (ragionevolmente tali da legittimare il riconoscimento dalla compresenza di un danno morale accanto a un danno biologico), rispetto alla corrispettiva idoneità delle conseguenze limitate a un danno biologico di modesta entità ad assorbire, secondo un criterio di normalità (e sempre salva la prova contraria), tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle misurabili sul terreno del c.d. danno morale" (cfr. Cass. 03/03/2023, n. 6444).

Resp. da cose in custodia – Principi – Caso fortuito – Art. 2051 c.c.

Cass. Civ., sez. III, sentenza 24 aprile 2023, n. 11152 (rel. D. Sestini)

La responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode.
L'art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima.
La deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso.
Il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere.
Il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost.
Quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.