L’azione revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 31 maggio 2018, n. 14001

In tema di azione revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario dell'imprenditore poi fallito, la banca che eccepisce la natura non solutoria della rimessa, per l'esistenza alla data della stessa di un contratto di apertura di credito, non può fondare la relativa prova sulle sole risultanze dell'estratto del libro fidi, il quale, al più, attesta l'esistenza della delibera della banca alla concessione di un finanziamento; né tale conclusione viola l'art. 2710 c. c. - il quale dispone che i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa - presupponendo l'applicazione della norma in parola che le risultanze delle quali la parte intende avvalersi siano contenute in uno dei libri contabili obbligatori (conf. Cass. n. 19751/2017, n. 13445/2011); parimenti, in difetto di tale prova, il predetto versamento conserva in linea generale la natura solutoria, ed è revocabile ai sensi dell'art.67 legge fall., avendo valore estintivo del credito della banca, ancorché da essa non richiesto e meramente accettato, come ogni rimessa a fronte di conti privi di affidamento o in quel momento scoperti (conf. Cass. n. 23393/2007).

Il valore probatorio del processo verbale delle ispezioni eseguite dalla Banca d’Italia

Cass. Civ., Sez. I, sentenza 30 maggio 2018, n. 13679

La natura del processo verbale delle ispezioni eseguite dalla Banca d'Italia [ ... ] non comporta che la funzione certificatoria sia estesa anche alle valutazioni espresse dagli organi ispettivi che, per loro stessa natura, hanno margini più o meno ampi di discrezionalità, sicché non può sostenersi che le risultanze siano incontrovertibili e provviste di una presunzione assoluta di verità che non ammette prova contraria.

Azione revocatoria e subentro del curatore fallimentare

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 28 maggio 2018, n. 13306

Qualora sia stata proposta un'azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e, in pendenza del relativo giudizio, a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore, il curatore subentri nell'azione in forza della legittimazione accordatagli dall'art. 66 legge fallimentare, accettando la causa nello stato in cui si trova, la legittimazione e l'interesse ad agire dell'attore originario vengono meno, onde la domanda da lui individualmente proposta diviene improcedibile ed egli non ha altro titolo per partecipare ulteriormente al giudizio (Cass., Sez. Un., n. 29420/2008, Cass. n. 12513/2009); e la sua connotazione, sotto il profilo dei requisiti sostanziali, è che sebbene l'azione ex art. 66 l.fall. sia pur sempre la medesima prevista dall'art. 2901 c.c., la stessa presenta talune peculiarità che la differenziano da quest'ultima - giova a tutti i creditori, e non solo a colui che agisce, con effetto sostanzialmente recuperatorio (Cass., Sez. Un., n. 10233/2017); tant'è che l'accettazione della causa nello stato in cui si trova importa che l'esercizio di tale facoltà non è soggetto ai limiti entro i quali le parti possono formulare nuove domande o eccezioni nel processo di primo grado, né, ove la lite già penda in appello, al termine previsto per la proposizione del gravame incidentale o alle preclusioni di cui all'art. 345, comma 1, c.p.c., poiché, al contrario, è sufficiente che egli si costituisca in giudizio, anche in appello, dichiarando di voler far propria la domanda proposta ex art. 2901 c.c., per investire il giudice del dovere di pronunciare sulla stessa nei confronti dell'intera massa dei creditori (Cass. n. 614/2016).

Sale and lease back: quando è valido?

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 28 maggio 2018, n. 13305

Lo schema contrattuale del sale and lease back è, in linea di massima ed almeno in astratto, valido, in quanto contratto d'impresa socialmente tipico, ferma la necessità di verificare, caso per caso, l'assenza di elementi patologici, sintomatici di un contratto di finanziamento assistito da una vendita in funzione di garanzia, volto ad aggirare, con intento fraudolento, il divieto di patto commissorio e, pertanto, sanzionabile, per illiceità della causa, con la nullità, ex art. 1344 c.c., in relazione all'art. 1418, comma 2, c.c., l'accertamento del carattere fittizio di tale contratto, per la presenza di indizi sintomatici di un'anomalia nello schema causale socialmente tipico (quali l'esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l'impresa venditrice utilizzatrice (preesistente o contestuale alla vendita), le difficoltà economiche di quest'ultima, la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall'acquirente) costituisce un'indagine di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata (conf. Cass., 11 settembre 2017, n. 21042). Ebbene, risulta evidente che l'accertamento degli indizi sintomatici di un'anomalia nello schema causale socialmente tipico del contratto - costituente accertamento di fatto - è stato operato dal tribunale in sintonia con i criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, con particolare riguardo alla dubbia strumentalità del bene (una villa di pregio che, significativamente, poco prima dell'operazione aveva subito una variazione di destinazione da uso abitativo ad uso ufficio), alla sproporzione tra il prezzo ed il valore del bene alienato (risultante dall'espletata c.t.u.) e soprattutto alla mancanza di una specifica pattuizione (una sorta di "patto marciano" idoneo a scongiurare la nullità del contratto di sale and lease back per illiceità della causa) che prevedesse un apposito meccanismo o procedimento di stima del bene, entro tempi certi e con modalità predefinite, tale da assicurare una valutazione imparziale ed oggettiva, e così garantire che l'eventuale perdita della proprietà sarebbe avvenuta al giusto prezzo, con obbligo del creditore di restituire l'eventuale surplus, onde ripristinare l'equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni.

