Il danno patrimoniale futuro conseguente alla lesione
della salute è risarcibile solo ove appaia probabile, alla stregua di una
valutazione prognostica, che la vittima percepirà un reddito inferiore a
quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'infortunio,
mentre il danno da lesione della "cenestesi lavorativa", che consiste
nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento
dell'attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle
opportunità sul reddito della persona offesa, si risolve in una
compromissione biologica dell'essenza dell'individuo e va liquidato
onnicomprensivamente come danno alla salute, potendo il giudice, che
abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore
differenziato del punto di invalidità, anche ricorrere ad un
appesantimento del valore monetario di ciascun punto.
(cfr. Cass. Civ., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 12572 del 22/05/2018, che ha confermato la sentenza di merito che, a fronte di un'invalidità
permanente del venticinque per cento riportata da una minore, aveva incrementato l'importo liquidato a titolo di danno biologico, in considerazione del pregiudizio da "cenestesi lavorativa" che la stessa
avrebbe presumibilmente sofferto in futuro, rigettando invece la
domanda di risarcimento del danno patrimoniale futuro, in mancanza di
elementi idonei a dimostrare l'incidenza della menomazione sul reddito
che la stessa avrebbe presumibilmente conseguito).
Nell'ambito della
discrezionalità che gli è propria, il Giudice del merito può escludere il danno parentale, ritenendo che , in
mancanza di più specifiche allegazioni, la sofferenza nel vedere il proprio
giovane familiare improvvisamente gravemente colpito e sofferente a
causa dell'altrui grave negligenza, siano tutti fattori in grado di
scatenare disagi, oneri e sofferenze condivise con quelle del proprio caro, non incidenti, nel rapporto familiare, oltre il livello di esigibilità
connesso ai doveri di solidarietà familiare.
Sul punto occorre considerare che
«Il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza
morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve
dall'altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova
presuntiva, che deve essere cercata anche d'ufficio, se la parte abbia
dedotto e provato i fatti noti dai quali il giudice, sulla base di un
ragionamento logico-deduttivo, può trarre le conseguenze per risalire al
fatto ignorato. » (Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 17058 del 11/07/2017).
Pertanto, ove manchi il supporto di una seppur
minima allegazione, la mera titolarità di un rapporto familiare, in
mancanza di ulteriori elementi di prova, non può essere considerata
sufficiente a giustificare la pretesa risarcitoria, occorrendo di volta in
volta verificare in che cosa il legame affettivo sia consistito e in che
misura la lesione subita della vittima primaria abbia inciso sulla relazione
fino a comprometterne lo svolgimento.