Appello Tributario: ai fini dell’ammissibilità dell’appello è sufficiente il deposito dell’avviso di ricevimento

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 27 dicembre 2018, n. 33387 (rel. G. Cricenti)

Il deposito dell'avviso di ricevimento, qualora vi sia attestata la data di spedizione, supplisce al mancato deposito di ricevuta di quest'ultima, essendo idoneo ad attestare il momento della spedizione stessa ai fini del termine di costituzione in giudizio.
La questione, come è noto è stata risolta con decisione delle Sezioni Unite n. 13452 del 2017, secondo cui: "Nel processo tributario, non costituisce motivo d'inammissibilità del ricorso (o dell'appello), che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente (o l'appellante), al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l'avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purché nell'avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall'ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario. Solo in tal caso, infatti, l'avviso di ricevimento è idoneo ad assolvere la medesima .funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione; invece, in loro mancanza, la non idoneità della mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull'avviso di ricevimento può essere superata, ai ,fini della tempestività della notifica del ricorso (o dell'appello), unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall'agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l'impugnazione dell'atto (o della sentenza)."

Appello Tributario: omessa valutazione di un fatto controverso

Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 27 dicembre 2018, n. 33390 (rel. G. Cricenti)

Costituisce vizio di omessa pronuncia il fatto di avere riformato la pronuncia di primo grado sul presupposto della omessa decisione su un fatto rilevante e controverso, anziché decidere direttamente su quel fatto.
Infatti, il giudizio di appello tributario ha natura devolutiva piena e comporta che il giudice di appello debba accertare nuovamente le questioni poste in primo grado e riproposte in secondo, essendo l'appello volto al riesame della causa nel merito (cfr. Cass. n. 1200 del 2016). (Nel caso di specie, i giudici di secondo grado, preso atto che su quel fatto non c'era stata pronuncia del giudice di prime cure, avrebbero dovuto accertare essi stessi e pronunciarsi di conseguenza sul fatto controverso, piuttosto che riformare la decisione a motivo dell'omessa pronuncia.)

Espropriazione per pubblica utilità: riparto di giurisdizione

Cass. Civ., Sez. Un., ordinanza 27 dicembre 2018, n. 33539 (Rel. Di Virgilio)

Entrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, istituita dall'art. 7 legge n. 205/00 e ribadita dall'art. 133, lett. g) del d.lgs. n. 104 del 2010, le occupazioni illegittime preordinate all'espropriazione attuate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano e tutte quelle in cui l'esercizio del potere si è manifestato con l'adozione della dichiarazione di p.u., pur se poi l'ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione nonché la sua irreversibile trasformazione sono avvenute senza alcun titolo che le consentiva, ovvero malgrado detto titolo sia stato annullato dalla stessa autorità amministrativa che lo aveva emesso oppure dal giudice amministrativo (Cass. nn. 27994/13, 16093/09, 26798/08, 14794/07, 7256/07, 509/11, 1787/10, 14954/07, 3724/07, 2689/07). Appartiene, invece, alla giurisdizione ordinaria la cognizione dei "comportamenti" posti in essere in carenza di potere, ovvero "in via di mero fatto", a seguito della sentenza n. 191/06 della Corte costituzionale. Quest'ultima ha dichiarato illegittimo l'art. 53, primo comma, del decreto legislativo n. 325 del 2001, trasfuso nell'art. 53, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai "comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati", conseguenti all'applicazione delle disposizioni del testo unico delle espropriazioni, segnatamente allorché detti comportamenti riguardino progetti la cui dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza sia intervenuta prima dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001, non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere. Infatti, ha affermato il giudice delle leggi, l'attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo della tutela risarcitoria si fonda sull'esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l'intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma non si giustifica quando la pubblica amministrazione non abbia in concreto esercitato, nemmeno mediatamente, il potere che la legge le attribuisce per la cura dell'interesse pubblico. In particolare, nell'ipotesi del c.d. sconfinamento, che ricorre allorché l'opera di pubblica utilità sia stata realizzata in un terreno diverso o più esteso rispetto a quello considerato dai presupposti provvedimenti amministrativi di approvazione del progetto, la dichiarazione di pubblica utilità pur emessa, è riferibile ad aree diverse da quelle di fatto trasformate, e la occupazione e/o trasformazione del terreno non può che ritenersi di mero fatto o in carenza assoluta di poteri autoritativi della P.A., configurando un comportamento illecito (comune) a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo (c.d. occupazione usurpativa) e non diverso da quello di un privato che leda diritti dei terzi. Al quale conseguentemente l'interessato può reagire davanti al giudice ordinario, sia invocando la tutela restitutoria sia, attraverso un'abdicazione implicita al diritto dominicale, optando per il risarcimento del danno ex artt. 2043 e 2058 c.c. (Cass. sez. un. nn. 7442/08, 3723/07 e 27192/06). Inoltre, deve rilevarsi che, come osservato da Cass. S.U. n. 27994/13, su tale sistema di riparto non incide l'art. 42-bis T.U. n. 327/01, sulla c.d. acquisizione sanante, trattandosi di norma che disciplina l'esercizio del potere ablativo ma che non per questo incide sul riparto di giurisdizione.