Le Sezioni Unite: la responsabilità della banca negoziatrice che abbia consentito l’incasso di un assegno bancario non trasferibile, a persona diversa dal beneficiario, ha natura contrattuale

Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 21 maggio 2018, n. 12477; Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 21 maggio 2018, n. 12478

La responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall'art. 43 legge assegni (r. d. 21 dicembre 1933, n. 1736), l'incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha - nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno - natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione Corte di Cassazione - copia non ufficiale n z q (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l'incasso.

La liquidazione equitativa del danno non sostituisce l’accertamento dell’esistenza di danni risarcibili

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 14 maggio 2018, n. 11698

L'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l'onere di provare non solo l'an debeatur del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi in re ipsa, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso (conf. Cass., n. 127/16; Cass., n. 4534/17). Nel caso concreto, non ricorrevano i presupposti della liquidazione equitativa del danno lamentato, in quanto i ricorrenti non ne avevano dimostrato la sussistenza. Invero, premessa l'irrilevanza del riferimento alla asserita notorietà dell'azzeramento di valore del titolo a seguito del default argentino, va osservato che il danno allegato sarebbe consistito nella differenza tra la somma impiegata per l'acquisto dei titoli in questione e il valore residuo dei titoli convertiti, la cui prova necessariamente gravava sugli investitori afferendo al fatto costitutivo del diritto fatto valere.

Gli obblighi informativi nell’intermediazione finanziaria

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 4 maggio 2018, n. 10806

Gli obblighi di informazione previsti dall'art. 21 del TUF non riguardano soltanto la fase anteriore alla stipula del contratto di negoziazione, ma anche la fase successiva; tuttavia, gli obblighi relativi alla fase di esecuzione attengono certamente allo svolgimento successivo del rapporto quale è predeterminato dallo stesso contratto di negoziazione, o contratto - quadro, che disciplina le modalità con cui devono essere impartiti dal cliente ed eseguiti dall'intermediario i singoli ordini d'investimento (o disinvestimento). Sì deve escludere, invece, che, alla stregua del regolamento Consob 11522/1998 applicabile ratione temporis, possano configurarsi obblighi di informazione successivi alla concreta erogazione del servizio e relativi, quindi, all'investimento effettuato, quando non sia previsto dal contratto un servizio di gestione del portafoglio o un servizio di consulenza art. 1 commi 5 lett. d), e art. 6, lett. f) del TUF. Nè, ad avviso del Collegio, si può ritenere che un obbligo di informazione sia comunque riconducibile, nella materia in esame, ai generali doveri di correttezza, buona fede e diligenza; ciò non solo perché la disciplina di dettaglio contenuta nel regolamento riduce naturalmente il campo di applicazione delle clausole generali, ma soprattutto perché, al di fuori di un servizio di consulenza o di gestione patrimoniale, dopo l'erogazione del servizio si è esaurita l'attività dell'intermediario con riferimento all'ordine eseguito.

Il contratto “4 you” non è meritevole di tutela

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 4 maggio 2018, n. 10804

Ai fini del secondo comma dell'art. 1322 c. c., non integra un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, per contrasto con i principi generali ricavabili dagli artt. 47 e 38 della Costituzione sulla tutela del risparmio e l'incoraggiamento delle forme di previdenza anche privata, quello perseguito mediante un contratto atipico fondato sullo sfruttamento delle preoccupazioni previdenziali del cliente da parte degli operatori professionali mediante operazioni negoziali complesse di rischio e di unilaterale riattribuzione del proprio rischio d'impresa, in ordine alla gestione di fondi comuni comprendenti anche titoli di dubbia o problematica redditività nel proprio portafoglio (...) ; pertanto, non è efficace per l'ordinamento il contratto atipico il quale consista, tra l'altro, nella concessione di un mutuo di durata ragguardevole, all'investitore, destinato all'acquisto di prodotti finanziari della finanziatrice ed in un contestuale mandato alla banca ad acquistare detti prodotti anche in situazione di potenziale conflitto d'interessi (conf. Cass. n. 2900 del 15/02/2016, n. 3949 del 29/02/2016, n. 10942 del 02/05/2016, n. 15409 del 26/07/2016, n. 16848 del 07/07/2017).

La negoziazione in contropartita diretta può essere conclusa dall’intermediario

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 4 maggio 2018, n. 10802

La negoziazione in contropartita diretta costituisce uno dei servizi di investimento al cui esercizio l'intermediario è autorizzato, al pari della negoziazione per conto terzi, come si evince dalle definizioni contenute nell'art. 1 del d.lgs. n. 58 del 1998, essendo essa una delle modalità con le quali l'intermediario può dare corso ad un ordine di acquisto o di vendita di strumenti finanziari impartito dal cliente. Ne deriva che l'esecuzione dell'ordine in conto proprio non comporta, di per sé sola, l'annullabilità dell'atto ai sensi degli artt. 1394 o 1395 c.c. (conf. Cass. 9 giugno 2016 n. 11876).

Nelle azioni di responsabilità avverso l’intermediario finanziario, l’investitore deve allegare l’inadempimento e provare danno e nesso causale.

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 4 maggio 2018, n. 10800

In tema di intermediazione finanziaria, il riparto dell'onere probatorio nelle azioni di responsabilità per danni subiti dall'investitore - in cui deve accertarsi se l'intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, dal d.lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa secondaria - impone innanzitutto all'investitore stesso di allegare l'inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell'intermediario, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l'inadempimento, anche sulla base di presunzioni, mentre l'intermediario deve provare l'avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito "con la specifica diligenza richiesta (conf. Cass. 19 gennaio 2016 n. 810).