Rapporti di conto corrente: l’onere probatorio nella ripetizione d’indebito

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 21 dicembre 2018, n. 33321 (Rel. Tricomi)

Nei rapporti bancari in conto corrente, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell'indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida "causa debendi", sicchè il medesimo ha l'onere di documentare l'andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute (Cass. n. 24948 del 23/10/2017)

Il riparto di giurisdizione in caso di infortunio patito dal dipendente pubblico

Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 21 dicembre 2018, n. 33211 (Rel. Doronzo)

La soluzione della questione del riparto della giurisdizione, rispetto ad una domanda di risarcimento danni per la lesione della propria integrità psico-fisica proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell'Amministrazione, è strettamente subordinata all'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilità in concreto proposta: se è fatta valere la responsabilità contrattuale dell'ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nel caso di controversia avente per oggetto una questione relativa al periodo del rapporto antecedente al 30 giugno 1998; mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario.

Nell’ambito di un contratto di trasporto e custodia valori, la consegna delle chiavi della cassaforte determina la conclusione di un contratto di deposito

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 21 dicembre 2018, n. 33202 (Rel. Dell'Utri)

Nell'ambito di un contratto di trasporto e custodia valori, la consegna delle chiavi della cassaforte determina il perfezionarsi di un ordinario contratto di deposito dal quale scaturiscono le relative obbligazioni a carico delle parti, con la conseguenza che, oltre all'obbligazione tipica del vettore, sorge anche l'obbligo di custodia, tanto delle chiavi che dei valori immessi nella cassaforte e, in caso di furto della cosa depositata, il depositarlo non è esente da responsabilità ove si limiti a dimostrare di avere usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall'art. 1768 cod. civ., ma deve provare a mente dell'art. 1218 cod. civ. che l'inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile (Cass., Sez. III, sentenza n. 26353 del 25/11/2013).

Quando la condizione deve ritenersi “meramente potestativa” ai sensi dell’art. 1355 c.c.

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 21 dicembre 2018, n. 33198 (Rel. Dell'Utri)

La condizione deve ritenersi "meramente potestativa" quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l'assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica "potestativa" quando l'evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l'interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all'esclusivo apprezzamento dell'interessato (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. III, sentenza n. 18239 del 26/08/2014). Nel caso di specie, del tutto correttamente la corte territoriale ha individuato, nell'impegno del debitore ad eseguire il pagamento del debito riconosciuto "compatibilmente con le proprie possibilità" e "senza limiti di tempo", il ricorso di circostanze condizionanti del tutto prive di oggettiva consistenza, univocità, controllabilità e riconoscibilità, arbitrariamente rimesse alle valutazioni del debitore e tali da non consentire, a fondamento delle stesse, l'individuazione di alcun interesse meritevole di apprezzamento e di tutela, sì da integrare gli estremi di una condizione meramente potestativa nulla (ex art. 1355 c.c.).

La soccombenza reciproca

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 20 dicembre 2018, n. 33103 (Rel. Esposito)

La nozione di soccombenza reciproca che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, sottende - anche in relazione al principio di causalità - una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l'accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell'accoglimento anche meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo (Cass. n. 10113 del 24/04/2018)

Il risarcimento del danno da malattia professionale

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 13 dicembre 2018, n. 32376 (Rel. Spena)

In tema di responsabilità aquiliana per malattie riconducibili al fatto doloso o colposo di un terzo, devono affermarsi i principi della «conoscibilità del danno» e della «rapportabilità causale», specificando che tali principi non aprono la strada alla rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del danneggiato. La conoscibilità deve essere saldamente ancorata a due parametri oggettivi, uno interno e l'altro esterno al soggetto leso ovvero, rispettivamente, la ordinaria diligenza ed il livello di conoscenze scientifiche dell'epoca. In relazione al soggetto leso l'ordinaria diligenza si esaurisce nel portarsi presso una struttura sanitaria per gli accertamenti sui fenomeni patologici avvertiti mentre l'elemento esterno va apprezzato in relazione alla comune conoscenza scientifica che era ragionevole richiedere in una data epoca in merito alla patologia manifestatasi ai soggetti cui la persona lesa si è rivolta o avrebbe dovuto rivolgersi . In coerenza con tali principi questa Corte (Cass. civ. sez. lav. 31/05/2010 nr. 13284 ) ha affermato anche in relazione alla responsabilità ex contractu del datore di lavoro, che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente a malattia causata al dipendente nell'espletamento del lavoro dal comportamento colposo del datore di lavoro decorre dal momento in cui l'origine professionale della malattia può ritenersi oggettivamente conoscibile dal danneggiato, indipendentemente dalla valutazioni soggettive dello stesso.

Il danno non patrimoniale “da uccisione” e i suoi limiti risarcitori

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 13 dicembre 2018, n. 32372 (Rel. Rossetti)

In tema di "danno da uccisione", le espressioni "danno terminale", "danno tanatologico", "danno catastrofale" non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma possono avere al massimo un valore descrittivo, e neanche preciso;
- il danno da invalidità temporanea patito da chi sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale è un danno biologico, da accertare con gli ordinari criteri della medicina legale, e da liquidare avendo riguardo alle specificità del caso concreto;
- la formido mortis patita da chi, cosciente e consapevole, sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale, è un danno non patrimoniale, da accertare con gli ordinari mezzi di prova, e da liquidare in via equitativa avendo riguardo alle specificità del caso concreto.